Le tre grandi assenze di Kiev, Rafa 'tradito'

Editoriale  
Le tre grandi assenze di Kiev, Rafa 'tradito'

di Claudio Russo – twitter:@claudioruss

A mente fredda, a poco più di mezza giornata dal triplice fischio di Milorad Mazic che ha fatto esplodere di gioia una squadra, il Dnipro, ed una nazione intera come l'Ucraina, la prima cosa che viene in mente guardando alle prossime tre partite del Napoli è: cercare di salvare il salvabile. Cesena, Juventus e Lazio. Tre partite per cercare di agguantare il secondo o il terzo posto, per mettere una pezza ad una stagione che, iniziata sotto gli auspici di scudetto pronosticati da Aurelio De Laurentiis (mentre si faceva scappare da sotto una caterva di centrocampisti, ripiegando a fine mercato su David López), rischia di assumere i contorni della delusione in caso di mancato aggancio di un piazzamento valido per la competizione europea più importante.

La Supercoppa Italiana vinta a Doha contro la Juventus è una luce che squarcia l'oscurità di tante partite giocate dagli azzurri quest'anno, tante partite dominate dal poco equilibrio e da errori individuali che hanno minato numerose prestazioni, nonchè una concentrazione ondivaga che spesso ha lasciato gli azzurri inermi davanti ad avversari dal valore tecnico inferiore ma dotati di una fame calcistica decisamente maggiore se paragonata ad alcuni calciatori. Questa squadra, lo ripetiamo da un po' di tempo ormai, manca di un leader emotivo in campo e nello spogliatoio: tecnicamente gli azzurri possono giocarsela con chiunque, ma quando la giocata non riesce bisogna fare affidamento a ciò che si ha dentro. Molti, però, quasi si sono nascosti al momento di ergersi sul piedistallo a guida dell'intera rosa.

Ieri sera è toccato a Gonzalo Higuain e Josè Callejon, affondati mestamente nel pantano del NSC Olimpiyskiy di Kiev: l'argentino e lo spagnolo, i due venuti dal Real Madrid (il terzo, Albiol, si è comportato invece bene) che all'improvviso scompaiono sul terreno di gioco contro una squadra ed una nazione intera: inglobato dalle parate di Boyko il primo, attanagliato da compiti difensivi su Konoplyanka ed uno scarso contributo offensivo il secondo. Ovvio, non si può buttare tutto all'aria visto anche il bottino di questi due anni ma ieri sera, nella partita più importante degli ultimi 26 anni, la loro assenza è stata determinante quasi quanto quella di Duvan Zapata in panchina: un errore incomprensibile, quello di Benitez. Che ha voluto portare con sè un Jorginho che, viste le condizioni del campo e la fisicità degli ucraini, sarebbe servito davvero a poco. Inutile giudicare le scelte di formazione, col senno di poi: avesse messo Hamsik da subito, qualcuno avrebbe sicuramente invocato l'impiego di Gabbiadini dal primo minuto e viceversa. Siamo arrivati al punto tale che Benitez, qualsiasi mossa faccia dall'inizio, venga tacciato di inettitudine da chiunque. Una situazione che, al netto degli errori, è intollerabile.

Viene a mancare la Coppa Italia, sfumata in semifinale e divenuta tutto ad un tratto importante dopo esser stata dileggiata pur avendola vinta la scorsa stagione. Viene a mancare l'Europa League, dileggiata dal presidente Aurelio De Laurentiis e definita una 'insurance' post-Champions dopo il pareggio dell'andata. Quella Champions che il Napoli avrebbe potuto giocare con maggiori probabilità se avesse avuto un centrocampo dello stesso livello del reparto offensivo: Inler, Gargano, David López e Jorginho sono quattro giocatori di uguale livello. Ognuno eccelle in qualcosa, nessuno si erge sugli altri tre. Considerando che Rafa Benitez aveva chiesto due mediani titolari, possiamo immaginare il fallimento delle sue idee personificato da Gargano: un giocatore encomiabile per l'impegno messo in campo, ma pur sempre uno che a Dimaro doveva essere di passaggio. Quando un giocatore passa dall'essere cedibile a fondamentale, vuol dire che le mosse della società non sono andate come tutti speravano. E quando hai un direttore sportivo che, coadiuvato dall'ottimo settore scouting, si ritrova a dover imbastire trattative senza avere il potere di firma puoi andare a trattare chi vuoi, purtroppo l'affare non lo chiudi.

Una colpa che viene imputata a Rafa Benitez è quella di esser stato, in un certo modo e a prescindere da tutti i richiami ai fatturati maggiori di Juventus e Roma, quasi "costretto ad accettere" un mercato che ha portato a Napoli giocatori di buon livello, da sgrezzare e magari più adatti al contesto tattico del 4-2-3-1, ma in definitiva non i giocatori che aveva chiesto lui. Aveva chiesto, e chiuso, Kramer-Gonalons-Romeu. Delle tre opzioni, nessuna è arrivata. Si sarebbe potuto dimettere, ma per una questione di stile personale non ha voluto farlo anche per abbracciare una sfida in compagnia di Higuain, Callejon ed Albiol. Tre giocatori che sono arrivati a Napoli proprio grazie a lui. Avrebbe potuto farsi sentire, sfruttare la sua eccellente dialettica comunicativa per dire che con quei giocatori i proclami di scudetto e lotta alla Juventus sarebbero finiti nel vuoto. Invece no. Rafa è stato tradito dal suo stesso ottimismo, quello che lo ha portato a voler lottare per tre fronti con una squadra che ha palesato limiti tremendi di personalità proprio nei momenti chiave della stagione, scarica mentalmente e venuta meno quando non doveva. Ci ha provato e ha messo i primi mattoni per una impresa che sarebbe rimasta nella storia, con giocatori evidentemente più adatti a preparare, mentalmente, le partite di coppa piuttosto che quelle di un campionato di basso livello che sta permettendo al Napoli e ai suoi alti e bassi di essere ancora in lotta per il secondo posto. Rafa finora ci ha provato, siamo sicuri del suo impegno nell'allenare calciatori buoni, bravi ma senza il carattere giusto. Ragazzi sopravvalutati dalla piazza dopo due vittorie e sottovalutati dopo due sconfitte. Ma i tifosi, pur non sapendo nulla dell'equilibrio professato da Rafa e pur rendendo il San Paolo uno stadio come gli altri lasciandolo vuoto per metà alla prima difficoltà, mettiamoli da parte. Hanno seguito il Napoli dappertutto, almeno loro ci sono stati sempre.

Capiamo gli impegni cinematografici del presidente Aurelio De Laurentiis, che nei suoi anni a Napoli è riuscito a costruire un giocattolo al limite della perfezione, ma la sua assenza ieri sera a Kiev ha fatto molto rumore. Ha fatto molto rumore il suo silenzio nel post-partita, lasciando Rafa Benitez in balia delle critiche di tutti. Avrebbe potuto scrivere un tweet di incoraggiamento alla squadra, un gesto minimo ma che avrebbe fatto da appiglio in una situazione dove le fondamenta mentali del Napoli sono venute meno ed hanno trascinato un allenatore, una squadra e tutti i suoi tifosi nel baratro più assoluto. Un appiglio al quale ci si sarebbe potuti aggrappare nel momento di sconforto più generale (tacciamo su chi aveva già acquistato i biglietti per Varsavia, l'imprudenza al massimo potrà portare alla visita di una città ricca di storia): resta comunque l'assenza del presidente, l'assenza pubblica ovviamente. Quella che avrebbero voluto i tifosi. Higuain, il carattere e De Laurentiis: i tre grandi assenti della notte di Kiev. La notte in cui i sogni del Napoli sono andati in frantumi, assieme alle speranze e all'ottimismo 'europeo' di Rafa Benitez. L'unico appunto da fare, per il futuro, è sull'allenatore del Napoli: non dovesse essere Benitez, l'anno prossimo, è auspicabile lo stesso astio riservato dall'ambiente partenopeo nei confronti dello spagnolo per chiunque dirigerà i calciatori azzurri. Altrimenti si cadrebbe in quel pozzo senza vergogna chiamato incoerenza.

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