VIDEO SHOCK - Saadi Gheddafi torturato in Libia, giocò in Italia con Perugia e Udinese

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VIDEO SHOCK - Saadi Gheddafi torturato in Libia, giocò in Italia con Perugia e Udinese

La procura generale di Tripoli ha annunciato l'apertura di un'inchiesta dopo la pubblicazione di un video, diffuso da un sito di informazione libico, che mostra Saadi Gheddafi, figlio del defunto Colonnello, mentre viene torturato in un carcere delle milizie islamiste di Tripoli. Le immagini mostrano Saadi, ex calciatore con due presenze anche nella serie A italiana, vestito con una tuta verde mentre bendato in una stanza del carcere di Hadba ascolta spaventato le urla di alcuni detenuti provenire da un'altra stanza. Poi viene schiaffeggiato e torturato con colpi sulle piante dei piedi

Nel video si vede che i piedi di Saadi Gheddafi vengono infilati in una sorta di cavalletto ed un uomo barbuto inizia a picchiare le piante dei suoi piedi con un bastone, mentre si ascoltano le grida del figlio dell'ex rais. La procura di Tripoli ha chiesto che vengano identificate le guardie che compaiono nel video per poter prendere tutte le misure necessarie a riguardo. La missione Onu in Libia, tramite il suo portavoce, Samir Ghatas, ha espresso sconcerto per le immagini, aggiungendo che prenderà contatti con le autorità per fare luce su quanto accaduto. Saadi Gheddafi, negli anni del regime, è stato a capo della Federcalcio libica. Dal 2003 al 2007 ha pure militato nel calcio italiano: ha indossato le maglie del Perugia, dell'Udinese e della Sampdoria, scendendo in campo però una sola volta con gli umbri e una con i friulani. Poca gloria calcistica, ma abbastanza per finire nei guai con la giustizia sportiva: ai controlli antidoping dopo una partita col Perugia, è stato squalificato per tre mesi. Dopo la caduta della dittatura del colonnello Gheddafi, Saadi è fuggito all'estero ma è stato estradato dal Niger nel marzo del 2014 e condotto in un carcere di Tripoli, dove si trovano anche altre figure di spicco del regime.

Su di lui pesano pesanti accuse: avere represso nel sangue i dissidenti del governo del Colonnello, prendendo parte attiva nelle uccisioni dei manifestanti nelle proteste di fine 2011 e di essere implicato nell'omicidio nel 2005 di un ex calciatore libico. Tripoli lo accusa anche di presunta appropriazione indebita tramite la forza e l'intimidazione armata quando era a capo della Federazione libica di calcio. Rischia la pena di morte, condanna che invece è già stata inflitta al fratello Saif al Islam, considerato a lungo l'erede politico del padre e per il quale è stata disposta la fucilazione dalle milizie islamiche.

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