Coronavirus, il virologo Pregliasco: "No a folle e assembramenti anche se in zona gialla, altrimenti rischiamo nuovo lockdown"

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Virologo Fabrizio PregliascoVirologo Fabrizio Pregliasco

Ultimissime Coronavirus Italia - Parla il virologo Fabrizio Pregliasco all'edizione odierna di Repubblica Napoli

Ultimissime Coronavirus Italia - Tutta quella gente a passeggio nel fine settimana nelle zone gialle non ha colto di sorpresa uno dei principali analisti della pandemia da coronavirus, il virologo Fabrizio Pregliasco, docente all’Università di Milano.

Coronavirus Italia, il virologo Pregliasco: rischiamo nuovo lockdown

Fabrizio Pregliasco, intervistato dall'edizione odierna di Repubblica Napoli, però avverte:

«In questo momento sono a Firenze e c’è folla anche qui, nel Centro storico, proprio come sul lungomare di Napoli. Capisco che stiamo sottoponendo i cittadini a una maratona, ma è bene essere chiari: senza comportamenti responsabili rischiamo di dover chiudere nuovamente tutto».

Però è anche vero che le regole in zona gialla consentono di uscire e aprire i negozi, professor Pregliasco.

«Io imposterei il discorso in un altro modo: ogni contatto fra umani, in questo momento della nostra vita, deve essere considerato un potenziale veicolo di infezione. Le misure di contenimento mettono dei paletti, il resto dobbiamo farlo noi».

Coronavirus, il virologo Pregliasco

Teme anche lei una terza ondata?

«Il rischio che si inserisca nella seconda, tuttora in atto, esiste. Per questo è indispensabile essere molto attenti. È vero, stiamo attraversando una situazione pesante e difficile, ci sono categorie di lavoratori davvero vicine alla disperazione. Però dobbiamo bere una medicina amara perché solo con misure stringenti possiamo superare questo momento».

Lockdown e zone rosse non sono stati sufficienti, dunque?

«Ci hanno consentito di ottenere risultati importanti. La diffusione della malattia è stata mitigata. Ciò nonostante la curva non si è abbassata quanto speravamo e bisogna prenderne atto».

Non avrà ragione il governatore Vincenzo De Luca, quando dice che la suddivisione del territorio in fasce di rischio non serve?

«Non esiste un manuale di gestione scientifica del lockdown, soprattutto quando si decide di evitare una chiusura pura e dura per danneggiare il meno possibile l’economia. Ogni nazione ha fatto le sue scelte e su tutte si può discutere. Pensiamo alla Svezia: per mesi hanno evitato di assumere provvedimenti drastici, poi hanno dovuto prendere atto della situazione e sono stati costretti a piegarsi».

In Campania per il momento la didattica in presenza è limitata alle prime tre classi della scuola elementare. Lei è d’accordo?

«Se i protocolli di sicurezza sono applicati, le lezioni in aula non necessariamente contribuiscono a una diffusione del virus, è un aspetto quanto meno controverso. Altra cosa però è quello che c’è dietro e mi riferisco agli spostamenti. È vero che i più piccoli si contagiano meno, ma dai 12 anni in poi spesso non hanno sintomi e possono diventare veicolo del Covid in famiglia».

Dunque per scuole medie e superiori si dovrebbe aspettare ancora prima di tornare in classe, secondo lei?

«È vero che stiamo chiedendo a tanti giovani un sacrificio. Ma lo facciamo per tutelare la salute pubblica».

La variante inglese è davvero così pericolosa?

«È sicuramente più contagiosa. Proprio questo elemento ci conferma quanto sia fondamentale limitare la diffusione del virus, perché più si diffonde, più muta. Però non tutti i mali vengono per nuocere».

In che senso?

«La variante inglese deve spingere a un ulteriore sprint sulle vaccinazioni, perché dagli studi abbiamo avuto conferma che hanno effetto anche su questa mutazione del virus».

De Luca si è posto come obiettivo quello di fare della Campania la prima «regione Covid free d’Europa» entro il dicembre di quest’anno. Servono 8 milioni di dosi di vaccino. È una previsione realistica?

«Con un grande impegno a livello non solo regionale ma nazionale e soprattutto con la disponibilità dell’Europa può anche diventarlo».

Il governatore pensa di utilizzare chiese e teatri per somministrare il vaccino.

«È giusto che si faccia tutto il possibile per trovare i meccanismi utili a facilitare la proposta verso gli utenti. Non si può chiedere alle persone di rimanere in fila cinque ore, come mi pare sia successo proprio a Napoli. Va a finire che qualcuno cambia idea e se ne torna a casa».

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