E oggi come allora….si sente aria di miracolo: lo sterminato esercito azzurro che invase Torino e i gradoni di porfido e cemento

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E oggi come allora….si sente aria di miracolo: lo sterminato esercito azzurro che invase Torino e i gradoni di porfido e cemento

Non si poteva mancare. E’sempre stata la madre di tutte le partite. Alla volta del capoluogo piemontese decidemmo di partire il sabato mattina. Tra intercity e treni regionali raggiungemmo Pontremoli. Da pochi mesi un nostro amico tifoso si era trasferito in questo piccolo paesino ai piedi delle alpi Apuane. Già allora come ora, il lavoro dalle nostre parti scarseggiava e il nostro aveva addirittura ottenuto il “mitico posto in banca”. Aveva poco più di vent’anni e ottenere “il posto” a quell’età era come vincere al totocalcio. Avevamo con noi foglietti piegati sui quali vi erano segnati gli orari dei treni che l’indomani ci avrebbero condotto a Torino. Prima un regionale per Genova e poi la coincidenza per Torino. La serata del sabato la trascorremmo in giro per questo piccolo paesino. Il freddo era pungente. Con cappelli e sciarpe del Napoli provavamo a ripararci. La gente ci guardava stranita. Noi fieri e orgogliosi indossavamo i nostri colori. E nella mente il pensiero fisso alla gara dell’indomani.

Il giorno dopo avemmo un problema. Una vecchia sveglia ci tradì. Corremmo a perdifiato alla stazione del paese. Tutto inutile. Il regionale era già andato via. Quello successivo non ci avrebbe permesso di raggiungere in tempo Genova. Dopo un attimo di sconforto, non ci perdemmo d’animo. Individuammo tra le nebbia e le prime luci dell’alba un furgoncino che consegnava giornali. Dopo una breve trattativa, in cambio di una stecca di Marlboro rigorosamente di contrabbando, quelle con il bollino blu, l’autista ci caricò tutti e partì all’inseguimento del regionale. Quasi trenta chilometri di curve a velocità folle sballottati tra cartoni e giornali, ma l’accompagnatore improvvisato ce la fece. La trasferta era salva e Torino meno lontana.
Il capoluogo piemontese ci accolse con la sua tristezza di inizio novembre. Era più grigio del solito. Ravvivato solo dalla presenza di migliaia di napoletani che a Torino si erano dati appuntamento. Oltre che dal “profondo Sud” come noi, provenivano da ogni parte dell’ “alta Italia”, ma anche dalla Svizzera, dalla Germania, dal Belgio. Uno sterminato esercito azzurro aveva invaso Torino, c’era aria di impresa. E impresa fu. Trascinato da un immenso Maradona, fresco campione del mondo con la sua nazionale, il Napoli sbancò il vecchio comunale. Alla rete del vantaggio di Giordano che corse sotto una curva impazzita, l’intera curva corse verso di lui. Ci ritrovammo a rotolare sul duri gradoni di porfido e cemento. Ma nessuno sentì dolore. Nessuno si fece male. Fu un miracolo. 

Fuori allo stadio, il popolo azzurro cantava ancora. I più anziani non cantavano. Abbracciavano i loro figli e piangevano. Erano anni che raggiungevano Torino e per anni avevano lasciato lo stadio mortificati, battuti, umiliati e qualche volta anche derubati dalle classiche sviste arbitrali. E la storia si era ripetuta per ben 29 lunghissimi anni. Ma quel 9 novembre del 1986, Maradona e c. ne scrissero una pagina nuova. La più bella di quel campionato che si sarebbe poi concluso con la storica data del 10 maggio ’87. Con la vittoria di Torino, gli azzurri si issarono in cima alla classifica. Primi, da soli, come pochissime volte era accaduto. E da primi in classifica, il popolo azzurro si rimise in marcia per il viaggio di ritorno.

Il treno azzurro. Erano anni in cui spesso, nell’intervallo, lo speaker dello stadio, annunciava che al termine della gara, un treno speciale avrebbe ricondotto i tifosi ospiti a casa. L’annuncio veniva accolto con un boato come si fosse trattato di un goal. Di speciale il treno aveva anche che non si pagava. Alla stazione di Porta Nuova, un vecchio treno delle “FS” ci caricò tutti. Come fece fu un mistero. Negli allora scompartimenti da sei, ci ritrovammo in dodici. Gli uni sugli altri. Qualcuno si sistemò sulle griglie adibite a mettere i bagagli. Furono i più fortunati. Riuscirono anche a chiudere occhio. I corridoi erano un tappeto umano. Arrivammo a Napoli alle prime luci dell’alba. Stanchissimi. Affamati. Assetati. Piazza Garibaldi ci accolse come con gli immancabili furgoni adibiti a vendere panini. Per l’occasione spuntarono come funghi. La gente ci guardava come eroi, con ammirazione. Come se avessimo vinto noi. E noi, occhi ridotti a fessure, sventolavamo i nostri colori e riprendevamo a cantare.

E oggi come allora….si sente aria di miracolo. Torino non sarà invasa dal popolo azzurro. Le cose sono cambiate. Oggi ci sono le tessere, le limitazioni, le trasferte vietate. Le gabbie per i tifosi. Perché impedire è più facile che educare. Ma il Napoli non sarà solo. Mancheranno i cori e i canti ma c’è la passione di un popolo che lo spinge a caccia dell’impresa. E le passioni si trasmettono anche a distanza. Pochi giorni alla data. E’ tutta un’ansia d’attesa. Non succede, non succede. Ma se succede non immaginiamo cosa possa succedere….

Stefano Napolitano

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