Fabio Cannavaro: "Coronavirus? In Cina siamo usciti dal problema grazie all'organizzazione. L'Italia deve fare comunità e capire i rischi"

Rassegna Stampa  
Fabio Cannavaro: Coronavirus? In Cina siamo usciti dal problema grazie all'organizzazione. L'Italia deve fare comunità e capire i rischi

Fabio Cannavaro parla dell'emergenza Coronavirus

Ultimissime calcio Napoli - Lunga intervista rilasciata da Fabio Cannavaro all'edizione odierna della Gazzetta dello Sport.

Venerdì è rientrato in Cina: com’è andata?

"Appena arrivato mi hanno sottoposto a tampone, per me è stato il terzo, e misurato la temperatura. Poi ho dovuto firmare un modulo in cui ho dichiarato dove fossi stato nell’ultimo mese e se avessi frequentato persone contagiate. A quel punto, come capita di fatto a tutti coloro che entrano nel Paese dall’estero, almeno quelli che provengono da luoghi già colpiti dal virus, vieni messo in quarantena per due settimane. Se hai un posto dove stare bene, altrimenti ti ospitano in alberghi attrezzati per garantire l’isolamento".

Circa due mesi di rigide restrizioni e ora ci si avvia alla normalità in Cina.

"Già e questo deve essere il messaggio positivo per noi italiani e per il resto del mondo. Si può debellare questo male ma serve severità e una grande organizzazione".

Facilitata anche da una dittatura.

"Vero fino a un certo punto. Quello cinese è un grande popolo che dobbiamo ammirare. Un miliardo e mezzo di persone hanno capito come dovevano comportarsi per salvarsi".

Ci racconti un po’ come ha vissuto quella fase più critica.

"Quando io sono arrivato qui a fine gennaio, appena esplosa l’epidemia a Wuhan, subito tutto è stato organizzato alla perfezione. Io dormivo allora nel nostro nuovo centro sportivo, ma a volte dovevo spostarmi per passare da casa: appena uscito dal centro trovavo il primo controllo della temperatura. Poi imboccavo in macchina la tangenziale e altro controllo della temperatura, sull’autostrada non si pagavano pedaggi per evitare contatti col personale ai caselli. All’uscita, altro controllo. Poi arrivavo a casa e nel mio condominio trovavo degli addetti con degli scafandri che mi rimisuravano la temperatura. E tornando indietro stessi controlli. Badate bene che parlo di Guangzhou, l’antica Canton, con venti milioni di abitanti e al tempo stesso lontana mille chilometri dalla regione del focolaio. E infatti da queste parti si sono registrati pochi casi. Quaranta giorni dopo, al mio ritorno, la vita è tornata a scorrere normale qui. La gente passeggia e sta nei locali serenamente".

Insomma quello cinese è un modello da replicare?

"Sicuro. Non era facile affrontare un mostro del genere, perché non c’erano precedenti. È prevalso il senso della comunità, i valori fondamentali della vita. A costo di sacrifici. La lezione è chiara al mondo. Ancora in molti non l’hanno capito. In Italia l’abbiamo recepita meglio di tutti. Siamo sulla strada giusta. Il comportamento della maggioranza è positivo. Anche se ancora qualcuno fa fatica a capire".

A cosa si riferisce?

"Faccio l’esempio di casa mia. Mio papà tende a non comprendere che deve cambiare abitudini per il bene suo e della famiglia. Lui deve comprarsi le sigarette dal tabaccaio per farsi quattro chiacchiere sotto casa con gli amici. Gli ho fatto capire che così rischia il contagio e poi di portarlo a casa a mamma. Non ci si deve proprio muovere dalla propria abitazione, per venirne fuori da questa situazione. Fa bene il governatore della Campania De Luca a essere severo. Gli scugnizzi che si credono immortali devono sapere che questo virus è... democratico. Colpisce proprio tutti. Vedete cosa sta succedendo con i contagi anche fra i calciatori. E poi tutti avete genitori, nonni: se voi ve la cavate loro faranno fatica a trovare un posto in terapia intensiva per salvarsi".

Al Sud la risposta è stata incoraggiante.

"Sì e ne sono orgoglioso. Sempre restando in famiglia Christian, mio figlio, sta studiando a Londra. Ma ho preferito farlo rientrare a Napoli: mi fido di più del nostro sistema sanitario, rispetto a quello inglese. Dobbiamo capire però che servono, serviranno, purtroppo, tanti posti di terapia intensiva. E se con i comportamenti non stiamo attenti, rischiamo un domani di costringere i nostri medici in prima linea - cui va il nostro grazie insieme a tutto il personale sanitario - a dover scegliere chi salvare. Questo dobbiamo averlo ben chiaro per evitarlo, ragazzi".

Preoccupato per la situazione in Italia?

«Ancora sì, perché non si è raggiunto il picco e bisogna resistere e restare concentrati in ogni gesto. Penso all’errore del passato fine settimana, quando migliaia di persone sono scappate dalla Lombardia verso Sud. Io non voglio condannare nessuno, capisco chi voleva tornare dai propri cari, ma è stato un evidente errore. Ora bisognerà aspettare ancora un’altra settimana per capire quante persone nel meridione sono state infettate, e vedere di restare con i nervi saldi finché passerà anche quel picco. Del resto uno dei pochi errori fatti in Cina, quando ancora non si era capito la velocità di propagazione della malattia, è stato quello di far uscire troppa gente da Wuhan. Ecco impariamo da quelle esperienze. Ma ripeto: sono orgoglioso di come si sta comportando l’Italia».

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