De Giovanni punge Sarri: "Che farai ai cori che inneggiano al Vesuvio? Cosa dirai al primo rigore dubbio a favore?"

Rassegna Stampa  
De Giovanni punge Sarri: Che farai ai cori che inneggiano al Vesuvio? Cosa dirai al primo rigore dubbio a favore?

Maurizio De Givoanni, scrittore napoletano, ha commentato il trasferimento di Sarri alla Juventus in un suo editoriale sul Corriere del Mezzogiorno: 

Uno più simile a quell’ambiente, più contiguo a quella professionale freddezza: uno pacato, in giacca e cravatta, sbarbato, sorridente e un po’ banale. Il simbolo del Palazzo, il luogo deputato del potere costituito nelle mani di un uomo adatto a gestirne le leve. Invece sarà lui, proprio lui a prendere le redini della compagine che tanto fieramente ha combattuto solo fino a due anni fa, il Golia che è stato vicino ad abbattere con una fionda Davide. Chissà come si sentirà.

Nessun imbarazzo per quelli che sono stati e rimarranno i Sarristi, attenzione. Continueremo a ritenere che quello è stato il più bel Napoli degli ultimi trent’anni e forse di sempre, senza fuoriclasse ma in possesso di un gioco di caratura superiore. E non cambieremo idea finché qualcuno non arriverà a 92 punti, e magari ad alzare un prestigiosissimo trofeo. Ma i simboli contano, e se si perde la bandiera è difficile continuare la battaglia. Siamo tifosi del Napoli, e per noi solo chi veste la maglia azzurra è caro: quindi viva chi c’è, felici per le vittorie che verranno. Eppure dobbiamo ammettere che mai, mai avremmo creduto di vedere questo giorno.

Si dirà: questo è il calcio dei professionisti. Vero. Ma i soldi li tira fuori il tifoso, e il tifoso è animato dalla passione. Per cui il calcio dei soldi si basa solo sulla passione, e gli operatori del settore dovrebbero cominciare a tenerne più conto. Le parole sono pietre, diceva Carlo Levi; e come pietre rimangono i concetti secchi e precisi che il Comandante dettava ai giornalisti felici, che mai lasciavano una conferenza stampa senza qualche bel titolo. Come andrà ai primi cori che, ne siamo certi, l’Allianz Stadium gli sbatterà in faccia sull’opera sollecitata al Vesuvio o al colera? Che accadrà al primo rigore dubbio a favore, o alla prima sconfitta con tanto di dito medio riproposto dagli ultras che lo subirono all’epoca, come un evergreen? Metterà la cravatta, farà la barba, butterà la cicca e la tuta? Siamo molto curiosi di assistere alla metamorfosi, o in alternativa alla rivoluzione ambientale, se il rigido bianconero protocollo dovesse adeguarsi a lui. Certo, per noi che abbiamo aderito alla superficiale illusoria narrazione della rivoluzione sarrista, sarà come vedere Ernesto Che Guevara accettare di diventare ministro della cultura del governo di Fulgencio Batista. Ecco, il problema è stato quello: l’illusione. È vero, sì, c’eravamo illusi che esistesse una coerenza non acquistabile a suon di milioni. Che la storia di un centravanti argentino, prima simbolo nostro e poi dipendente altrui, non potesse ripetersi. Ci avevamo creduto. E a dire la verità, siamo ancora piuttosto fieri della nostra ingenuità perché convinti che il giorno in cui smetteremo di illuderci sarà il caso di occuparci di qualcosa di un po’ più serio di un pallone che rotola e di ventidue signori in mutande che lo inseguono. Per quanto riguarda il nuovo allenatore della seconda squadra di Torino, be’, gli auguriamo una vita felice nell’opulenza e nella perfetta salute, per lui e per tutti i suoi cari. Ma successi professionali, pochi. Proprio pochi .

 

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