Il Black Panther del Vesuvio

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Koulibaly, il Black Panther di Napoli (immagine a cura di Giuseppe Cautiero)Koulibaly, il Black Panther di Napoli (immagine a cura di Giuseppe Cautiero)

Kalidou Koulibaly come un supereroe a Napoli, simbolo di una città antifascita ed antirazzista. Il difensore somiglia al Black Panther della Marvel disegnato da Lee

La squadra dei terroni capitanata da un ragazzo nero, l'apoteosi dell'anti-fascismo. Nell'epoca dell'odio diffuso e dell'anti-napoletanità conclamata con orgoglio in ogni stadio d'Italia, Napoli manda indirettamente anche un messaggio sociale. Potremmo finirla già qui, volendo, ma c'è di più. C'è che in Sardegna, in un match storicamente avverso, Kalidou Koulibalyquesta volta ha lasciato il segno non solo per l'ennesima prestazione maiuscola o per l'indiretto filone politico, ma anche per l'encomiabile comportamento nell'inedito ruolo di comandante

Un capitano perfetto, sontuoso. Più trascinatore di Marek Hamsik, più saggio di Lorenzo Insigne. Più capitano dei capitani. Perché in quel gigante buono, napoletano d'adozione oltre la classica retorica, è racchiuso un mix di virtù davvero rare. Retto, carismatico, saggio ed equilibrato. Giganteggia con la solita serenità che lo contraddistingue, ma in più questa volta il pressing è puntuale anche verso l'arbitro. Sempre con la solita educazione che lo caratterizza, sia chiaro. Ma è lì, onnipresente. Minuzioso nel chiedere spiegazioni e nel far sentire la propria voce, pronto a trasmettere la propria calma e una squadra nel frattempo furente per le perdite di tempo. Predica alla calma, persuade i compagni e li indirizza con gesti evidenti. Spettacolare, in tutto e per tutto. 

La maturazione è completata. Grazie ai padri del passato, è diventato il centrale più ambito del mondo. Rafa Benitez lo ha guidato nell'età dell'infanzia, svezzando l'ex Genk al calcio europeo. Maurizio Sarri, invece, l'ha plasmato in quella dell'adolescenza frizzantina che caratterizza la vita, fatta di acuti da smussare e depressioni da colmare. Ora, il maestro Ancelotti lo sta perfezionando nell'età adulta, dandogli i mezzi e gli insegnamenti necessari per consacrarsi definitivamente. Ma il salto nell'Olimpo è ormai immente, solo questione di tempo. Poco importa: la città lo coccola comunque, perché non sempre bisogna essere delle bandiere per entrare nel cuore di un popolo. E lui ne è l'esempio: con quell'animo puro, il sorriso di un eterno bambino e il sudore in campo, ha infatti conquistato tutti. 

Una furia colore dell'ebano. Potente, velocissimo e inviolabile. Si staglia dalle retrovie ma niente lo scalgisce. Un'ombra che colpisce il nemico, con correttezza, per seguire un ideale od un sogno, che dir si voglia. Koulibaly, volendo per uno o più motivi, ricorda quel Black Panther figlio della prolifica penna del compianto Stan Lee. Nel re T'Challa, infatti, tutti possono riconoscerci, soprattutto chi fa parte di quella fetta di umanità ghettizatta da tempi vetusti ed ancor più, tristemente, in tempi moderni. Ed il suo regno, il Wakanda, sembra una vera utopia, non tanto per le tecnologie presenti, che sfumano se si analizza la società rappresentata nei fumetti e nel film: donne forti che diventano simbolo per i giovani, fratelli e sorelle che vivono in comunità ecosostenibili, un forte senso di unione che percorre ogni wakandiano. Proprio come per gran parte dei napoletani che, casi eccezioni a parte, si dimostrano accoglienti e comprensivi col prossimo, figli di una città di mare aperta a tutti e fatta di influenze reciproche. Basti pensare a quella volta in cui i napoletani andarono al San Paolo con la faccia di Koulibaly, proprio per affermare l'uguaglianza e la vicinanza al senegalese, vittima di insulti razzisti. 

Un'opera maestosa, che come ogni capolavoro che si rispetti, parla del reale. Il Black Panther di Stan Lee affonda le sue radici nel movimento delle Pantere Nere, nato nel 1966 per cercare di organizzare l'opressa comunità afroamericana ancora vittima della segregazione che aveva dato vita alle leggi di Jim Crow, abolite proprio in quegli anni. Movimento controverso e spesso criticato per la violenza di alcuni dei suoi militanti più estremisti, fu comunque fondamentale per la creazione di un'entità nera nel cuore dell'America, per dare dignità, appartenenza e coesione ad un gruppo di persone in balia di un sistema razzista e xenofobo, che chiedevono solo gli stessi diritti dell'uomo bianco. Sistema che oggi torna più forte che mai, anche nel Bel Paese.

Kalidou carica tutto ciò sulle sue spalle: il retaggio degli antenati, le sofferenze di un umile passato e la voglia di riscatto. Un vissuto e un percorso che l'hanno forgiato a fuoco, rendendolo inviolabile come il vibranio. Oggi, possiamo dirlo senza timore: Kalidou Koulibaly è il giocatore più forte dell'Africa. Momo Salah avrà pur vinto il Pallone d'Oro del continente nero, ma l'egiziano, come l'algerino Ryad Mahrez, vincitore della scorsa edizione, viene da un Paese geograficamente e culturalmente più vicino alla Penisola Araba ed all'Europa Mediterranea che al Sudafrica. Ed ecco che Kalidou diventa un emblema. Dovrà essere un esempio, una guida equilibrata per i giovani neri, bianchi e di qualsiasi altro splendido colore. Nel frattempo, è già il supereroe di una Napoli pazza di lui. Del resto, che avesse qualcosa di sovrumano, lo aveva già dimostrato in una magica notte di Torino, quando sembrò toccare il cielo. Black Panther è stato il primo supereroe africano della Marvel, Kalidou Koulibaly il primo del Napoli.

Questo articolo è scritto da due persone diverse solo nell'aspetto. 

di Pasquale Edivaldo Cacciola e Nino Anacleria

©RIPRODUZIONE RISERVATA

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