Ultime SSC Napoli - Punto 17, la gara di addio di Marek Hamsik. Marek Hamsik dice addio al calcio e la partita si terrà il giorno 5 luglio alle ore 19 a Bratislava in Slovacchia allo stadio Tehelne Pole, CalcioNapoli24 la trasmetterà in esclusiva per l'Italia attraverso tutte le proprie piattaforme: sito web, social, Youtube e sul canale 79 del digitale terrestre su Napoli e Caserta. Luciano De Paola, il primo allenatore nella Primavera del Brescia, ha parlato di Hamsik, in esclusiva, ai microfoni di CalcioNapoli24:
Mister me lo racconti il tuo Marek?
"Marek è stato portato a Brescia da Maurizio Micheli e Leonardo Mantovani. Il direttore sportivo era Gianluca Nani. Quando arriva un giocatore, soprattutto se straniero, c'è sempre da capire come andrà a finire. Gli ho detto di cominciare a palleggiare, ho visto che quella palla non cadeva mai. Poi a un certo punto gli ho detto di metterci a venti metri di distanza e lanciarmi la palla sia di destro che di sinistro. Sono rimasto basito perché calciava con la stessa qualità. Quindi ho detto al mio secondo, a fine allenamento, di parlare con Gianluca Nani e dirgli che quel ragazzo sarebbe diventato un grande giocatore. E così è stato. Aveva 16 anni. Però la cosa che mi è rimasta impressa è la professionalità del ragazzo. Arrivava sempre per primo all'allenamento, l'ultimo ad andare via. Guardava il gioco prima degli altri. Quindi un giocatore di grandissima qualità. Era un giocatore che leggeva le giocate. Nella gestione era sempre un giocatore sicuro. Non aveva mai paura di farsi dare palla, nonostante avesse 16 anni".
Hai detto di Micheli e Mantovani. Erano coloro che lo presero dallo Slovan Bratislava. Ma quando ti arrivò Marek Hamsik, cosa gli dicesti la prima volta? Che cosa ti dissero la prima volta quando te lo portarono?
"Loro mi dissero che era un giocatore importante. Io ho giocato 20 anni a calcio. Ho avuto allenatori importanti come Lucescu, come tanti allenatori, oltre a Ranieri. Si vede subito la stoffa del giocatore. La cosa più importante è che loro erano là mentre io lo testavo. E' un giocatore che la palla ce l'aveva incollata al piede. Una coordinazione pazzesca, qualità, destro-sinistro. Parlando con Micheli e con Mantovani, gli dissi di aver preso un fenomeno. Un giocatore che era appena arrivato in Italia. Era venuto a fare allenamento, non aveva ancora preso casa. E' un centrocampista completo, un giocatore di grande prospettiva. Ma ho tanti aneddoti. Lui con me ha fatto sei mesi in Primavera. La quarta partita della primavera, era il derby Brescia-Atalanta che è sempre molto sentito. Mi ricordo che al 93' eravamo 0-0, ma ci fu un rigore per noi. Lui prese la palla. Non era lui il rigorista. Prese la palla con grande personalità, la mise là, portiere da una parte, palla dall'altra, vincemmo 1-0. Da queste piccole cose vedi la personalità e la sicurezza del campione. Dopo sette mesi ero primo in classifica. Chiamai sia Gianluca Nani, Micheli e Mantovani e gli dissi che doveva andare in prima squadra. Ci è andato e ha fatto una carriera importante".
Nell'occasione del derby aveva anche la 10 sulle spalle.
"Il numero 10 era il suo numero preferito".
Fuori dal campo com'era? Noi l'abbiamo sempre visto un ragazzo calmo, pacato. Era così anche in quel periodo?
"Sì, a parte che quando è arrivato, i primi mesi veniva da una realtà diversa. Si è trovato da solo in una situazione lontana, senza genitori. Era molto timido, molto riservato ma prese confidenza con tanti come, per essempio, Santacroce, col quale ha giocato insieme".
Com'è stato il suo passaggio dalla Primavera alla prima squadra? Quello era il periodo nel quale c'era Gigi Di Biagio, c'era anche Roberto Baggio. Era un Brescia ovviamente di grande livello.
"La differenza di oggi con gli allenatori che fanno settore giovanile è che quando un giocatore è forte difficilmente lo fanno andare avanti, perché loro vogliono vincere. Quella era una situazione dove si vedeva che il ragazzo era un giocatore che stava bene, che ormai in Primavera non aveva niente da dare. Quindi andando in prima squadra con quei giocatori là, voleva dire allenarsi con i campioni. Era un pedestinato, quindi il fatto che si allenasse con Baggio, Di Biagio, era una cosa normale. Non era quel giocatore che magari faceva fatica a giocare, a farsi dare la palla. Quindi quando tu ti ritrovi con quei campioni, giochi meglio".
Mister, sappiamo che l'incursione e il gol erano le sue qualità più importanti, ma tu dove lo facevi giocare? Cosa rappresentava per te Marek Hamsik in campo?
"Quando ad un allenatore arriva un giocatore più giovane e lo vedi che ha qualità e che ha gestione della palla, sei felice. Oggi molti giocatori fanno fatica, hanno qualità e magari si nascondono. Lui invece voleva sempre la palla. Un giocatore che ha fatto la mezzala. Io giocavo 4-3-3, lui faceva la mezzala destra, la mezzala sinistra, faceva il trequartista. E' uno che aveva letture nell'incursione, un giocatore che quando magari la palla era sull'esterno si avvicinava alla porta. Infatti è un giocatore che ha fatto molti gol".
Dopo il suo primo gol lo hai sentito?
"Ci siamo sentiti parecchie volte. Lui doveva calcare altri palcoscenici. Ma abbiamo avuto modo anche di vederci qualche volta. Poi dopo ci siamo persi. Grande rispetto per un grande campione".
So che poi anche nel passaggio al Napoli lo hai sentito perché so che hai da mostrarci una cosa che appartiene a Marek.
"Questa è una maglia che mi ha dato lui appena è arrivato a Napoli. È una maglia importante per me".
Cosa ti diceva di quel passaggio?
"I grandi campioni non fanno fatica quando fanno questi passaggi. Un giocatore che non ha personalità, che non si sente sicuro è normale che poi va nelle grandi piazze e si perde. Ma questo è un giocatore che poteva giocare in prima fascia per le qualità, per la personalità che aveva".
Raccontami un altro aneddoto che lo riguarda, magari che vi riguarda
"Lui nel campo faceva delle cose incredibili. Ma la cosa che ti ho raccontato, quella del rigore, è rimasta impressa. In assoluto. Perché un ragazzo di 16 anni che nel derby primavera tra Atalanta-Brescia sente molto la pressione e andare dal dischetto a fine gara, col rischio di sbagliare, non è da tutti".
Davanti a te c'è Marek che dà l'addio al calcio. Quel giovincello che diventa grande e che adesso smette di giocare. Il tuo saluto...
"Sono contento per lui. Sono orgoglioso di averlo allenato. Ma lui è arrivato lì perché ha fatto questo mestiere con grande passione. Perché quando uno ci mette passione in tutte le cose che fa, sicuramente arriva e fa delle cose importanti. Marek è stato sempre sul pezzo, non ha mai mollato. Il difficile è trovare questi tipi di giocatori, perché ce ne sono sempre di meno. In grande bocca al lupo e magari se un giorno farà l'allenatore, può avere anche delle grosse soddisfazioni. L'importante è che stia bene e che si diverta".
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