Baldini: "Andai a prendere Matuzalem in carcere! A Via Tasso mi colpirono con le mazze da baseball. Le botte tra Edmundo e Mondini, le vomitate con Zeman e il telegramma inedito di Ferlaino" [ESCLUSIVA]

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Baldini: Andai a prendere Matuzalem in carcere! A Via Tasso mi colpirono con le mazze da baseball. Le botte tra Edmundo e Mondini, le vomitate con Zeman e il telegramma inedito di Ferlaino [ESCLUSIVA]

L'ex allenatore del Trapani ed ex capitano del Napoli, Francesco Baldini, ha rilasciato una lunghissima intervista esclusiva a CalcioNapoli24.it. Dagli inizi con la Juventus fino all'addio...

“I tifosi non l’hanno mai saputo, ma un anno, a Napoli, ebbi una pubalgia mostruosa e non mi allenavo. Facevo la rifinitura e Mondonico mi diceva ‘Baldo voglio che giochi tu’”. E’ solo uno dei tantissimi episodi raccontati da Francesco Baldini, per tutti noi ‘Ciccio’. Capitano azzurro, capro espiatorio di tante vicende scomode. Retrocessioni, promozioni, addii e ritorni, l’ex allenatore del Trapani si è raccontato a 360° in esclusiva a CalcioNapoli24.it: 

Cresciuto calcisticamente nella Lucchese, vicino casa. Dopo due stagioni da titolare in B arrivò la chiamata della Juventus a soli diciannove anni. Che cosa è significato per te crescere anche con calciatori del calibro di Julio Cesar, Kohler, Conte, Moller, Baggio e Vialli?

“Debuttai giovanissimo in Serie B con la Lucchese. Avevo solo diciassette anni e Lippi mi fece giocare. Quando giochi a diciassette anni in Serie B si accendono un po’ i riflettori. La Juventus stava ringiovanendo la squadra e prese me dalla Lucchese e Del Piero dal Padova. Mi chiamò il presidente della Lucchese e mi disse ‘T’ha preso la Juve!’. Ed io ‘Ma per le giovanili o la prima squadra?’. Non volevo crederci”. 

E’ vero che dividevi la casa con Alessandro Del Piero?

“Sì, avevamo casa insieme, la Juve ci mise a disposizione un appartamento della moglie di Scirea. E’ un ragazzo umile, avevamo un gran bel rapporto. Col tempo ha cominciato anche a frequentare casa mia in Toscana, i nostri genitori si sono conosciuti e son diventati amici. Ci siamo rivisti due anni fa ed è stato come se non ci fossimo mai allontanati”. 

In foto Alessandro Del Piero e Francesco Baldini alla Juventus. 

Tre presenze in A quell’anno col Trap in panchina. Che rapporto aveva coi calciatori? Hai un aneddoto su di lui?

“Il Trap era un padre prima che un allenatore. Ricordo che in una partita mancavano tutti i difensori titolari, contro il Milan. Fece giocare Notari e non me. Il martedì successivo andai da lui a chiedere spiegazioni, ‘mister, come mai non ho giocato io?’. L’anno prima ero considerato tra i giovani più promettenti e fare panchina, anche se alla Juve, non m’andava giù. Lui mi guardò e mi disse ‘Ma lo sai dove sei e quanti anni hai?’. Poi una volta c’era la figlia di Roberto Baggio in allenamento che piangeva e no voleva che il papà si staccasse. Baggio entrò in campo e Trapattoni gli disse ‘Roby, tranquillo, oggi stai con lei, poi se smette di piangere entri in campo’. Era un padre per tutti”. 

Roberto Baggio e Francesco Baldini.

Però, forse, se non fossi tornato a Lucca l’anno dopo, probabilmente non sarebbe arrivata la chiamata del Napoli

“Rimasi sotto contratto con la Juventus per tre anni. Era la Juve di Moggi che aveva un buon rapporto col Napoli. Mi chiamò Moggi e mi disse che avrebbero voluto vincere lo scudetto, che sarebbe arrivato Lippi in panchina e che per me ci sarebbe stato poco spazio. Così decisi di tornare a Lucca, in prestito, e disputai trentadue presenze. A fine stagione, ero a casa dei miei, dormivo, e mia madre mi venne a svegliare dicendomi ‘C’è un certo Pavarese al telefono’. Era il direttore sportivo del Napoli che mi chiamò dicendomi che ci sarebbe stata la possibilità di andare in azzurro. Ricordo che mi misi in macchina ed andai a Milano a firmare. Sapevo che il Napoli vendette Cannavaro al Parma e volevo provare a ritagliarmi un ruolo importante”. 

Francesco Baldini ai tempi di Napoli. 

E’ l’anniversario della morte di Vujadin Boskov. Che ricordo hai del tuo primo allenatore a Napoli?

“Quando c’era lui lo spogliatoio era composto da uomini veri tra Bordin, Pari, Cruz, Buso, Agostini. Facemmo un campionato importante, io sarei dovuto essere la comparsa, ma il mister mi diede fiducia. Andammo a giocare a San Siro, era la mia prima volta in quello stadio. Entrammo due ore prima a controllare il terreno di gioco, mi si avvicinò Boskov e mi disse ‘Ehy, tu, ragazzino. Oggi vuoi marcare Weah?’. Era il Weah del Pallone d’Oro, per capirci. Io gli dissi subito di sì e giocai una gran partita che finì 0 a 0”.  

Weah e Baldini in un Napoli-Milan

Certo che giocarsela con Ayala e Cruz per il posto da titolare non fu semplice

“Ricordo che a gennaio Boskov, come tutti gli allenatori, chiese dei rinforzi in difesa, poi ci ripensò e puntò su me e Matrecano. Piano piano scalai la gerarchia, ma avevo una fame assurda. Avrei mangiato qualsiasi cosa pur di giocare, in quel periodo avevo un’ambizione incredibile”. 

E l’avvocato Pecchia? Ricordi quanto studiava?

“Appena arrivai a Napoli ricordo che Soccavo era un centro meraviglioso, lì si respirava la città quasi. Io presi un appartamento a Via Manzoni e con Fabio avevo un grandissimo rapporto. Non lo sento, ma è un amico e gli amici non per forza devono sentirsi ogni giorno. Lui mi disse che avrebbe voluto vivere a Soccavo stesso perché dopo gli allenamenti sarebbe dovuto tornare subito per studiare. Mi diceva ‘Voglio diventare avvocato’. Poi si allenava anche di mattina, da solo, per due ore, aveva una testa quadrata”. 

Fabio Pecchia ai tempi di Napoli. 

Poi arrivò Gigi Simoni in panchina ed il Napoli arrivò in finale di Coppa Italia. Ricordi la semifinale con l’Inter ed il rigore cruciale di Boghossian?

"Quell’anno è stata la svolta in negativo. Vivo talmente veloce la mia vita che ho pochissimi ricordi del passato, ma quella sera la ricordo come fosse ieri. Vincemmo ai rigori con l’Inter, fu una serata straordinaria. Poi vabè, la finale col Vicenza, dico sempre che se avessimo invertito i campi l’avremmo vinta noi. Quell’anno ricordo che Ferlaino scoprì che Simoni firmò anzitempo con l’Inter e decise di fare una rivoluzione. Riuscimmo a stento a salvarci in campionato, ma a gennaio eravamo secondi in classifica”. 

Che tipo era Beto?

“Di lui ricordo che eravamo in ritiro, a Pistoia, e lui poco prima di una partita si fece trovare nella hall dell’albergo con la valigia perché voleva tornarsene in Brasile, aveva nostalgia. Lo convincemmo e restò con noi.  Se fosse capitato con Boskov avrebbe fatto ancora meglio. Ora che ci penso ricordo che girava senza patente, ma portava con sé le sue maglie del Napoli in modo che poteva darle ai vigili per non farsi fare la multa (ride ndr.)”. 

Beto ai tempi del Napoli. 

Poi la balorda stagione della retrocessione. Iniziaste con Mutti, le aspettative erano alte perché arrivarono calciatori importanti. Ricordo un titolo di un giornale in prima pagina ad agosto: “Napoli da UEFA”

“Non ci aspettavamo di retrocedere a inizio stagione, ma quella fu la prova che per far bene servono tante componenti e non solo dei buoni calciatori. C’era tanta confusione in quegli anni, l’aria era cambiata. Mi resi conto quell’anno che molti calciatori sarebbero stati di passaggio, si vedeva che non avevano fame. Molti non avevano la consapevolezza di dove fossero, tranne Protti”. 

Perché Protti?

“Igor ha pagato il momento storto della società, lui era sempre pronto a dare l’anima. Si fece caricò di un sacco di responsabilità e fece fatica. ha pagato il momento della società. Era pronto a dare l’anima, si caricò di troppe responsabilità e fece tanta fatica”. 

Calderon e Prunier. Se chiudi gli occhi e pensi a loro cosa ti viene in mente?

“Mi viene in mente che non hanno espresso nulla di ciò che fecero in passato. Ho imparato che tutti gli stranieri che arrivano in Italia all’inizio fanno fatica e far fatica in quella condizione vuol dire non riprenderti più. Per giocare al San Paolo ci vogliono le p***e”.  

Napoli 2000-2001

Allegri da calciatore?

“Non pensavo arrivasse a determinati livelli anche se aveva già all’epoca l’animo da allenatore. Ricordo che una volta, nel tragitto da Soccavo al San Paolo, ci riprese in pullman perché qualcuno usava il cellulare. Era sintomo di poca concentrazione per lui”. 

Allegri e Galeone al Napoli. 

Tra Mutti, Mazzone, Galeone e Montefusco con chi legasti di più?

“Mazzone portò Giannini che andò subito via e Galeone portò Allegri. Non legai con nessuno. Mazzone si rese subito conto dei grossi problemi societari che c’erano e si dimise dopo poco, però m’ha fatto male. Volevo arrivare con lui in fondo al campionato. Avevo stima di lui come uomo e come allenatore, non mi piacque il fatto che volle andar via”. 

Napoli in B. Ulivieri in panchina e la rottura del crociato

“Sì, ricordo che durante uno scontro con Schwoch in allenamento mi ruppi il crociato. Ero arrivato allo sprint finale della stagione e ci infortunammo in tanti, altrimenti saremmo risaliti subito in A. Mi operai, cominciai la terapia e intanto arrivò Novellino come allenatore. La squadra partì per il ritiro e ogni giorno ricevevo una telefonata tra Novellino e Fusco per farmi raggiungere al più presto la sede del ritiro. Mi dicevano che avrei fatto il capitano e mi feci convincere anche perché ero molto legato ai colori azzurro. Accorciai i tempi di recupero ed in un estivo Napoli-Salernitana mi ruppi di nuovo il crociato. Fu solo colpa mia, da lì’ ricominciò il calvario e rientrai a dodici partite dalla fine del campionato proprio perché lo stesso Novellino insisteva per farmi rientrare. Arrivammo di nuovo in A ed il ricordo dell’aeroporto di Capodichino pieno di tifosi quando rientrammo da Pistoia fu fantastico". 

Finalmente di nuovo la Serie A

“Sì, ma arrivò Corbelli e fu smantellata la squadra, ci ritrovammo in cinque dell’anno prima con Zeman, allenatore diversissimo da quelli precedenti. C’era da una parte Ferlaino che voleva Martin Palermo e dall’altra c’era Corbelli che voleva Edmundo”. 

Matuzalem ha recentemente dichiarato ‘se non avessi fatto il calciatore o sarei andato in galera o sarei morto’. Che ragazzo conoscesti?

“Un giocatore così lo vorrei in ogni mia squadra. Era uno sanguigno, pericoloso. Si sarebbe spaccato le gambe, sarebbe stato pronto anche ad andare in guerra. Una volta io, che ero il capitano, e Novellino, lo andammo a prendere in carcere”.

E come mai?

“Fece una rissa in un locale e lo arrestarono. Ha fatto tanti errori fuori dal campo”. 

Francelino Matuzalem ai tempi del Napoli. 

Il ritiro con Zeman

“Non mi ricordo le volte che ho vomitato, ma ora che faccio l’allenatore un po’ lo capisco. Tutti pensano che Zeman faccia lavorare sodo per una questione atletica, ma lui vuol farti conoscere il limite e lo alza sempre. Ricordo che non accettava nemmeno troppi infortuni, se andavo da lui e gli dicevo ‘mister, mi fa male qua’. Lui subito’ vabbè fatti un’ora e mezzo di allenamento e starai bene’”. 

Francesco Mancini e Zdenek Zeman. 

Napoli-Bologna, terza di campionato. L’autogol firmato Coppola-Baldini purtroppo se lo ricordano ancora in tanti

“E’ stato l’unico auto goal che ho fatto in carriera e da lì cominciarono a fischiarmi i tifosi. Lì iniziarono i miei problemi a Napoli, facevo fatica anche a scendere in campo. I tifosi non lo sanno, ma quell’anno ebbi una pubalgia mostruosa, ma Mondonico mi diceva ‘non mi interessa, voglio che giochi’. Andavo in campo con punture e antidolorifici. Non mi allenavo mai in settimana, poi l’allenatore voleva che scendessi in campo. Addirittura i tifosi iniziavano a pensare che comandassi io lo spogliatoio. Poi una sera ascoltai una trasmissione tv in cui un giornalista disse che io facevo il mercato del Napoli. Chiamai inferocito Carlo Iuliano, addetto stampa dell’epoca, e chiesi il numero di quella trasmissione. Chiamai in diretta e litigai con quel giornalista”. 

Cosa cambiò con Mondonico al ritorno in A?

“Ci diede serenità, in fondo ci mancava quella visto che la preparazione la facemmo bene con Zeman. Mondo non ci faceva fare grandi allenamenti, solo torello e partitina perché era di quello che avevamo bisogno. Poi ricordo i pianti che ci facemmo nello spogliatoio del Franchi dopo il 2 a 2 con la Fiorentina e la conseguente retrocessione”. 

Baldini in marcatura su Batistuta. 

A gennaio arrivò Edmundo. Che aneddoto ci racconti su di lui?

“Appena arrivato, al suo primo allenamento ci fu un battibecco tra lui e Mondini. Sai quelle cose da bambini, ‘siamo 1 a 0’, ‘no, 1 a 1’. E si presero a botte, subito. Fare il capitano in quegli anni non fu facile”.   

Edmundo tra Ferlaino e Corbelli

E così andasti via...

”Dopo quella retrocessione iniziai ad avere dei problemi con qualche compagno di squadra, l’atteggiamento non era di chi voleva dare il massimo. Io e Pecchia trascinavamo la squadra, ma c’era qualcuno che non ce la metteva tutta. Si tratta di grandi giocatori con vissuti in grandi squadre. Avevo ancora la pubalgia, dovevo curarmi, ma il neo allenatore, De Canio, pensò che io fossi un rivoltoso. Non partì per il ritiro, poi ci andai e mi ritrovai senza fascia di capitano. La Reggina mi cercava con insistenza ed io accettai. Infatti giocammo al San Paolo la gara che ci portò in A, proprio contro il mio Napoli. Mio perché io ero ancora sotto contratto con gli azzurri. Quel Napoli-Reggina finì 1 a 1 ed io feci una partita incredibile. A fine match andai anche a festeggiare sotto il settore ospiti perché, secondo me, non festeggiare coi propri tifosi è una mancanza di rispetto. Questa cosa dai napoletani non mi fu mai perdonata”. 

?

Però poi tornasti nel 2002. Come mai?

“Perché avevo il contratto col Napoli. Colomba lasciò Reggio Calabria proprio per andare al Napoli e per riportarlo in A. Così pensai, ora torno anche io e torniamo di nuovo in A. Giocai la prima gara dell’anno e segnai al San Paolo. Così andai ad esultare sotto la curva dei napoletani, ma mi massacrarono. Non dimenticarono il passato”. 

Momento orribile quello relativo alla tua aggressione. Che serata fu per te? Ce la racconti?

“Non era rivolta proprio a me, ma al primo che capitava. Fu un vero e proprio attentato, ero a Via Tasso e mi fermai ad uno stop. Un motorino mi si buttò davanti e fui aggredito da non so quante persone. Ero chiuso in macchina, ma non oso immaginare cosa sarebbe potuto capitare se fossi uscito. Scoppiarono i vetri della macchina dalle botte che diedero con spranghe e mazze da baseball. I vetri mi tagliarono la testa, ma le spranghe non arrivarono a colpirmi. Per fortuna che quell’auto aveva l’accensione automatica e subito ripartì verso casa. Da quel momento tutti pensavano che a gennaio sarei scappato, ma rimasi fino a fine stagione. Ci salvammo ed il Napoli fallì”. 

Che presidente è stato Naldi? Era famoso per le sue interviste, aveva un modo buffo di parlare, sembrava rispondesse alla moviola.

“Parlava anche alla squadra in quel modo (ride ndr.). La sensazione era che s’era imbarcato in una situazione più grande di lui. Da quando andò via Ferlaino ci fu un enorme caos”.

Presidenti come Ferlaino non esistono più

“Sono perfettamente d’accordo. Era un signore con la S. A fine partita andava sempre a salutare l’arbitro nello spogliatoio, persona di altri tempi. Poi ti dico una cosa che non ho mai detto a nessuno. Quando andai a Reggio Calabria e salimmo in A mi mandò un telegramma che conservo ancora con scritto ‘almeno una parte di Napoli è andata in A’. Unico”. 

Hai già allenato le giovanili di Roma e Juventus, poi la parentesi trapanese fino a dicembre. Da allenatore qual è il tuo sogno nel cassetto?

“Nessuno sa che non sono mai tornato al San Paolo dall’ultima partita che ho disputato lì. Così come non sono mai più ritornato al Marassi di Genova dove ho trascorso tre bellissimi anni. Ecco, il mio sogno è quello di tornare in uno di questi due stadi dalla porta principale, da allenatore. Sogno il Napoli e il Genoa”.  

Francesco Baldini. 

RIPRODUZIONE RISERVATA

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