Il giornalista Fulvio Giuliani scrive su X:
“Ci ricasca: nel momento decisivo della stagione, Antonio Conte ricomincia con la sua narrazione della Napoli dove non si può vincere o quasi, delle (altre) piazze e città abituate a ben altro, delle pressioni eccessive, del fare la storia se vinci all’ombra del Vesuvio mentre altrove…
Come se avessimo bisogno di lui per scoprire che Napoli ha vinto molto meno a pallone di Milano e Torino e ha avuto un’evoluzione, per così dire, contraddittoria in termini economici. Tu guarda che scoperta clamorosa, a 24 ore da una partita decisiva per lo scudetto.
Allora, vorrei provare ad aiutare chi ha scambiato un bravissimo allenatore per un vate a ricordare cosa significhi a Napoli essersi appassionati al calcio nei decenni.
Ahimè, me lo posso permettere perché l’età me lo consente: cominciai ad andare allo stadio da bimbo e appena più che adolescente a muovere i primi passi da giornalista in tribuna stampa (tremebondo), quando erano ospiti fissi dei signori a cui la gente voleva sinceramente bene. Voler bene è qualcosa che attraversa il tempo e le vittorie sfumate.
Penso a un Faustino Canè, brasiliano ormai più napoletano del napoletani e a Luis Vinicio - detto O’ Lione- che aveva vinto un bel nulla con gli azzurri ma a cui la gente era rimasta eternamente grata per la bellezza mostrata in campo e il sogno sfiorato.
Quando arrivava José Altafini, proprio l’uomo del goal scudetto per la Juventus soffiato a Vinicio, core ‘ngrato e tutto il resto, c’era la fila per gli autografi e per stringergli la mano. Un idolo, lì dove ci sarebbero stati tanti motivi teorici per detestarlo in eterno. Gli hanno invece sempre voluto un bene dell’anima.
Di Diego non parlerò perché troppo facile, mi limiterò a ricordare che se Conte avesse giocato ai suoi tempi l’altro non si sarebbe neppure accorto della sua esistenza.
La venerazione per Ruud Krol è difficilmente comprensibile, nell’era dei social e della condivisione: arrivò a fine carriera a Napoli e sembrò un’apparizione. Il giocatore più elegante mai visto al San Paolo, che pure aveva avuto 78mila abbonati per Sivori e Altafini… Ancora oggi l’olandese è per i napoletani della mia generazione una leggenda.
Anche se Conte non se lo ricorda, il Napoli ha vinto uno scudetto due anni fa con un signore che si chiama Luciano Spalletti e che, pur andandosene subito dopo la vittoria, non è stato inseguito neppure da un’ombra di critica: la gente sa, ha capito e ancora una volta gli vuole bene.
Si tratta di scegliere, caro Conte, se risorgere come squadra o affondare come singoli.
Sì, sono le parole di un film e oggi l’allenatore del Napoli ha scelto di parlare da singolo, ha scelto di parlare di se stesso, di mettere le mani avanti, di bollare come inadeguato quel mondo che ha poco vinto e molto goduto in termini di bellezza e poetica sportiva. E lo ha strapagato quando non c’era la fila per lui.
Il giorno prima noi avremmo individuato altre chiavi di lettura, ma ognuno sceglie come farsi ricordare”