La grande giustifica e l'errore mai ammesso

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La grande giustifica e l'errore mai ammesso

Un anno potenzialmente storico sciupato in modo amaro, con resa preventiva. Partiamo però da una premessa doverosa e necessaria: Aurelio De Laurentiis, con l'ingaggio di Carlo Ancelotti, ha realizzato un capolavoro. Totale e unico. E non solo perché ha preso di fatto uno dei migliori allenatori al mondo, francamente impensabile fino al momento precedente all'annuncio ufficiale, ma anche perché ha così risollevato e ribaltato uno scenario che rischiava di sgretolarsi amaramente.

Solo un allenatore di assoluto spessore avrebbe potuto mantenere in piedi un palazzo destinato, statisticamente e umanamente, a crollare. E un allenatore di assoluto spessore è arrivato. Perché con un ciclo giunto agli sgoccioli e uno scudetto perso in modo clamoroso, il ridimensionamento sembrava matematico. Ineluttabile. Tutto già scritto: raggiunto il teorico picco massimo, addio per Maurizio Sarri ed espatrio collettivo. Invece no: la SSC Napoli rilancia vigorosamente. Il problema è che poi, come spesso capita, manca la ciliegina sulla torta. Dettaglio di chiusura che non corrisponde necessariamente in una campagna acquisti faraonica, ma più semplicemente a un paio di inserimento di rilievo. Magari anche solo uno, ma davvero importante. 

Napoli, la grande giustifica estiva

Il problema è che poco dopo il grande annuncio, la Juventus, tutt'altro che satura e appagata di sei scudetti consecutivi, rilancia spaventosamente fino ad oscurare del tutto il colpo realizzato da ADL: Cristiano Ronaldo, nonché l'affare del secolo al di là dell'epilogo finale in Champions League. Una trattativa che ha spazzato via sul nascere ogni minimo dubbio, ancor prima di scendere in campo e nonostante il pallone sia rotondo: Juventus campione. In Italia, chiaramente. Perché i giganti, o i piccoli ribelli che ci credono davvero, in Europa di certo non mancano. Ma quel colpo è stato comunque letale nei confini del Bel Paese. Ha stroncato sul nascere ogni possibile sogno remoto, ribadendo la forza del regime totalitario e spazzando via ogni minimo dubbio di stanchezza dei vincitori.

Da lì la grande giustifica. Per tutti. Napoli, Inter, Milan e Roma. Le prime due in particolare, le quali, al di là di ogni griglia estiva, partivano chiaramente davanti rispetto alle altre formazioni. E così il Napoli si è ritrovato in un limbo: chiaramente dietro la Juventus, ma sufficientemente davanti alle altre in virtù della mediocrità del torneo e l'eredità sarriana. O almeno decisamente dentro la Champions League. Poi secondo o quarto, poco cambia nella sostanza degli introiti che ne dipendono. Così è stato deciso di usufruire di quest'anno come stagione ponte, o anno di transizione come più comunemente si sente dire, così da capire chi potesse far parte del progetto e chi no. Come e dove migliorare quest'oganico. Piazzare un doppio colpo di rilievo, del resto, significava solo provare a stare nella scia della Juventus. Non giocarsela alla pari. E considerando che il vero obiettivo di De Laurerentiis è la Champions League, il patron azzurro ha preferito non svenarsi inutilmente. L'importante era riconfermare la rosa e inserire un paio di acquisti importanti come Alex Meret e Fabian Ruiz, seppur non determinanti nell'immediato. Tipico da SSC Napoli, che piaccia o no.

Napoli, i motivi dell'involuzione  

Risultato finale: obiettivo europeo centrato ma squadra sfaldata. Impresa sfiorata in Champions League, percorso deludente in Europa League e probabilmente fallimentare in Coppa Italia. Un avvio positivo e poi la caduta libera nel prosieguo della stagione. I motivi, probabilmente, sono riconducibili a tre punti. Primo: il bonus sarriano iniziale. Nella fase di partenza, infatti, tatticamente e non solo, il gruppo ha beneficiato e sfruttato quanto aveva assorbito nel precedente triennio. Ancelotti, con umiltà e intelligenza, ha cavalcato l'onda ancora non definitivamente sfumata del suo precedessore. Finito quel tesoretto, sono apparsi i primi problemi. Qui si entra nel secondo aspetto: giocatori probabilmente non del tutto adatti al credo tattico dell'allenatore emiliano.

Nel 4-4-2, soprattutto propositivo come lo si intende, servono esterni bassi che spingano intinterrottamente. Ed Elseyd Hysaj e Mario Rui non eccellono in questo. Non a caso Kevin Malcuit, giovane rampante, ha presto scalzato l'albanese semplicemente per caratteristiche e continuità. In mediana, invece, servono probabilmente dei tornanti a tutta fascia: se José Callejon è comunque importante poiché raro e preziosissimo equilibratore tattico, almeno dall'altra parte servirebbe una freccia rapida e capace di essere un tormento per la retroguardia avversaria. Piotrz Zielinski e Fabian, giocatori dalla grande tecnica, non hanno il passo da esterno di centrocampo. Il loro potenziale va valorizzato al centro, lì dove serbirebbe anche qualcuno che detti i tempi: Marek Hamsik non era un regista, ciononostante, da quando è andato via, il giro palla della compagine ne ha risentito abbastanza. 

Napoli, l'errore estivo mai ammesso 

E' stata sottovalutata, infine, la tenuta mentale della squadra. Tecnicamente è indiscutibilmente un organico all'altezza, ma forse non è stato messo in conto che questo collettivo avesse bisogno di stimoli. Incentivi che andassero oltre il solo approdo di un allenatore che, per quanto possa avere il palmares pieno, comunque non scende in campo. Un team psicologicamente stanco, a tratti saturo dopo un percorso lungo tre anni, e che ha ricevuto anche un segnale di resa a gennaio con l'addio del proprio capitano. Se ci si aggiunge il calo di uomini chiave tipo un involuto Allan, o assenze importanti come quella di Raul Albiol, ecco che il quadro è completo.  

In estate, invece, si è puntato troppo su un Dries Mertens comprensibilmente in discesa data l'età e le mille battaglie all'ombra del Vesuvio. Così come, nonostante un anno nel complesso positivo, si è puntato eccessivamente su Arkadiusz Milik. Per vincere, o quanto per provarci, serve anche altro. Serviva e servirà. In estate non saranno ammessi errori: bisognerà puntellare a dovere una squadra già importante e a cui non manca troppo per raggiungere un certo livello. Se sarà davvero il primo anno effettivo di Ancelotti, allora il tecnico dovrà farsi sentire in sede mercato. E se i top player proprio non potranno esserci, che arrivino quanto meno giocatori di personalità e qualità. Stop alle figuracce e al ruolo di Napoli eterno incompiuto: il percorso della nuova era azzurra è indubbiamente virtuoso, ma ora serve il sigillo definitivo. La famosa ciliegina che città e società meritano. Altrimenti ci sia chiarezza totale, per la pace e/o rassegnazione di tutti. 

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