Dionigi: "Che brividi quel rigore allo scadere contro la Triestina, con Scoglio volevo andare via! Io e Pasino come 'Totò e Peppino', ricordo il pollo nella scarpa di Carmando. Su Naldi, il fallimento e la morte di Sergio Ercolano..." [ESCLUSIVA]

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Davide DionigiDavide Dionigi

Davide Dionigi si racconta a CN24: dal fallimento con Naldi ai retroscena con Scoglio, Carmando e Pasino

Ultimissime Napoli calcio. Davide Dionigi è stato uno dei simboli del biennio calcistico azzurro dal 2002 al 2004: dal gol salvezza alla fascia di capitano, fu uno dei protagonisti nel periodo piu' buio del calcio Napoli. Un periodo complicato che culminò con il fallimento dell'allora società di Salvatore Naldi. "Re Davide", così era soprannominato il bomber partenopeo, fu uno dei simboli di quel Napoli per lotta e voglia di non mollare: autore di 27 gol in 64 presenze, abbiamo avuto il piacere di averlo ai nostri microfoni dove ci ha raccontato curiosità e retroscena della sua avventura all'ombra del Vesuvio: 

La maglia azzurra nel destino: esordì con la Reggiana in Serie A nel '94 proprio al San Paolo (1-0 gol di Carbone)
"In quel momento non avrei mai immaginato che un giorno sarei diventato un calciatore del Napoli. All'epoca ero un bambino di 19 anni che coronava un sogno esordendo nella massima serie. Ricordo che ci furono gli infortuni di Futre e Bresciani che formavano la coppia titolare, quindi venni gettato nella mischia. In quel Napoli c'era il giovane Cannavaro con Guerini in panchina, che poi è diventato la mia fortuna a Reggio Calabria. In quella partita ci sono due episodi che ricordo: nel primo scheggiai la parte superiore della traversa, mentre il secondo, quello più curioso, avvenne sotto la Curva A dove si aprì una voragine nel campo per un problema all'impianto di irrigazione". 

Nel 2002, dopo l'esperienza alla Reggina, ecco l'arrivo al Napoli: come nasce quella trattativa?
"A Reggio Calabria c'ero stato nel '96/97, poi ci tornai qualche anno più tardi quando tornammo in Serie A pareggiando 0-0 proprio a Napoli in una sorta di spareggio promozione. L'anno dopo Colomba chiude il suo ciclo alla Reggina e va proprio a Napoli: a Reggio avevano intenzione di cambiare e dunque io lo seguì in azzurro accettando il trasferimento. L'inizio non fu dei più facili per via di alcuni problemi fisici, ma alla fine riuscìì comunque a fare 19 gol senza le gare d'apertura". 

Fu una prima stagione complicata, con la squadra che rischiò di retrocedere
"Ricordo il rigore decisivo con la Triestina al 90' sull'1-1 al San Paolo, se l'avessi sbagliato la piega retrocessione si sarebbe complicata di molto. Fu un periodo difficile nel quale diedi tutto per cercare la salvezza: prima la doppietta contro la Triestina e poi un'altra doppietta la giornata successiva con l'Ascoli sempre in casa. In quelle ultime 7 partite ne vincemmo 4, compreso il derby contro la Salernitana, consentendoci così di mantenere la categoria. Se fossimo retrocessi sul campo sarebbe stata un'onta troppo grande da digerire". 

Il rigore contro la Triestina davanti a 60mila spettatori per la salvezza: cosa si prova in quegli attimi?
"Ci sono due partite clamorose che ricordo, appunto quella contro la Triestina ma anche quella con il Vicenza. Sul giro palla avversario il San Paolo era qualcosa di incredibile, i fischi dei tifosi erano assordati e inducevano all'errore le altre squadre. Fu una sensazione incredibile, pensare che per una partita di Serie B ci fossero 60mila spettatori a sostenerti. Tornando al rigore decisivo fu un mix di emozioni: mi passarono per la mente tanti pensieri, anche perchè ne avevo già tirato uno in precedenza e la guerra psicologica con il portiere era più complessa. La pressione era tanta ma al gol mi tolsi un peso (sorride,ndr)". 

Eppure quella squadra era costruita per altri obiettivi: c’erano Stellone, Sesa, Vidigal, Husain, Montervino, Montezine e tanti altri. Cosa andò storto?
"Le aspettative erano altre, ma quel Napoli non giocava male. Però ci sono quelle stagioni dove le cose non ti vanno per il verso giusto, anche Stellone ebbe dei problemi fisici e non sempre riuscimmo a giocare insieme. A Napoli la pressione è diversa, forse qualcuno non era ancora mentalmente pronto a giocare per vincere. Alcune partite, ad esempio, che meritavi di vincere e addirittura le hai perse... allora piano piano è iniziato a subentrare un po' i scoramento per la mancanza di risultati. Quello fu il primo anno di Naldi da presidente, questo portò tante attenuanti con la stessa tifoseria che si strinse attorno alla squadra nel momento di difficoltà. Lo spogliatoio era comunque unitissimo a livello umano". 

La situazione non migliorò nella sua seconda stagione azzurra
"L'anno dove si toppò clamorosamente fu invece il secondo. Arrivarono tanti giocatori da una certa corrente e questo andò ad intaccare certi equilibri interni di noi che eravamo lì da più tempo. Nella prima stagione c'era più unità di intenti, magari per via della retrocessione, mentre l'anno dopo qualcosa cambiò. La società provò a riformare la coppia di Reggio con Savoldi che vinse la Serie B. Poi avevamo Pasino che arrivò il gennaio precedente, era la mia spalla ideale un po' come 'Totò e Peppino'. C'erano le condizioni per far bene ma non scattò quella scintilla. Partimmo con Agostinelli, persona eccezionale, però l'avvio fu disastroso con zero vittorie nelle prime otto partite. Poi arrivò Simoni in panchina e le cose iniziarono a migliorare, perchè fu dato un equilibrio diverso. Ci riprendemmo e riuscimmo a concludere la stagione in una posizione tranquilla".

Sotto la cenere, ma neanche tanto, inizavano però a covare i primi problemi societari: che rapporto c'era con il presidente Naldi? 
"Si cominciò a parlare dei primi stipendi spalmati per chi aveva contratti pluriennali. Lì cominciò a cigolare tutta la struttura fino al fallimento. Naldi era una bravissima persona, che però come tutti i presidenti che entrano nel calcio senza esperienza si rivelò troppo ingenuo. Mi ricordo che quando finì il campionato io avevo intenzione di rimanere e parlai proprio con il presidente: "Io resto volentieri, mi dica che salverà la società", gli dissi queste parole. Lui mi voleva bene, forse a cuor leggero, rispose: "Cercherò di fare il possibile, vorrei che rimanessi". Purtroppo però la storia è andata diversamente come tutti conosciamo". 

Avellino-Napoli del 20/09/03 è tristemente ricordata per la scomparsa del tifoso azzurro Sergio Ercolano: cosa ricordi di quella sera?
"Io ero assente per infortunio, fu una scena drammatica. Chi era lì me lo raccontò come un'atmosfera surreale che ovviamente colpì tutti, ovviamente anche noi della squadra". 

Tornando al primo anno in azzurro ci furono ben 4 cambi in panchina (Colomba, Buso, Scoglio e poi di nuovo Colomba): che rapporto aveva con "Il Professore"?
"Scoglio l'ho vissuto in due stagioni della mia carriera, all'inizio fu un disastro. A Torino ero un ragazzino di 19 anni e per un giovane era difficile giocare, erano ovviamente tempi diversi con la famosa gavetta. Scoglio era uno di quegli allenatori che gestiva così i ragazzi, seppur fosse un vero innovatore. All'epoca per quella gestione mi fece un po' arrabbiare. Lui poi andò a Cosenza mentre io passai alla Reggina, segnando il gol nel derby che lo fece esonerare: ricodo anche un'esultanza importante andando davanti alla sua panchina, come liberazione per il nostro trascorso. Arrivo poi a Napoli e dopo l'esonero di Colomba arriva l'annuncio di Scoglio: io chiamai il mio procuratore Perinetti dicendo "Prendo e me ne vado, cedetemi perchè non voglio restare". Il direttore cercò di convincermi, mi parlò anche il suo secondo, ricordo che eravamo nello sgabuzzino delle maglie. Alla fine mi convinsero a parlare con Scoglio anche se ero arrabiatissimo. Entro nella sua stanza senza sapere cosa aspettarmi, ma lui esordì con: "Tu per me sei fondamentale!". Mi scappava da ridere in quel momento pensando al nostro trascorso, ma da quel momento ci chiarimmo e fui messo al centro del suo progetto tattico. Una persona incredibile che mi chiese anche chi prendere come spalla offensiva, io consigliai Pasino". 

Ma con Scoglio non è finita lì, ci fu un altro aneddoto molto divertente
"Nasce mia figlia con parto cesareo a Poggibonsi di lunedì mattina, noi giocavamo la domenica ed io avevo programmato di rientrare il martedì sera. Lui mi fa: "No, tu torni venerdì!", io rimasi spiazzato perchè c'era da allenarsi ed alla fine rientrai il mercoledì mattina a Napoli. Questo a testimonianza di quanto Scoglio fosse una bella persona, che ho riscoperto nel corso della carriera dopo le prime incomprensioni. Un personaggio autentico, con un'umanità differente rispetto a quella attuale". 

Tra i tanti compagni di squadra c'era anche David Sesa, talento svizzero che a Napoli non ha mai dimostrato tutto il suo valore: che tipo era? 
"Ho un grande rapporto d'amiciza con David, una persona eccezionale dal punto di vista umano ed un calciatore dal grande talento. Tecnicamente è uno dei più forti che abbia mai visto, però aveva bisogno di sentire la fiducia per potersi esprimere al meglio. Se viene messo in discussione accusa il colpo, ma nelle partite dove era a suo agio non ce n'era per nessuno. Va anche detto che quel periodo a Napoli non fu facile per nessuno, la pressione della Serie B ed i problemi extra campo furono determinanti. Tutti si aspettavano altro da noi e ricordo quella pressione come una delle più complicate nel mondo del calcio degli ultimi 20-30 anni. Noi vivevamo in un limbo che non era nè carne nè pesce, per questo la situazione ambientale era difficile". 

Si arriva così al fallimento con l'arrivo di Aurelio De Laurentiis: ci furono contatti per una permanenza a Napoli?
" Non ho mai sentito il presidente, credo avessero l'intenzione di tagliare con il passato. Evidentemente il loro filo conduttore era un altro, non ci fu nessuna proprosta per restare. Nel caso fosse arrivata l'avrei valutata senza problemi, anche scendendo di categoria in Serie C. Per il Napoli lo avrei fatto".

Nonstante le difficoltà del primo anno, si creò una bella armonia nello spogliatoio: ci racconta l'episodio più divertente di quel periodo?
"Ce ne furono tanti, tra scherzi e prese in giro. Nonostante la situazione non facile avevamo un bel feeling tra noi compagni. Uno degli episodi che mi fece maggiormente ridere avvenne però con Carmando. Avevo preso un pestone sul collo del piede calciando sui tacchetti di un difensore, procurandomi una micro-frattura. Io però dovevo giocare e provai con infiltrazioni e iniezioni varie per attutire il dolore, ma non passava.  Un giorno stavamo cercando quancosa che attutisse il colpo quando calciavo, perchè vedevo le stelle: Carmando allora si presentò con una fetta di pollo sottile che mi inserì nella scarpa come cuscinetto per aumentare lo spessore. Se ci ripenso oggi mi viene ancora da ridere". 

Cosa vuol dire Napoli da calciatore?
"Nonostante le difficoltà che abbiamo affrontato, c'è sempre stata una sorta di magia. Lo dico sempre, o da allenatore o da giocatore, almeno una volta in carriera l'esperienza di Napoli va fatta. Ho avuto la fortuna di farla e la rifarei mille volte, anche nel male e nei periodi complicati. L'affetto dei napoletani è incommensurabile, ho sempre tanti amici ed ogni volta che torno è un piacere. Spesso capita che anche calciatori più talentuosi, non riescono ad entrare nel cuore dei tifosi: io magari non sarò stato quello con più talento, e alle volte c'è anche stato qualche battibecco per alcuni errori in zona gol, ma ho sempre sudato la maglia e dato tutto. Penso che questo sia stato apprezzato dai tifosi azzurri, la mia autenticità nel non risparmiarsi mai". 

Ha avuto modo di avvicinarsi alla fede cristiana col tempo. Cosa l'ha spinto a farlo e come l'ha cambiato?
"Accade nel percorso della vita, non solo in relazioni agli atleti di Cristo. O c'è la fede oppure no, non ci sono vie di mezzo. Ad un certo punto bisogna capire qual'è la propria strada, io l'ho capito ed ho fatto una scelta. Ho scelto di credere in Dio, questo mi da la possibilità di avere un futuro. E' un atto di fede chiaro e semplice, in un mondo di difficoltà dove gli errori sono all'ordine del giorno". 

Nella sua carriera ha giocato anche a Firenze, dove fu chiuso da Batistuta
"Feci 24 gol a Reggio Calabria in Serie B avendo appena 21 anni. Pensavo di tornare al Milan ma non avrei giocato vista la concorrenza, ma volevo giocare in Serie A. Fui molto vicino al Lecce, ma Malesani fu ingaggiato dalla Fiorentina che doveva risolvere la situazione Batistuta: l'argentino ogni anno non si sapeva se sarebbe tornato e mi dissero che sarebbe stato ceduto, per questo decisi di accettare di andare a Firenze. Vivendo a Siena ero anche vicino a casa ma a dieci giorni dall'inizio della stagione Batistuta tornò ed io non giocai più. A gennaio chiesi la cessione ed approdai al Piacenza". 

Del Napoli attuale conosce molto bene Di Lorenzo, avendolo avuto al Matera: si aspettava una crescita del genere?
"Lui all'epoca era svincolato e senza richieste, lo avevo visto nei giovani della Reggina. A noi serviva un difensore e feci il suo nome, nonostante lo scetticismo generale. Alla fine lo portammo a Matera dove lo feci giocare nella difesa a tre. Non ho mai avuto dubbi sulla sua esplosione perchè ha doti fisiche e umane importantissime oltre ad un'attitudine al lavoro da vero professionista". 

Nel futuro di mister Dionigi cosa c'è?
"Speravo di rientrare ques'anno, un paio di opportunità sono saltate all'ultimo ed il Coronavirus ha poi bloccato tutto. Sono convinto di ripartire da luglio quando inizieranno i ritiri. Non credo che questa stagione possa ripartire, soprattutto per cercare di non intaccare il prossimo campionato".

In chiusura un saluto alla piazza napoletana
"Mando come sempre un saluto di cuore e d'affetto ai tifosi azzurri. Siete un grande popolo ed un grande pubblico, con l'augurio di portare a casa il prima possibile il terzo Scudetto".

RIPRODUZIONE RISERVATA

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