Philippe Vilain: "Io, il mare, i napoletani e la prima volta che entrai nello stadio di Maradona..."

Le Interviste  
Philippe Vilain: Io, il mare, i napoletani e la prima volta che entrai nello stadio di Maradona...

Philippe Vilain parla di Maradona

Serie A - Philipe Vilain, letterato, scrittore e saggista francese, racconta così il suo rapporto con la città di Napoli tramite le pagine di Repubblica

"I miei ricordi di Napoli sono un misto di momenti tristi e allegri, sentimenti multicolori.
Sentimento nero, quando, solo, nel giugno 1998, piangevo per mio padre morente, che era appena stato ricoverato in un ospedale parigino. Allora, non possedevo un cellulare. Annie, che era incaricata di darmi notizie, mi spediva lettere che non ricevevo.
Mi ero ripromesso di studiare, di andare avanti nel mio percorso universitario, ma non ce la facevo, e restavo solo per ore sul muretto davanti a Castel dell’Ovo, ad ascoltare un vecchio tzigano che suonava ‘O sole mio al mandolino.
Sentimento giallo nel luglio 2009, a Ischia, con Pauline, la ragazza con la macchina rossa, e nel maggio 2012, quando mi fece la sorpresa di aspettarmi, un sabato a mezzogiorno, a piazza del Plebiscito. «No!», gridai vedendola, mentre continuavo a parlare al telefono con lei che credevo a Parigi. Sentimento rosso un anno più tardi, ottobre 2013, quando, sulle rocce davanti a Castel dell’Ovo, nello stesso posto in cui avevo pianto mio padre, restammo annichiliti da una nuova disputa con la prospettiva di una separazione. E infine, sentimento azzurro, l’8 gennaio 2018 quando ritrovo Marina che, miracolo alla napoletana, avevo incontrato qualche anno prima a Place Saint-Michel a Parigi, a cento metri dal mio appartamento. Mi aveva rivolto la parola, e non avevo più smesso di scriverle. Non so perché ho saputo subito che l’avrei amata, che sarebbe stata la donna di un’altra vita, e in un certo modo è a lei, la messaggera, l’inviata speciale di Napoli, la bruna appassionata, la voce partenopea venuta a chiamarmi sotto la mia finestra a Parigi, che devo questa nuova vita napoletana. Napoli è entrata così tanto nel mio cuore perché ha segnato la mia vita sentimentale.
Napoli, avrei voluto vivere a Napoli, stabilirmi là, ritrovare Marina, realizzare un desiderio che inseguivo da molto tempo; mi sono sentito richiamato da questa città che contiene la mia felicità e il mio dolore, le mie gioie e i miei timori, le mie speranze e le mie disperazioni. Mi rendo conto adesso che non conoscevo Napoli così bene come credevo, e che è necessario aver vissuto a lungo, almeno per un anno, in una città, per conoscerla a fondo e apprezzarla, non con tutto il cuore, ma con tutto l’essere, che è diverso: amare una città, o anche una persona, è provarla in profondo, essere lei. Io ho sempre amato Napoli, ma quel mio amore si è arricchito dell’esperienza che ho ormai di questa città, di una napoletana, della serena routine delle abitudini di incontrare e conoscere i suoi abitanti, di farsi anche accettare, di parlare e di stabilire un rapporto di fraternità con loro. Non sono nato a Napoli, non parlo il napoletano e lo capisco male, ma mi sento profondamente napoletano di spirito, di animo e di cuore. Mi riconosco in loro, i napoletani.
Napoli è un’appartenenza. E come Stendhal volle che sul suo epitaffio venisse scritto “Milanese.
Scrisse. Amò. Visse.”, sul mio vorrei che figurasse: “Napoletano”. Le mie gioie più grandi sono anche le più semplici: prendere un caffè al Gambrinus e un caffè alla nocciola da Ciro a Mergellina, pranzare con un piatto di pasta sulla terrazza del Caffè Chiaia, gustare la sfogliatella frolla da Mary, all’ingresso della grande Galleria Umberto I, guardare una partita di calcio in mezzo ai napoletani in una sala da gioco di via Santa Lucia o al ristorante Acquolina.
Amo anche, più di ogni altra cosa, contemplare Napoli dalla Certosa di San Martino, fermarmi nelle chiese, andare allo stadio San Paolo (la prima volta che ho visitato lo stadio vuoto, gli spogliatoi, e ho camminato sul campo di gioco, ho sentito i brividi, una grande emozione; ricordi, immagini e sogni si sovrapponevano: non cessavo di ripetermi, come per convincermene, che era lì, proprio lì, che aveva giocato Maradona, che in quel punto aveva segnato quel meraviglioso calcio di punizione a parabola contro la Juventus) e correre sulla baia al mattino, da Santa Lucia a Mergellina, dall’inizio di via Caracciolo all’altezza del consolato americano, farmi il segno della croce davanti a una statuetta probabilmente piazzata tra gli scogli per vegliare sui pescatori, che io chiamo “mon petit père” perché assomiglia a mio padre, barbuto come lui. È un rituale a cui tengo, una preghiera mattutina che mi dà la sensazione che mio padre non mi abbia lasciato, che se c’è un posto su questa terra in cui lui, il pescatore-bevitore, può ancora incarnarsi senza temere di essere giudicato, è proprio là, a Napoli, in mezzo alle rocce che guardano il mare. Napoli sotto la pioggia, d’inverno, a febbraio, mi piace meno, anche se ha colori sontuosi. La pioggia offusca la città, mi fa pensare a certe strade lastricate di Rouen. Sotto la pioggia Napoli assomiglia a una città medievale.
Diventa una città infinitamente triste. Il paesaggio non è altro che una scala di grigi, fino al mare cenerino, smeraldo sbiadito.
Napoli si dà tutta intera, si offre, è per questo che non sopporta la pioggia, i ripiegamenti e le ritirate. Non è previsto riparo. La notte, i temporali suonano come bombardamenti".
 

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