«Non so se provo più rammarico o gratitudine verso ciò che mi è accaduto. Ma nella mia storia ho avuto la fortuna di incontrare tante persone fantastiche». Basterebbero queste poche righe per sintetizzare la storia di Ciro Caruso, ex difensore del Napoli, ha rilasciato una lunga interviasta a Tuttosport.
I primi a credere nelle capacità di Ciro Caruso furono i fratelli Antonio, Pino e la sorella Susy. Furono loro ad andare da papà Luigi e mamma Anna dicendogli che Ciro aveva un grande talento e che doveva coltivare le sue doti in una scuola calcio. Non fu molto difficile convincere i genitori di Ciro che iscrissero il figlio alla scuola calcio Italsider Bagnolese dove, in quello stesso anno c’era anche un altro ragazzino dalle belle speranze, un certo Fabio Cannavaro. Con Fabio nacque subito una grande amicizia, piccoli, talentuosi e sognatori e subito uniti da una promessa:
«Se uno di noi due avesse sfondato nel mondo del calcio – rivela Ciro - avrebbe regalato una macchina all’altro. Ogni tanto ci ripenso, e sorrido. La mia amicizia con Cannavaro è una delle cose che porterò per sempre nel cuore. Fabio mi ha dedicato un capitolo intero nel suo libro autobiografico, il capitolo si chiama “Storia di Ciro”. Per me questo è motivo di grande orgoglio, far parte della biografia di un Pallone d’oro, un campione del mondo, e, soprattutto, un amico come Fabio. Nessuna cifra al mondo potrebbe avere un valore maggiore per me».
Fabio Cannavaro, Marco Materazzi ma anche Pino Taglialatela e Ciro Ferrara, sono tanti gli amici con cui Caruso ancora condivide ricordi e serate ma se gli chiedete chi considera il suo papà calcistico, Ciro non ha dubbi:
«Gigi De Canio. Mi ha allenato al Carpi, ricordo quando in allenamento mi rimproverava per i troppi virtuosismi e mi diceva “Ciro non siamo al circo ma su un campo di calcio..”. Mi ha completato come calciatore perché io venivo dal ruolo di libero e lui mi ha insegnato a giocare nei meccanismi del calcio moderno e non si è mai fatto condizionare dai miei infortuni e per questo io gli dirò per sempre grazie”.
A proposito di regali, il più bello in assoluto Ciro Caruso l’ho avuto a 17 anni quando Albertino Bigon, allora tecnico del Napoli, lo convocò per la prima volta con la prima squadra, era il 10 marzo 1990 e si giocava Fiorentina-Napoli:
«Nella stagione 1995-96, nonostante fosse reduce già da cinque interventi ad entrambe le ginocchia per la rottura di crociato, menisco, legamenti e capsule, venne convocato per la tournée estiva del Napoli in Cina, all’epoca l’allenatore era Vujadin Boskov, Caruso venne premiato come miglior giocatore e qui scatta un altro aneddoto: «La notte prima della partenza per Napoli, erano le 5, tutta la squadra si presentò in camera e mi festeggiò dimostrandomi grande attaccamento, si gettarono tutti su di me. Avevo 22 anni e alle spalle già 5 interventi: il primo a 17 anni, il secondo a 18, il terzo a 19, uno a 20 e l’altro a 21, e devo dire grazie al professor Mariani se nonostante tutto questo ho potuto continuare in qualche modo a giocare. E non dimenticherò neanche il grande lavoro che hanno fatto con me il dottor Alfonso De Nicola e Vittorino Testa nel Napoli e Giulio Pazzanese e Pasquale Casale quando ero all’Ischia Isolaverde».
Nel giorno del quattordicesimo compleanno del figlio di Caruso, Manuel, il 16 marzo del 2013, papà Ciro e mamma Mena decisero di confezionare un regalo davvero speciale:
«Mio figlio è sempre stato innamorato di Cristiano Ronaldo, allora decisi di chiamare Fabio Cannavaro che era stato al Real Madrid dal 2006 al 2009, lui capì subito quale fosse il mio piano e con qualche telefonata mi organizzò il blitz a Madrid al campo di allenamento dove mio figlio avrebbe potuto conoscere da vicino il suo mito: Partimmo e arrivammo alla Ciudad Real Madrid centro sportivo del Real alla periferia di Madrid vicinissimo all’aeroporto di Madrid-Barajas un posto meraviglioso che mi è sempre rimasto impresso. Lì incontrammo Javi Coll che si mise a disposizione tutto il giorno, prima incontrammo Ronaldo che autografò la maglia di Manuel scattando una foto con lui e poi ci invitò ad assistere all’allenamento. Mentre mi godevo mio figlio al settimo cielo nel giorno del suo compleanno, mi tornò in mente il giorno in cui gli emissari del Real vennero da papà Luigi e mamma Anna e volevano portarmi a soli 12 anni già così lontano».