Di seguito vi proponiamo l'editoriale di Mario Sconcerti per il Corriere della Sera:
È stata molto interessante la prima volta di Sarri alla Juve. Fra le sue mani il calcio sembra sempre una cosa seria, qualcosa tra il filosofico e il popolare ma sempre molto pensata, arrivata da lontano. Le polemiche sulla tuta o i problemi di tradimento, chiedo scusa, ma m’interessano poco, da qualunque parte vengano, così come le frasi di Sarri quando non era alla Juventus. Un buon generale deve rispettare il nemico, ma senza dimenticare di detestarlo. Non esiste solo l’amore a dare forza, anche la rabbia aiuta. A volte viene da pensare che il pubblico, i tifosi, siano rimasti indietro rispetto alla complessità del calcio, come un figlio che diventa troppo importante per il padre, lui parla di sé e l’altro non capisce cosa dice. Sarri alla Juve oggi non è un esperimento, è una necessità. Perché il pubblico è ormai televisivo e globale, e quel pubblico vuole vedere bel gioco, vuole che la squadra sia stimata per la sua diversità non per vincere la Coppa Italia. Come andrà non lo so, certo è questo della nuova Juve un gran cozzare di mondi. Ma ci sono anche ottime ragioni perché le cose vadano bene. Non si può fare un peso della diversità se è quella che si è cercato. È chiaro che va presa come un premio. Sarri ha un vantaggio: ha, tranne Ronaldo, tanti mezzi grandi giocatori: Dybala, Bernardeschi, Douglas Costa, Rugani, Bentancur, il vecchio Higuain, Mandzukic, perfino Pjanic. Tutti quasi fuoriclasse che hanno vinto molto rimanendo però a 20 centimetri dalla storia vera. È quei 20 centimetri che Sarri andrà a cercare, gli stessi che i giocatori vorranno portargli. Perché Sarri è per loro la grande occasione di scollinare il loro ultimo limite. Quando Sarri dice che Pjanic deve toccare 150 palloni a partita, è quel confine che cerca, racconta la strada che pretende. Quando dice che Bernardeschi deve trovare un ruolo e chiudercisi dentro, è la sua differenza che porta. E nell’aria si avverte già una competenza non migliore ma diversa rispetto al passato, quel po’ di nuovo senza il quale vincere era diventato quasi soffocante .