CdM - Da Maurizio Sarri a Carlo Ancelotti: così muta l'estetica

Rassegna Stampa  
CdM - Da Maurizio Sarri a Carlo Ancelotti: così muta l'estetica

Vi proponiamo, di seguito, l'editoriale di Eduardo Cicelyn per il Corriere del Mezzogiorno: Siamo tutti qui a interrogare il futuro del Napoli nel passaggio

Vi proponiamo, di seguito, l'editoriale di Eduardo Cicelyn per il Corriere del Mezzogiorno:

Siamo tutti qui a interrogare il futuro del Napoli nel passaggio da Sarri ad Ancelotti. Sarebbe una questione per specialisti del pallone, tuttavia da noi il calcio mai è stato e mai sarà solo un fatto pedatorio. Tramontato l’astro Maradona, l’avvento di Sarri ha impiantato in città una più moderna religione, conquistando molti nuovi adepti.


Se l’argentino fu l’artista geniale, l’uomo del colpo di piede (e di mano) improvviso e sorprendente, il mister toscano, mezzo napoletano, è stato il teorico del calcio seriale, quello delle triangolazioni infinite, dei passaggi ossessivi, del ritmo asfissiante, dei tagli supersonici. Maradona fu il giocoliere picassiano da ammirare dal vivo e da rivedere in moviola, l’eroe degli stadi superaffollati e della televisione generalista che poi si prendeva tutto il tempo per sezionare e studiare dribbling e parabole impossibili; Sarri è l’artista concettuale che fa degli atleti esecutori quasi meccanici di un disegno che si svolge rapidissimo, geometrico, razionale, in porzioni di campo ristrette, dove le cento telecamere della tv digitale possono montare e rimontare le singole sequenze in tempo reale. I commentatori sportivi, i colleghi di mezzo mondo, i tifosi più o meno esperti hanno decretato la grande bellezza del calcio sarriano. Nessuno che abbia spiegato secondo quale criterio di giudizio il Napoli degli ultimi tre anni si possa dire abbia espresso un gioco veramente bello. Forse semplicemente di questo si tratta: di un calcio molto pensato e manovrato, congegnato in modi precisi e minuziosi, con difesa, centrocampo e attacco vicinissimi per stare sempre dentro l’inquadratura televisiva; di schemi puntigliosi nei quali sia la grande giocata sia l’errore banale diventano necessari e ineluttabili. Insomma, l’estetica al posto dell’arte.

In un quadro di Picasso come in un dribbling di Maradona si faceva fatica a distinguere lo sgorbio dalla pennellata eccelsa, anzi non aveva alcun senso interrogarsi e contava solo l’effetto d’insieme; nel gioco di Sarri, come in certe strutture minimaliste di Sol Lewitt, anche una minuscola sbavatura può distruggere l’immagine, che è pensiero e azione in simultanea, concatenamento preciso di fatti, dal disegno alla realizzazione, dal pressing di Koulibay all’assist di Insigne e al tocco finale di Callejon. Ora, dopo Maradona e dopo Sarri arriva Ancelotti. Ancora una volta un tecnico e non un calciatore a promettere grandi cose, addirittura di conquistare qualche nuovo trofeo. Si dice che De Laurentiis abbia scelto l’ex Bayern, Real Madrid, Milan, eccetera eccetera, proprio per la sua dimensione di allenatore cosmopolita e vincente, profilo decisamente opposto a quello del rude professore di football venuto dall’Empoli, cioè praticamente dal nulla. Si dice infatti che il padrone del Napoli non abbia digerito la scelta sarriana di abbandonare le competizioni europee per concentrarsi sul campionato nazionale. Tant’è che l’ingaggio di Ancelotti viene interpretato da diversi commentatori come una scommessa su un futuro globale da costruire anche con una campagna acquisti di qualità.

Di certo l’imprenditore che è De Laurentiis ha ben chiare le prospettive future del mercato del calcio e sa meglio di noi che una squadra è un brand tanto più forte e remunerativo quanto più circola nel mondo. Dunque, l’idea di internazionalizzare il Napoli sembra una scelta chiara e al passo coi tempi. Eppure qualcosa di più s’intravede nella decisione del presidente. Qualcosa che ci deve far ricordare la sua attitudine di imprenditore dello spettacolo: il fatto cioè che un uomo con l’esperienza di De Laurentiis – spesso sottovalutato dai tifosi e dai commentatori – se pure fosse a digiuno di estetica, della durata e del valore delle forme, della funzione che esse esercitano sul pubblico e del tempo di fruizione di un’opera d’arte, di tutte queste cose un po’ astruse insomma non si può non immaginare che il patron del Napoli capisca molto, anzi moltissimo. L’arte concettuale, alla Sarri, piace e conquista finché sorprende con i suoi meccanismi perfetti, veloci e scattanti, ma poi dopo tre anni gli spettatori si abituano (gli avversari si adattano) e succede come al Napoli stanco degli ultimi due mesi di campionato che il gioco seriale si rallenti fino a mostrare una ripetitiva e intrinseca banalità, un palleggio di idee che vanno avanti e indietro ma non portano più a niente. Quando smettono di funzionare tutti i concetti diventano noiosi.

Quello che De Laurentiis forse si aspetta da Ancelotti non è pertanto la negazione del sarrismo, ma un’ideologia nuova più fluida, aperta al cambiamento e all’improvvisazione. Come in arte, così forse nel calcio – in politica lo stiamo sperimentando malamente – quel che può funzionare nel prossimo futuro è un’estetica mutante, un po’ concettuale (Sarri e Guardiola) e un po’ figurativa (spettacolose le ultime giocate di Ronaldo e Bale). Mai dimenticando che l’importante è finire in bellezza, cioè vincere qualcosa (Mourinho dixit). E allora che la forza vera sia con Ancelotti.

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