Lontano dai riflettori del calciomercato, l’estate della serie A è attraversata da un’altra trattativa - lunga, complicata e pionieristica - che sta coinvolgendo tutte le società: quella per dare un contratto ai lavoratori del calcio che non fanno i calciatori: magazzinieri, impiegati, centralinisti, guardiani, giardinieri, addetti alle vendite e al marketing. Insomma tutte le figure che - oltre ai giocatori e allo staff tecnico - servono per mandare avanti una società di calcio.
Considerando soltanto la massima serie, la Lega stima si tratti di non meno di 5 mila persone, e attualmente i loro rapporti di lavoro sono regolati complessivamente da almeno una decina di contratti diversi: da quello del Commercio a quello dei metalmeccanici, ogni società ne adotta uno e cerca di adattarlo alle proprie esigenze. Proprio da questo aspetto, qualche mese fa, all’interno della Lega calcio ha preso forma l’idea di tentare una strada finora inesplorata anche nel resto d’Europa: immaginare un contratto unico per tutto il «personale non giocante». A parte qualche resistenza, uno dopo l’altro i presidenti hanno aderito e circa un mese fa è partito il confronto con Cgil, Cisl e Uil, che proseguirà ancora per qualche mese.
A coordinare i lavori per conto delle società è l’avvocato Giampiero Falasca, esperto di diritto del lavoro al quale la Lega ha affidato tutte le questioni giuslavoristiche: «Anche se dal punto di vista economico pesano per il 99 per cento, i calciatori rappresentano soltanto il 5 per cento del personale alle dipendenze di una società di calcio - spiega Falasca - e per tutte le altre figure c’è l’esigenza non soltanto di fare ordine con un’armonizzazione contrattuale ma anche con mansioni, qualifiche e orari che possano andare meglio incontro alle esigenze di aziende particolari». Dall’altra parte del tavolo siedono i sindacati confederali, a loro volta chiamati a una contrattazione del tutto nuova. «L’obiettivo è quello di definire regole certe per tutti quelli che lavorano nel calcio e anche, in un mondo dove girano ingaggi milionari, cercare un minimo di ridistribuzione, dal momento che si tratta di stipendi che oscillano attorno ai 1.500 euro al mese», spiega Francesco Aufieri, segretario della Slc Cgil milanese. «Ma una volta definito il contratto della serie A - aggiunge il sindacalista - siamo sicuri che arriveranno le altre categorie e poi gli altri settori. E contiamo sui riflettori delle Olimpiadi invernali del 2026 per migliorare le condizioni di lavoro nello sport, un settore che vale poco meno del 2 per cento del Pil nazionale».
Ma per Cgil, Cisl e Uil il fronte del calcio è aperto anche su un altro versante: il professionismo per le donne. «Stiamo ragionando sul riconoscimento di un compenso di collaborazione sportiva - dice Aufieri - ma abbiamo chiesto al sottosegretario Giancarlo Giorgetti una legge che riconosca pari diritti a uomini e donne. In fondo le ore lavorate sono le stesse».