Vestendosi da amministratore delegato, o semmai da Ceo che adesso fa più chic, Luciano Spalletti è uscito da quella (presunta) comfort zone ch’è la sua tenuta di Montaione, e lasciandosi alle spalle le viti si è tuffato in quell’inferno ch’era diventato Napoli. Ne parla il Corriere dello Sport in un lungo focus.
“In una città anestetizzata o anche furente per essere uscita dalla Champions all’ultimo giro di roulette, pur avendo semplicemente tutto da guadagnare, c’era comunque il rischio di perdersi. Per ricominciare, ed evitare qualsiasi equivoco, Spalletti ha cominciato a far largo uso di sé, della propria capacità dialettica, d’un linguaggio diretto e frontale incapace di spargere dubbi e poi di assorbire alibi, di trasmettere le proprie certezze, fossero anche racchiuse in sensazioni o in frasi ad effetto.
Lobotka è un po’ il poster di riferimento di una rivoluzione ideologica che ha aperto il Napoli a reietti a diseredati, una squadra senza preclusioni, che ha creduto in Rrahmani, si è affidata a Malcuit e ha scelto di non «liberarsi» di Petagna. E improvvisamente, nel bilancio, è pure ricomparsa una settantina di milioni di euro che sembrava essersi azzerata - o perlomeno deprezzata sensibilmente - negli avvitamenti più recenti”