Notizie Calcio Napoli - Marco Bellinazzo, del Sole 24 Ore, da mesi analizza e sottolinea quello che è un problema sempre più strutturale all'interno dell'industria calcio, non solo italiana: il doping amministrativo. Ossia quel procedimento che vede come protagonista operazioni di compravendita di calciatori iscritte con valori non propri ai calciatori. Il risultato che ne deriva è un bilancio gonfiato, non veritiero. In un'analisi nel suo blog sul Sole 24 Ore, Bellinazzo propone proprio una soluzione a questa condizione che ormai è divenuta parte integrante del sistema calcio.
[...] Dal player trading non si può più prescindere. Non sarebbe giusto demonizzare quella che è una leva economica oramai consolidata per i club calcistici. Ma proprio perché è entrata a pieno titolo nel modello industriale del settore allora è possibile affermare che il perfetto equilibrio cui le società calcistiche devono tendere è di una corretta proporzione delle voci di entrata anche includendo gli effetti di quest’attività. Se finora si è generalmente notato che i club “sani” tendono ad avere ricavi dipendenti per un terzo da tv e media, per un terzo dallo stadio e per un terzo dall’area commerciale, allora si può sostenere che sarebbe opportuno che i team abbiano in futuro il 25% degli introiti dalle tv, il 25% dallo stadio, il 25% da sponsor e merchandising e appunto il 25% del player trading.
È altrettanto evidente che una ripartizione di questo tipo non può essere imposta dall’alto. Deve essere una scelta dei manager e delle proprietà. Però la Uefa e le istituzioni calcistiche nazionali, fermo restando che ogni club può vendere tutti i giocatori che vuole e fare tutte le plusvalenze che è capace di realizzare, potrebbero intervenire sancendo che ai fini del fair play finanziario e delle regole patrimoniali interne per l’iscrizione ai campionati – e dunque fondamentalmente nell’ottica del pareggio di bilancio – potranno essere conteggiate solo plusvalenze e ritorni dal player trading (prestiti onerosi) che non oltrepassino il 25% del fatturato operativo (senza calciomercato) della società.
Ad esempio, se un club fattura senza plusvalenze 100 milioni, e nel frattempo opera cessioni con 50 milioni di plusvalenze contabili, ai fini civilistici registrerà un bilancio con 150 milioni di ricavi, ma ai fini del fair play finanziario Uefa e nazionale saranno conteggiati ricavi pari a una massimo di 125 milioni.
È vero che una limitazione di questo tipo consentirà ai club con maggiori ricavi operativi di fare in termini assoluti più plusvalenze di un piccolo club. Ma è vero anche che ancorando il limite percentuale delle plusvalenze “rilevanti” ai ricavi operativi si stimolerà i club di qualunque dimensione a sforzarsi di incrementare questi ultimi prima di ricorrere alla facile scorciatoia del calciomercato.
La Figc ha dimostrato che è stato possibile bloccare l’abuso di un istituto come il diritto di recompra, molto di moda di due anni fa, e che si prestava spesso a operazioni contabili dubbie posticipando l’iscrizione in bilancio della plusvalenza all’esercizio o meno dei diritto. Ora la “sterilizzazione” delle plusvalenze al 25% del fatturato potrebbe sortire effetti positivi. Ma solo se applicata con la concorde volontà di istituzioni calcistiche e club, almeno a livello continentale.