Burgnich: "Dall'Inter al Napoli, quel giorno la mia vita cambiò! Vi racconto"

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Burgnich: Dall'Inter al Napoli, quel giorno la mia vita cambiò! Vi racconto

Ultime news SSC Napoli - Tarcisio Burgnich, ex grande difensore prima dell'Inter e poi del Napoli, ha parlato così a Il Mattino:

Chi la fece dannare di più, in campo?

«C'è da chiedermelo? Il grande Pelè. Fu inarrestabile nella finale in Messico. Volava, non saltava».

Quando seppe che era diventato un calciatore del Napoli?

«Ad Appiano Gentile, dove ero in ritiro con la Nazionale in vista dei Mondiali del 1974. Mi avvicinò Franco Janich, direttore sportivo del Napoli, e mi disse sei dei nostri. Chiesi che significava e mi rispose sei del Napoli, abbiamo l'accordo con l'Inter».

Come reagì?

«D'impeto, senza peli sulla lingua dichiarai: finché servivo all'Inter mi trattavano con rose e fiori, ora vengo preso a pedate. Pensavo che, dopo 12 anni all'Inter, meritassi almeno una telefonata dal presidente. Invece, Fraizzoli non mi chiamò, ebbi solo un breve contatto con i dirigenti Manni e Cappelli. A 35 anni meritavo più rispetto».

Considerò il Napoli un declassamento?

«Per nulla. L'allenatore Vinicio, uomo di profonda preparazione e umanità, mi chiamò subito e mi disse che avrebbe impostato su di me, nel ruolo di libero, gli schemi di una squadra d'attacco, all'olandese. Una novità e quella squadra incantò tutti. Lamentavo il trattamento dell'Inter, non l'accoglienza del Napoli con cui subito mi accordai. Mi pagarono 50 milioni, primo acquisto di quella stagione. Ebbi un buon rapporto con il presidente Ferlaino, uomo di poche parole, ma serio negli impegni. Mi aiutò anche a risolvere i problemi logistici».

Dove abitava a Napoli?

«Al parco Miranapoli in via Petrarca. Un incanto. Dalla terrazza, al risveglio, vedevo il mare. Con mia moglie andavamo a comprare il pesce al mercato a Bagnoli. Quando scendevamo da Coroglio, guardavamo estasiati il panorama. A Napoli sono stato bene, giravo per i Quartieri spagnoli senza alcun problema».

Cosa ricorda di quella squadra?

«Era un gruppo molto unito, che sfiorò lo scudetto. I più anziani eravamo io e Canè. Al mio primo anno in azzurro, finimmo secondi in campionato e semifinalisti in Coppa Italia. Ci si mise Altafini, core 'ngrato a Torino, a guastarci la festa nella partita persa contro la Juventus. Il nostro era il gioco più spettacolare della serie A, arrivammo agli ottavi in Coppa Uefa. Giocai tutte le partite. Ci divertivamo davvero e facevamo gruppo, Vinicio inventò schemi innovativi. Ci divertivamo ad applicarli».

Grazie, vuole aggiungere qualcosa?

«A Napoli sono stato bene e ho vinto l'unico trofeo che ancora mi mancava: la Coppa Italia nel 1975 e l'anno dopo anche una Coppa di Lega italo-inglese. Finii in bellezza la mia carriera. Tre anni dopo, mi chiamò Juliano, che era stato il mio capitano, allora direttore sportivo, per propormi di allenare gli azzurri. Non se ne fece nulla. Nel 1991, allenai invece la Salernitana. In panchina conquistai una promozione in serie A con il Como e allenai, in squadre diverse, calciatori come Claudio Ranieri, Mancini, Massimo Mauro. Smisi di giocare a 38 anni, dopo la partita persa in Coppa Italia il 9 giugno 1977 contro il Milan. In campo, tanti avevano la testa già in vacanza. Chiesi di uscire dal campo e decisi di chiudere. Pensi, 3 anni dopo, il mio ruolo in azzurro lo avrebbe ricoperto Ruud Krol».

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