Savini: "Io e Grava i più bersagliati al San Paolo. Dopo una sconfitta vennero i tifosi a protestare. Ricordo Marino nel pre Genoa-Napoli. Quando Russotto fece ammattire me, Cannavaro e Maldonado..." [ESCLUSIVA]

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Savini: Io e Grava i più bersagliati al San Paolo. Dopo una sconfitta vennero i tifosi a protestare. Ricordo Marino nel pre Genoa-Napoli. Quando Russotto fece ammattire me, Cannavaro e Maldonado... [ESCLUSIVA]

L'ex vice allenatore dell'Empoli, Mirko Savini, ha rilasciato una lunghissima intervista a CalcioNapoli24: dall'arrivo al Napoli di Reja fino all'esperienza in Grecia.

“Io e Gianluca Grava eravamo sempre i più bersagliati al San Paolo. Il suo numero 19 andava su e giù per la fascia sinistra di quel 3-5-2 di Eddy Reja, all’epoca tecnico del Napoli. “Ma io ero un centrale, per me quel ruolo era nuovo ed i tifosi mormoravano”. Spiega così, Mirko Savini, ex vice allenatore dell’Empoli, in esclusiva a CalcioNapoli24.it, il suo periodo napoletano, tra il passaggio in A e i racconti su Marino, De Laurentiis, Lavezzi e tanti altri protagonisti di quegli anni. Non solo, l’avventura al PAOK in Grecia ed il suo nuovo impiego come allenatore in seconda alle spalle di Christian Bucchi:

Romano doc, i tuoi inizi calcistici con la maglia della Lodigiani. Tra i vari Stellone, Cupi, Moretti, Vigiani e Sgrigna spunta un Luca Toni che nella stagione 98/99 in C1 fece 15 goal. Che ricordi hai di lui? “Luca è un classe '77, venne dopo il Fiorenzuola. Per tutti noi fu un anno particolare, per me era il secondo di C. Fu un anno anche molto bello, c'era Attardi in panchina e coi goal di Luca arrivammo molto vicini ai play off. In quegli anni la Lodigiani era composta da prestiti di altre squadre. C'erano i vari Cardascio, Pinton, Toni, poi c'era Pino La Scala che era la nostra guida. Luca segnò solo due goal l'anno prima al Fiorenzuola, poi venne alla Lodigiani e segnò un sacco. Eravamo molto giovani, ma ricordo una bravissima persona. Chi arrvava da fuori viveva in un hotel, non era semplice secondo me. Era un ragazzo simpatico, brillante e lo è tutt'ora”. 

Due anni alla Fermana, sempre in C1, e poi il passaggio all’Ascoli in Serie B. La piazza dove hai spiccato il volo. Che avventura hai avuto modo di vivere dal punto di vista calcistico, ma anche umano? “Ricordo bene sia Fermo, che è stata la mia prima esperienza fuori casa, che Ascoli. A Fermo c'erano poche strutture, è stato un anno particolare e ci togliemmo qualche soddisfazione. Poi la Serie B tanto sognata con l'Ascoli dopo cinque anni di C. Gruppo fantastico, venivano dalla promozione dalla C alla B con Pillon allenatore.  Facevamo fatica fuori casa, ma in casa era dura per gli altri. Avevamo una buona squadra. Bruno, Brienza e tanti altri”. 

In quell’Ascoli c’era anche Andrea Barzagli. L’avresti mai detto che sarebbe diventato tra i più forti difensori italiani degli ultimi anni? “Già quando era ad Ascoli era forte, ma col tempo è migliorato un sacco. Andrea è un ragazzo a modo, molto quadrato e tramite il lavoro ha raggiunto obiettivi molto importanti”.

Alla tua seconda stagione in bianconero c’era una colonia napoletana lì ad Ascoli: Pià, Fontana, Sosa, Coppola ed Aronica. Che Pampa hai avuto modo di incontrare lì bianconero? “In quell'anno feci solo sei mesi ad Ascoli, poi partì per Firenze. Conoscevo già Montesanto e Pià con cui ho condiviso anche l'esperienza di Napoli. Con Gaetano Fontana ho addirittura fatto il filotto Ascoli-Firenze-Napoli. Quello di Ascoli era un gran bel gruppo e non lo dico per retorica. Nelle realtà più piccole c'è più occasione di creare dei buoni rapporti umani. Il Pampa aveva già fatto grandi cose in A con l'Udinese, era un giocatore molto forte. Però era un sudamericano atipico, diverso. Era molto pacato, meno esuberante degli altri che ho conosciuto”. 

Mirko Savini e Salvatore Aronica ai tempi di Ascoli. 

Un anno e mezzo ad alto rendimento tanto da attirare le attenzioni della Fiorentina che intanto, lottava per tornare in A quell’anno. Immagino non abbia esitato un attimo a dire sì alla Viola. “Era fine dicembre, per me si presentò un'occasione importante perchè per un calciatore giocare ella Fiorentina è tanta roba. Ad Ascoli stavo bene, ma ai Viola non potevo dir di no. Passammo in Toscana io, Fontana e Cejas, ci giocammo le nostre carte per andare in A e ce la facemmo”. 

Mirko Savini con la maglia della Fiorentina. 

Il capitano era Angelo Di Livio. “Il suo curriculum parla da solo. Era simpaticissimo poi, troppe risate ricordo con lui”.  

Di Livio, Savini e Gaetano Fontana alla Fiorentina. 

Un ricordo su Emiliano Mondonico, un aneddoto particolare. “Quell'anno fu molto importante per noi, venne dopo Cavasin e ci aiutò molto per arrivare in A. Fu la nostra forza perchè aveva un carisma esagerato ed a volte una tranquillità che ci ha permesso di arrivare in A”. 

Giusto un anno e mezzo coi viola, poi arrivò la chiamata del Napoli. Dalla A alla C, cosa e chi ti spinse a dire sì a Pierpaolo Marino? “Sia Firenze che Napoli sono due grandi piazze, ma passare dalla Fiorentina al Napoli fu un po' come passare dall'Ascoli alla Fiorentina. In Viola arrivò Prandelli ed io non rientravo nelle sue idee tecniche. Meglio di Napoli non potevo scegliere, sapevo che la società avrebbe voluto fare grandi cose ed accettai subito”. 

Mirko Savini con la maglia del Napoli. 

Poi nel novembre di quell’anno la sfortuna venne a bussare alla tua porta. Grave infortunio in allenamento che ti costrinse a saltare quattro mesi di campionato. Ci racconti quel preciso momento? “Eravamo a Marano, facevamo un'amichevole ed ebbi uno scontro stupido. Poggiai l'esterno del piede destro sul polpaccio di un avversario e nel ricadere ho sentito 'crac'. Fu Peppe Santoro a portarmi all'ospedale e scoprì che mi si era rotto il quinto metatarso. In quel periodo, col dottor De Nicola, stemmo molto impegnati. A febbraio ripresi a giocare, tornai in campo contro il Martina e mi ruppi di nuovo il quinto metatarso. A quel punto Pierpaolo Marino ed Alfonso De Nicola decisero di portarmi a Villa Rubia per farmi operare”.  

Savini e l'abbraccio con Gargano. 

Però Reja faceva fatica a tenerti fuori. Il duo Grava e Savini si ricorda come fosse il titolo di un film. Che rapporto avevi con Grava? “Io e Gianluca siamo stati sempre i più bersagliati per via del ruolo e delle nostre caratteristiche. Facevamo i quinti di centrocampo, lui era un terzino ed io un centrale, non era proprio il nostro ruolo. Reja vedeva in noi l'equilibrio della squadra. Nonostante tutto facemmo una grande stagione in B”. 

Gianluca Grava e Mirko Savini con la maglia del Napoli. 

Che capitano era Montervino? “E' uno che teneva e tiene molto al Napoli, ci eravamo già affrontati da avversari. Lui era sempre molto convinto e credeva molto, sin da subito, all'arrivo del Napoli in Champions”. 

Sin da subito ti sei trovato bene a Napoli? Cosa ti piacque e cosa non ti piacque a primo impatto? “Mi trovavo a Firenze in una realtà molto ben organizzata, avevamo un centro sportivo con due campi a disposizione e la palestra. Il Franchi poi era un fortino. Arrivai a Napoli nel momento in cui De Laurentiis e Marino stavano costruendo. Nel primo periodo ci allenavamo un po' a Marano, poi al centro sportivo della NATO ed anche a Sant'Antimo. Quella società era in una fase di stallo, ma volevano creare qualcosa d'importante. Quando poi approdammo in Serie A si vide un certo cambiamento in tante cose. Sistemarono Castel Volturno e dentro di me pensavo 'è questa la rotta giusta'”.

Non fu difficile giocartela con Erminio Rullo. “A Lecce fece benissimo, ma a Napoli non mantenne le aspettative. Non è l'unico che fece fatica. Il carattere c'entra sicuramente, poi Napoli non è una piazza facile. Giochi davanti a quarantamila spettatori ogni domenica, il pubblico è esigente ed è abituato ad un certo calcio. Ci sono tante pressioni. Erminio è un bravissimo ragazzo, ma quell'anno non si espresse a buoni livelli, anche se pure lui servì alla causa”. 

Erminio Rullo ai tempi di Napoli. 

Il momento più significativo della cavalcata dalla C alla A. “Genoa-Napoli 0 a 0 e la promozione in A. Quel 10 giugno per me fu una partita stupenda specie dopo la delusione della settimana precedente col Lecce. Ricordo ancora il discorso di Marino la sera prima, lui era uno esperto e lungimirante. Era convinto che saremmo arrivati in A perchè ce lo meritavamo. Ci diede forza e tranquillità allo stesso tempo. Ma poi fu straordinario vedere quel giorno le tifoserie di Genoa e Napoli a braccetto”. 

Festa promozione dopo Genoa-Napoli di Serie B. 

Ricordi ancora i festeggiamenti? “Tornammo a Capodichino e ci sarebbero dovuti essere i pullman rossi ad attenderci, ma fecero ritardo per via del traffico e dei tanti tifosi che vennero ad accoglierci. Girammo la città su questo pullman e la gente che c'era a salutarci era davvero un sacco. Poi verso le 4 di pomeriggio andammo al ristorante Rosiello a mangiare. Quella giornata finì alle 5 del mattino”. 

Chi era il tuo compagno più merenda a Napoli? “Gatti. Con lui condivisi tante cose, tra cui la camera. Facemmo insieme un percorso importante, poi arrivò Dalla Bona, arrivarono Bucchi e Domizzi con cui legai tantissimo. Era un gruppo fatto di forti personalità, ci furono anche degli scontri, ma l'obiettivo era comune, volevamo la A a tutti i costi e la raggiungemmo. Vivemmo un periodo particolare dopo la sconfitta di Bergamo contro l'Albinoleffe, i tifosi vennero anche al campo d'allenamento per protestare. Eravamo reduci da diciassette risultati utili consecutivi, ma a Napoli non puoi mollare”. 

Poi arriva Lavezzi in A. “Il mio primo anno di A andò benissimo, arrivammo ottavi e guadagnammo l'Intertoto. Il Pocho fece fatica al suo arrivo, Gargano un po' meno per le sue caratteristiche fisiche. Poi Lavezzi da Pisa in poi trovò consapevolezza e diventò fortissimo”. 

Ezequiel Lavezzi ai tempi del Napoli. 

E Zalayeta? “Era veramente forte, ma forte forte. Mi chiedevo 'Perchè lo fischiano? E' un giocatore così forte'. Il Pocho faceva i buchi a terra, ma Marcelo puliva ogni palla che gli arrivava”. 

A Napoli arrivò anche un giovanissimo Andrea Russotto che fu inserito nella classifica dei cinquanta giovani più promettenti al mondo. E poi? "Lo affrontammo in B contro il Treviso, lui entrò negli ultimi venti minuti e fece impazzire me Cannavaro, Maldonado e Giubilato. Era piccoletto, ci mandò al manicomio. Però la sua è la testimonianza che la tecnica, nel calcio, non è tutto”. 

Andrea Russotto con la maglia del Napoli. 

Se dovessi descrivere De Laurentiis in tre aggettivi… “Conobbi un De Laurentiis agli albori della sua carriera da presidente. Con noi c'era sempre il direttore Pierpaolo Marino, De Laurentiis si vedeva poco, anzi il giusto. Trascorremmo anche una Pasqua tutti insieme e c'era lui con la sua famiglia. Era voglioso di arrivare lontano, palesava già all'epoca che avrebbe voluto un grande Napoli”.

Che personaggio era l’argentino Navarro? “Era molto simpatico, come tutti i sudamericani era esuberante. Ho un ricordo piacevole anche di lui”. 

Però a Reja piacevi tanto vero? Com’era il tuo rapporto con lui? “Ad Eddy sì, il mister m'ha fatto sempre giocare, poi per esigenze tecniche ha fatto le sue scelte”.  

Edoardo Reja, ex allenatore del Napoli. 

Rescindesti il contratto col Napoli? Di cosa eri stufo? “Ero saturo solo dei sei mesi passati a non giocare perchè finì fuori rosa. Avevo 30 anni, ad oggi forse avrei reagito diversamente”.  

Palermo. Con Ballardini andavi d’accordo? “Sì, lo ebbi per sei mesi, anche a Palermo ho vissuto un gruppo eccezionale con i vari Balzaretti, Migliaccio, Cassani, Liverani, Bovo e Miccoli. Il mister giocava col 4-3-1-2, è un buonissimo allenatore”. 

Mirko Savini ai tempi di Palermo. 

Ti aspettavi che Cavani diventasse così forte? “Era già fortissimo insieme a Miccoli ed Hernandez, ma poi quello che ha fatto a Napoli ed a Parigi è stato spettacolare”. 

Come mai poi decidesti di andare in Grecia? “Ero in scadenza di contratto, non c'era nulla di concreto e mi chiamò Vryzas, mio ex compagno alla Fiorentina, che faceva il direttore al PAOK. Lì c'erano già calciatori che giocarono in Italia come Muslimovic, Sergio Conceicao, Veron. Lì per lì non ero convintissimo di accettare quella proposta, ma ad oggi dico che è stata l'esperienza di vita più importante per me. Mi aprì al mondo, mentre prima pensavo che tutto ruotasse intorno all'Italia. Città nuova, cultura nuova, cucina nuova. Poi c'era il mister, Fernando Santos, che poi ha vinto l'Europeo col Portogallo. Salonicco è molto simile a Napoli, il Golfo è quasi uguale e poi la tifoseria era gagliardissima”. 

Mirko Savini con la maglia del PAOK Salonicco. 

Nel tuo PAOK, nel 2009, c’era un certo Sergio Conceicao. Chi lo conosce lo descrive come un tipo un po’ permaloso. “Vero, ma molto simpatico anche. Ma sono tutti i portoghesi un po' permalosi forse... (scherza ndr)”. 

Poi hai deciso di fare l’allenatore e di seguire Christian Bucchi. Vi legava un rapporto d’amicizia importante sin da quando giocavate insieme? “C'è sempre stata molta stima tra noi, ci sentivamo due o tre volte all'anno. Ci accordammo quando lui smise di giocare e cominciò il corso di allenatore ed io ero indeciso sul da farsi. Però mi convinse, come persona mi piaceva tanto e dopo nemmeno mezz'ora dal suo invito lo accettai”. 

Hai mai avuto contatti col Napoli in passato, magari per il settore giovanile? “No, ho rivisto Paolo (Cannavaro ndr.) a Sassuolo. Sento Gatti, Blasi, Dalla Bona, Pià. Rivedo Iezzo ogni tanto, ma non sento più Gianluca Grava”.  

L'attaccante che più ti faceva ammattire? “Chevanton, fortissimo”.

Nella tua testa c'è l'intenzione di fare il primo allenatore in futuro? “No, sto bene al fianco di Christian e non ci penso nemmeno”.

Mirko Savini e Christian Bucchi che parlano con Calaiò e Grava. 

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