Un’intera città in lutto e due quartieri, uno attaccato all’altro, letteralmente sconvolti dalla tragica scomparsa di Piermario Morosini: Monterosso, dove il centrocampista del Livorno era nato e dove ancora trascorreva il suo tempo libero ogni volta che tornava a Bergamo, e Santa Caterina, dove vive la sua fidanzata Anna Vavassori. E’ vero che il “Moro”, pur avendo fatto tutta trafila nelle giovanili nerazzurre (Esordienti, Giovanissimi, Allievi e Primavera), non aveva mai giocato tra i professionisti con l’Atalanta (ed era pure un tifoso sampdoriano come aveva rivelato in un’intervista), ma era comunque un figlio di Bergamo e in molti lo conoscevano o ora lo ricordano. In città tornava spesso, quasi ogni settimana: dopo aver giocato con una delle sue tante squadre, riapriva la sua vecchia casa, proprio a un centinaio di metri dallo stadio. Non c’era solo Anna da andare a trovare, ma anche la sorella disabile, Maria Carla, ricoverata in una struttura dedicata. Era diventato un giocatore professionista, coronando il suo sogno, ma anche prima del tragico pomeriggio di ieri non si può dire che la vita fosse stata generosa con lui: aveva perso la madre Camilla per un tumore quando aveva 15 anni, il padre Aldo per un infarto due anni più tardi e poi pure un fratello, Francesco, anche lui disabile, che si era suicidato poco dopo. Prima di trasferirsi all’Udinese, nel 2005, ad occuparsi di lui era stata una zia, mancata pure lei circa un anno fa a 85 anni
PREGHIERA ALL’ORATORIO – Eppure, nonostante le molte disgrazie, Morosini non aveva mai perso la fede. Anzi, teneva molto alla sua vita spirituale e ogni volta che poteva passava dal suo vecchio oratorio per ritrovare gli amici di infanzia, gli stessi con cui andava abitualmente in vacanza ogni estate. Era un ragazzo dai principi e dai valori sani. E in questo modo l’hanno voluto ricordare ieri sera in un altro oratorio, quello di Santa Caterina in via Celestini (nel quartiere della fidanzata), dove chi lo conosceva si è ritrovato per dedicargli una preghiera.
SECONDO PADRE – Lo choc ha scosso anche la Bergamo sportiva. A cominciare da Mino Favini, responsabile del settore giovanile dell’Atalanta. Colui che aveva visto crescere il “Moro”, divenendone un punto di riferimento, una sorta di secondo padre quando la sua adolescenza era stata sconvolta dalle tragedie familiari. «Devo dire che la vita è stata cattiva con lui, l’aveva preso di mira – dice con la voce piena di tristezza –. Sul suo volto si vedevano i segni della sofferenza, ma trasmetteva comunque serenità e dolcezza. E’ per questo che ha lasciato un ricordo splendido. Era un ragazzo eccezionale, che si faceva ben volere da tutti. Non aveva mai avuto un problema con un allenatore ed era sempre diventato capitano di tutte le squadre giovanili in cui ha giocato». Anche la Polisportiva Monterosso, dove Morosini aveva tirato i primi calci al pallone, l’ha voluto ricordare con un messaggio di cordoglio sul suo sito web: «E’ bastato un terribile attimo... E ora ognuno di quelli che lo conosceva e lo amava lo piange».
IL DESTINO – C’è pure il dolore degli ex-compagni. Di Bellini, il capitano dell’Atalanta, che aveva conosciuto il “Moro” quando, da talento della Primavera, aveva cominciato ad affacciarsi alla prima squadra. «Lo ricordo come un ragazzo eccezionale – racconta a Sky -. umile e pacato, che non ha mai fatto pesare ai compagni tutti i suoi problemi familiari, sempre col sorriso sulle labbra». Con Bonaventura Morosini aveva trascorso 6 mesi al Padova, nel 2010. «Sono distrutto – dice a “Radio Sportiva” -. Purtroppo, quando ci si mette il destino non c’è nulla da fare...».