Maradona, incredibile reportage: rivelazioni inedite, ecco la ricostruzione completa dei suoi ultimi giorni di vita!

Maradona Day  
Diego Armando MaradonaDiego Armando Maradona

Un reportage di Repubblica ricostruisce l'ultimo mese di vita di Maradona: dal suo compleanno alla morte. Rivelazioni inedite e momenti oscuri di quegli ultimi giorni

Ultime notizie Napoli. E' trascorso quasi un mese dalla scomparsa di Diego Armando Maradona e il campione argentino fa ancora parlare di sé: questa mattina sulle pagine del quotidiano La Repubblica un bel reportage dedicato alla sua memoria e agli ultimi giorni trascorsi da Diego a Buenos Aires, a cura di Maurizio Crosetti e Carlo Bonini. "Nessuno gli ha tenuto la mano, nessuno lo ha pianto la mattina del 25 novembre. Così è morto il calciatore più grande di tutti i tempi ma anche l’uomo più solo al mondo. E ora assistenti, figli, sorelle, ex moglie e fidanzate in nome del denaro si contendono la sua eredità".

Gli ultimi giorni di Maradona: il compleanno

Ultimo compleanno Maradona

"Comincia nel mattino del 30 ottobre 2020: buon compleanno, Diez. Sono sessanta anni. In quel mattino, Diego Armando Maradona ancora non sa niente di Tigre, della casetta assurda che tra poco lo ucciderà. Sta male, è il dolore della stanchezza, di una consunzione senza ritorno. Non vorrebbe nemmeno alzarsi dal letto, però sa che deve. Lo aspettano al Gimnasia, lo vogliono premiare, gli daranno una targa e un abbraccio proibito, c’è il Covid, quest’uomo è fragilissimo e va protetto. Lo prendono di peso. In un’immagine rubata da un vicino - a futura memoria, per una scampolo di tiggì che girerà a rullo quando sarà tempo, e il documento diventerà una delle ultime testimonianze in vita di quest’uomo - si vede Maradona sorretto da due personaggi che ritmano i loro passi su quelli, brevissimi, del campione stremato, passi singhiozzanti di un vecchio, passi barcollanti di un malato decrepito e sfinito. Lo stanno accompagnando a una festa di morte, a un addio. Diego è magro, non è da lui. Il suo viso ha il colore della carta. Per entrare sul campo, al centro delle tribune vuote, si passa attraverso un buffo tunnel a forma di tigre. Sembra di essere in una Disneyland di borgata e Maradona è il pupazzo di Maradona. Ora barcolla di più. Ha le gambe storte di chi ha preso tanti calci, gambe ferite e fratturate, offese da chi per fermarlo poteva solo provare a colpirlo.

Questo è il passo di un uomo gonfio d’acqua, i reni non filtrano più, il cuore è grosso il doppio del normale per lo sforzo di pompare all’inverosimile tutto il sangue rimasto. Miocardite dilatativa. Ma anche ipertensione, aritmia, tachicardia. Diego è un rottame. Qualche passo ancora. Alla sua destra Marcelo Tinelli, giornalista televisivo. Alla sua sinistra Claudio Tapia, presidente della Federcalcio argentina. Sembrano due badanti che accompagnano il nonno a fare la spesa. Maradona manda baci, si suppone a vuoto. Si picchia il petto con il pugno sul lato del cuore, lo fa sempre ma oggi non c’è energia. Lo baciano. Non si potrebbe ma lo fanno. Poi gli consegnano una targa troppo grossa, lui neppure la guarda. È il suo funerale e non lo sa.

Appena un anno prima, aveva detto: «Quando invecchi, tutti si preoccupano di quello che lasci e non di quello che fai. Ma io non lascerò niente a nessuno, io donerò tutto quello che ho guadagnato nella mia vita. Non adesso, però. Ora sto benissimo». Qualche mese dopo, quest’uomo amareggiato, forse bevuto (la voce del video si trascina, Maradona farfuglia come gli alcolisti) sarà il vecchio sul campo del Gimnasia. Poi lo riaccompagnano indietro, l’ostensione è finita. Il santo patrono del calcio mondiale, Diego Armando Maradona, è stato portato ancora un volta in processione, ancora una volta esibito, l’ultima. Lo fanno da trent’anni, El Diego del pueblo è una madonna pellegrina in giro per il mondo, non c’è angolo dei continenti dove lui non sia venerato come quelle leggende costrette dalla sorte ad esserlo sebbene ancora vive.

Dovrà meritarla, Diego, la sua morte. Le chiederà una tregua, un po’ di tardiva misericordia. Per poi riposare, finalmente. Lo portano a casa. Lui vorrebbe attorno a sé tutti i figli e i nipoti, ma non è possibile. C’è il virus. E Diego junior è in Italia con il Covid, Dieguito Fernando è così piccolo e le tre ragazze così grandi e lontane. Cosa gliene importa, a loro, di questo padre. Forse, più tardi faranno un salto. Intanto lui si sdraia sul divano e cerca l’unica cosa che ancora lo rende un po’ felice: una partita di calcio in televisione. Smanetta un po’ sul cellulare, ascolta commosso gli omaggi in rete di Ronaldinho, Bochini, Bobo Vieri, Mourinho, Fillol, Burruchaga, Pumpido. Non ha appetito: stranissimo, per lui. Non cena. Si toglie dal gruppo WhatsApp del Mundial ’86, quello dove scherzava con i compagni della Coppa vinta dopo la mano di Dio, dopo il gol del secolo, la doppietta al Belgio, la finale contro i tedeschi. Neppure degli altri ha più appetito: la fame delle persone gli è passata. I compañeros un poco insistono, vorrebbero parlargli ancora, abbattere il muro inviolabile in cui le figlie lo hanno chiuso o forse invece è stato lui a volerlo. Diego ama la solitudine, è stanco di folla.

Gli ultimi giorni di Maradona: l'operazione al cervello

Maradona operazione al cervello

Pochi giorni dopo, "gli scoprono nel cervello un nodo grande come una moneta da dieci centesimi. Non si saprà mai cosa gliel’abbia procurato. Diego non sta bene, ha dei mancamenti. Batte la testa in casa, cadendo, ma nessuno dice come, probabilmente il giorno dopo il compleanno. Fa tutto da solo? Litiga con qualcuno? Lo convincono a ricoverarsi per gli esami clinici. Si occupa di tutto un giovane medico per il quale Diego stravede, ha 39 anni e si chiama Leopoldo Luque. È quel che si dice un fico. La barba di un paio di giorni, fintamente trascurata. Ha solo pazienti vip. Anche Luque stravede per Maradona, gli è accanto in una valanga di selfie. Leopoldo è un vanitoso, Diego il suo faro, ma anche la scorciatoia per altri contatti, per aggiungere denaro a denaro, relazioni, popolarità. 

Il dottor Luque insiste perché Diego si faccia ricoverare nella clinica Ipensa, a La Plata, quella del suo amico Flavio Tunessi. I valori ematici sono sballati, Maradona è scompensato, ha bisogno di una trasfusione e di vitamine. È disidratato e stanco, e non è tutto. Decidono di fargli una Tac al cranio perché i mancamenti proseguono e la lucidità sembra affievolirsi. Colpa, ancora, delle sostanze dalle quali non si è mai staccato? Colpa dell’alcol che gli impasta la voce e i pensieri? Forse c’è dell’altro. Lo infilano nella macchina, neanche mezz’ora e arriva la diagnosi: c’è un ematoma nella zona sinistra del cranio, appena sopra la fronte. Conferenza stampa del dottor Luque: «Bisogna operare ma non è nulla di grave, sarà un intervento di routine, me ne occuperò io stesso». Alla clinica Ipensa non sono tutti d’accordo, e comunque lì non esiste la terapia intensiva, non è luogo per operazioni così impegnative, altro che routine. Allora Diego viene trasferito in un altro ospedale, la clinica Olivos, sempre a Buenos Aires. Alle 8 di sera del 3 novembre, la mezzanotte italiana, Maradona entra in sala operatoria. I tifosi cominciano ad accorrere, bivaccano in strada, pregano. Sanno che Diego Maradona è un uomo stanco, sanno che più volte ha già rischiato la morte per via del cuore e della droga. Un malato grave, iperteso, cardiopatico, obeso, con patologie psichiche. Soffre di un disturbo bipolare, va gestito con psicofarmaci che possono avere pesanti controindicazioni sul sistema cardiocircolatorio. Ma quando c’è un ematoma nella testa, le alternative non ci sono. Bisogna operare. Gli aprono il cranio, gli asportano quel nodo.

Luque, il medico di Maradona

Il dottor Luque dirà di essere stato lui a farlo, lo racconterà a Diego ma non è vero: fa soltanto parte dell’equipe chirurgica, non è la mano che interviene direttamente sull’ematoma. «Sognava di passare alla storia come l’uomo che salvò la vita a Maradona», scriveranno nei loro rapporti i magistrati che indagano sulla morte del campione, il cui recupero post-operatorio procede molto bene. Diego si sveglia, parla, scherza, dice di non sentire dolore. Dopo qualche giorno già smania, il ricovero gli pesa, vuole tornare a casa. E poi c’è la famosa fotografia con il suo "piccolo fan", il dottor Luque che si accosta al letto del campione come un tifoso in cerca di autografo. Ma un selfie è molto di più: è un lasciapassare. Ora il volto ammiccante di Luque è in tutti i siti del mondo, vicino a un simbolo dello sport che appare gonfio, spaesato, fintamente allegro. L’espressione di Maradona è inquietante come il cerotto che porta testa, tra i capelli che stranamente non sono stati troppo tagliati: insolito, nel caso di un intervento al cervello.

Maradona, gli ultimi giorni di vita: dopo l'operazione

La casa dov'è morto Maradona

Ci si avvicina al giorno della scomparsa di Maradona: "È il 10 novembre. Diego l’immortale ce l’ha fatta anche stavolta. Il giorno dopo non lo tengono più. Vuole andarsene e viene accontentato. Il foglio di dimissioni lo firmano il dottor Leopoldo Luque e Pablo Dimitroff, direttore sanitario della clinica Olivos. Due autografi che sono una condanna morte per un paziente che avrebbe bisogno non solo di cure ospedaliere, ma di terapia intensiva. Il suo cuore pompa al 38 per cento, è ancora aritmico e tachicardico. Eppure Diego esce lo stesso dall’ospedale: la famiglia (l’ex moglie Claudia, le figlie Dalma, Gianinna e Jana) e i medici decidono per l’assistenza domiciliare, ma prima occorre un domicilio perché, incredibilmente, Maradona non possiede una casa a Buenos Aires, neppure in affitto. Ci pensa Jana, che firma il contratto di locazione di un immobile, la villetta a due piani che si trova nella cittadina di Tigre. Lì vicino abita Gianinna Maradona: si pensa che questo servirà a Diego ad essere meno solo, ma è un abbaglio. Lei andrà a trovarlo una volta sola. Dell’assistenza viene incaricata la società Swiss Medical, che sistema un’infermiera fissa a casa di Diego. Si chiama Gisela Madrid. Ma il dottor Leopoldo non fa tutto da solo. Sebbene non si curi dell’aspetto cardiologico, si concentra su quello psichiatrico.

Ma Diego va curato o sedato? Nello staff sanitario entra a far parte la dottoressa Agustina Cosachov, 34 anni, psichiatra. Sarà lei a prescrivere a Maradona un cocktail di farmaci che comprende due antiepilettici (Gabapertin e Levetiracetam), un antipsicotico (Lurasidone), un antagonista degli oppiodi, inibitore del desiderio dell’alcol (Naltrexone), un farmaco per la schizofrenia e il disturbo bipolare (Quetiapina) e un antidepressivo (Venlafaxina). Una terapia per un malato psichico grave, ai limiti del ricovero coatto. Un peso notevole si qualunque organismo. Diego poteva reggerlo? Ci hanno pensato? Il primo giorno a casa è già un tumulto. L’infermiera va a misurargli la pressione, Diego si scoccia, è abituato a certi scatti nervosi. In meno di un’ora licenzia Gisela Madrid. «Cosa devo fare?», domanda la donna ai suoi superiori. Le chiedono di restare, per vigilare sulla somministrazione dei farmaci anche senza varcare la porta della camera di fortuna nella quale hanno sistemato Maradona, la sala giochi al piano terra tra karaoke e Playstation. Manca la bombola dell’ossigeno ma c’è il karaoke.

È un paziente difficile. Caratteriale, compulsivo. Da sempre è abituato a essere il re che non chiede ma ordina. Vuole una pizza, e il giorno prima di morire riuscirà a ottenerla. Mangia senza che nessuno si occupi della sua dieta: inconcepibile, per un malato nelle sue condizioni. Ingoia quello che gli capita a tiro come quando era più giovane e sano, è smodato e del tutto irregolare. In casa c’è una cuoca che fa anche la governante, si chiama Monona, è una donna anziana che a Diego un poco ricorda la sua mamma, Doña Tota. Tra le persone presenti in casa, che non solo molte (l’infermiera, la cuoca, il nipote e il segretario), Monona è l’unica che Diego sembri gradire. Per lo meno non ci litiga. Ma neppure la signora riesce a dare ordine alla dieta: si arrenderà, alla fine, preparando soltanto qualche tramezzino che Diego neppure guarda. Ne troveranno uno, intatto, anche il giorno della sua morte: quel tramezzino doveva essere l’ultima cena del condannato, ma rimase su un tavolo.

Diego Maradona è una persona sola che ormai respinge tutti. Il dottor Luque viene a visitarlo ogni giorno, più come un amico che come il medico curante. Si accerta che vengano somministrate le medicine e che non ci siano nuove mattane all’orizzonte. Scrive i suoi pensieri e i suoi pareri in chat alla psichiatra, ma le figlie di Maradona non sono convinte di questo modo di procedere. Hanno capito che qualcosa non funziona, si chiedono se non sia il caso di affidare il loro padre a un clinico, un internista, non a un neurochirurgo e a una strizzacervelli. Ed è incredibile che nemmeno in questa fase nessuno pensi al cardiologo, di certo lo specialista del quale Maradona avrebbe più bisogno. «Non gli davano nessuna medicina per il cuore», confermerà l’infermiera Gisela, destinata a diventare la principale accusatrice di Luque e Cosuchov. Leopoldo e Agustina Omicidio colposo.

Per il codice penale argentino si rischiano anche cinque anni di carcere, ma le cose cambiano in peggio se si dimostra il dolo eventuale. E c’è anche un’ipotesi di abbandono di persona. Il dottor Leopoldo piange, nella conferenza stampa improvvisata nel giorno in cui la Procura di San Isidro lo indagherà, appunto, per dolo e non ancora per colpa. Farfuglia come un ragazzino appena bocciato all’esame. «Ho fatto di tutto e di più, Diego era un mio caro amico, non solo un paziente ed è morto d’infarto, la causa più comune nel mondo». Lo dice, Leopoldo, come se questo potesse accadere a chiunque ed è vero, ma Diego era un cardiopatico grave. Il dottore nega l’evidenza, quella che l’autopsia confermerà: il cuore di Maradona pesava 503 grammi, circa il doppio del normale. Miocardite dilatativa è la diagnosi, ma nell’ultima ecografia non risultava: possibile? No, dicono gli specialisti. Il muscolo cardiaco non è un palloncino che si gonfia in un minuto. Dunque? «Papà ha le palpebre gonfie, anche le caviglie e l’addome», si scrivevano le figlie su WhatsApp. Anche il dottor Luque usa quella chat per parlare con Agustina, più fredda nel gestire l’emergenza ma non il precipitare degli eventi: sarà il primo medico a soccorrere Maradona morente, il 25 novembre, e l’infermiera la descriverà «paralizzata, non sapeva cosa fare, andava avanti e indietro: alla fine, sono stata io a tentare le prima manovre con il signor Maradona disteso sul letto». Già in arresto cardiaco, quel cuore che secondo il dottor Luque poteva fermarsi come qualunque altro cuore. Che si poteva fare, come si poteva immaginare?

Gli avvocati hanno paura delle manette. Per questo, presentano una richiesta per evitare il carcere nel caso di incriminazione: il loro assistito collabora. Il capo della Procura di San Isidro, Orlando Diaz, accetta la richiesta in quanto non ritiene che esista pericolo di fuga. Ma la posizione del dottor Leopoldo Luque si fa sempre più delicata. «Incuria grave, totale disorganizzazione nelle terapie e nell’assistenza», scrivono gli inquirenti. Il bel Leopoldo pensava più a promuovere sé stesso che a salvare il più illustre dei suoi pazienti, un passaporto per la pubblicità professionale e sociale, ma anche un boomerang. Si fa in fretta a passare dall’essere il medico che ha salvato Maradona a quello che lo ha ucciso, o almeno non ha saputo evitarne la morte. 

Matias Morla, l'avvocato di Maradona

Morla, l'avvocato di Maradona

Nel sinistro panorama umano che circonda Diego, una figura importante è quella di Matias Morla. "Il suo padrone", lo hanno definito i giornali argentini. Il suo avvocato, come minimo. Una sorta di corrispettivo legale del dottor Luque. Anche Morla è giovane, rampante, molto bene inserito nel jet set di Buenos Aires. Anche di lui, Diego si fida come di un fratello più giovane, quasi come un figlio. Si fida a tal punto da lasciargli il controllo pressoché totale del suo patrimonio.

Ma nell’ultima fase della vita del campione - il suo amico, la sua gallina dalle uova d’oro - Matias Morla non incide come vorrebbe. Claudia e le figlie lo tengono lontano, la volontà di Diego è debole, Morla deve assistere alle decisioni di altri. Cioè di quelli che a funerali avvenuti (non lo hanno neppure fatto entrare alla veglia funebre), definirà "cialtroni criminali". Non è una battaglia di simpatie, antipatie o stati d’animo, ma di soldi. Morla è colui che nel 2015 ha registrato 56 marchi commerciali riferibili a Maradona. Giochi di parole, acronimi e sigle. "Diegol", "El Diez", "Maragol", "El Diego", "La mano de Dios": sono soltanto alcuni modi di dire entrati nell’immaginario, ma anche nel giro d’affari di un personaggio che è un’azienda, e potrebbe esserlo molto di più. Ci pensa Morla: peccato lo faccia più a nome proprio che per conto di Diego. In pratica, il suo avvocato gli sottrae parte dei possibili denari legati ai marchi, dunque un po’ del suo nome accaparrato per fare soldi, senza che Diego Maradona faccia parte della società creata dall’avvocato: si chiama Sattvica. In sanscrito, "sattva" vuol dire luce. La luce del denaro, probabilmente, che Morla vuole per sé e per il suo vice, quel Max Pomargo che era il segretario ufficiale di Maradona, il suo assistente personale, e che si trovava nella casa di Tigre quando Diego è morto. In quella casa non poteva entrare Morla, ma Pomargo sì. Una sorta di avamposto che Claudia, Dalma, Gianinna e Jana, l’altra figlia poi riconosciuta da Maradona, odiavano.

La guerra dei marchi è solo una delle molte tra Matias Morla e la famiglia Maradona. Ma c’è una parte di questa famiglia, formata dalle quattro sorelle del campione, che al contrario stima moltissimo Morla, tanto da farsi rappresentare da lui nella causa per la successione ereditaria. Non è detto, però, che Morla possa seguirla nei prossimi mesi in tribunale: è sotto indagine e rischia un procedimento da parte dell’Ordine degli avvocati di Buenos Aires. Se le accuse venissero provate, rischierebbe la sospensione dall’albo e addirittura la radiazione. «Non dimenticherò mai che mi avete impedito di vegliare il mio migliore amico», ha detto Morla a Dalma Maradona. L’avvocato sostiene di poter dimostrare altre paternità del campione (è lui che segue un paio di aspiranti figli di Diego), e questo renderebbe ancora più intricato il garbuglio dell’eredità. Eppure, negli ultimi giorni di vita di Maradona, il "padrone di Diego" è tagliato fuori, si agita nell’ombra, deve recuperare la posizione di rilievo che ora, nel cuore del Diez, spetta a Leopoldo Luque.

Diego in apparenza è un tiranno che decide tutto, che sbraita anche quand’è quasi morente, ma sono soltanto sfuriate. Gli permettono di umiliare un’infermiera, non certo di recidere i tentacoli di scaltri professionisti. Morla lo è più di Luque, non è così emotivo e sa aspettare. Non si mette in posa ma cerca il modo di monetizzare sempre meglio. Se davvero, come si pensa, esistono conti segreti di Maradona nelle banche di Macao, Dubai, Sinaloa, Minsk e Avana, il regista di queste operazioni si chiama Matias Morla. E serviranno anni per risalire i percorsi di questo denaro, sul quale gli eredi presenti e futuri vorranno mettere le mani, sapendo però che Matias Morla c’entrava moltissimo con quel video di Diego del 2019, quello della minacciata beneficenza. «Le mie figlie? Sono delle ladre. Non hanno neppure invitato le mie sorelle al matrimonio di Dalma, eppure quelle care zie hanno cucinato per loro venticinque milioni di volte, senza chiedere mai niente in cambio. E allora nemmeno io andrò al matrimonio». La grande guerra dei soldi era già cominciata, Diego ne soffriva e lo sapeva. Esasperato, al punto di togliere Claudia, Dalma e Gianinna nel testamento riscritto a Dubai nel 2016, e di indicare proprio le sue sorelle come eredi universali.

Se due personaggi come Luque e Morla prendono e cedono la scena in un vortice imprevisto, altre due donne vivono in apparente sottotraccia i giorni dell’epilogo. Sono Agustina Cosachov e Gisela Madrid, la dottoressa e l’infermiera. Le loro chat fanno parte del materiale sequestrato dagli inquirenti. La psichiatra si informa, chiede se Maradona assuma regolarmente i farmaci, l’infermiera risponde di sì, almeno nei primi giorni tutto sembra sotto controllo anche se niente lo è. Ma con il passare del tempo, non molto in realtà, non più di una settimana, l’infermiera racconterà alla dottoressa che il paziente è inquieto, dorme poco anche se resta quasi sempre a letto, ed è soggetto a pesanti sbalzi d’umore. Questo fa parte del quadro clinico di Diego, per questo la dottoressa Agustin lo riempie di psicofarmaci. Mai una volta che le due donne facciano qualche riferimento alla pressione arteriosa o alle condizioni del cuore.

Maradona è iperteso, ma Gisela Madrid ha potuto verificarlo una volta sola. Dopo quel primo giorno non si è più lasciato avvicinare dall’infermiera, anzi l’ha cacciata via. Lei vigila nell’ombra, controlla a distanza quel che può. Non porta direttamente le medicine a Maradona ma le consegna a Max Pomargo, il segretario: ci pensi lui. Ed è così che accade: la salute fragilissima di Diego Armando Maradona viene affidata al vice direttore di una società ombra che sfrutta i marchi commerciali a insaputa del campione. L’infermiera Gisela, seppure estromessa, sembra essere una delle poche persone a cui la salute di Maradona importi.

Ma quando un malato grave non vuole curarsi o non collabora, lo si deve curare a forza, anche contro la sua volontà, specialmente se si tratta di una persona con turbe psichiche e dipendenza da sostanze. Su questo insisteranno i giudici: dovevano essere i medici a stabilire le procedure, non il capriccioso paziente. «Il signor Maradona non riesce a dormire. E se gli portassimo un placebo, delle caramelle, facendogli credere che si tratta di sonniferi?», domanda l’infermiera alla psichiatra su WhatsApp. «Giusto, ben pensato!», risponde la dottoressa. Lo curano così: con le caramelle.

I figli di Maradona

Le figlie di Maradona

Le figlie? Gianinna è venuta a Tigre una volta sola, Dalma e Jana si vedono un po’ di più, ma il loro padre non impazzisce di gioia quando si presentano. «A volte non le riceveva neppure», proverà a difendersi il dottor Luque. «Lo invitavo ad alzarsi un po’ dal letto, a radersi, a non lasciarsi andare, ma con Diego era tutto molto difficile». Bisogna fare sempre come vuole lui. Ma quanti sono i figli di Diego Armando Maradona? Cinque, ufficialmente. Ma qualcuno sostiene che siano nove, forse undici. Undici: una squadra di calcio. Diego si è sposato una volta sola, con Claudia Villafañe che conosce da quand’erano ragazzini. 

Maradona, il penultimo giorno di vita

Adesso Diego dorme per ore, o prova a farlo, su un materasso appoggiato a terra, senza lenzuolo né coperta. È primavera. Maradona è un uomo malato, scosso e confuso. Diego sta sdraiato sul materasso quasi tutto il tempo, è apatico, sfinito, non ha più voglia di niente. È il penultimo giorno della sua vita. La governante Monona lo aiuta a lavarsi, al piano terra un bagno ci sarebbe ma è scomodo, Diego va sorretto, non riesce a usare la tazza e per questo gli procurano un wc chimico portatile. Lo sistemano vicino al materasso, coperto da un cartone. Ed è così che il leggendario Diego Armando Maradona trascorre le ultime ore della sua vita terrena, accanto a un gabinetto di fortuna, accucciato a un passo dai suoi bisogni. Dicono che una settimana prima di morire, il mercoledì 18 novembre, sia di nuovo caduto battendo la testa. Ma questa volta non lo portano nemmeno all’ospedale. Se glielo propongono, lui grida: «Mi volete internare!». Il giorno prima ha preteso una pizza. Come sempre, lo hanno accontentato. Ma non l’ha quasi toccata. Invece, l’ultima sera Monona gli prepara un tramezzino, niente di che, ma forse lo stuzzica. Die go neppure lo guarda. Sta sempre peggio, non reagisce, parla pochissimo.

Il dottor Luque non si vede, Gianinna neppure. Dalma e Jana fanno un salto a salutarlo e lo trovano come sempre, cioè malissimo. Hanno deciso: stavolta cercheranno davvero un altro dottore, più presente, uno che possa occuparsi di ogni cosa. Dicono che lo faranno, ma finora non lo hanno fatto. L’infermiera Gisela scrive alla dottoressa Agustina che il paziente è sempre più stanco, ma ancora non riesce a riposare. Non può bastare una manciata di caramelle. Oltre alle medicine, forse servirebbe qualcuno che volesse un po’ di bene a Diego e lo portasse via da qui.

Maradona, 25 novembre 2020: l'ultimo giorno di vita

L’infermiera tiene un diario di cura, che alla fine diventerà un registro di terapie mancate e occasioni perdute. E di omissioni. Ore 6.30 di mercoledì 25 novembre: il signor Diego Armando Maradona si sta muovendo, perché dalla camera arrivano rumori. Forse sta cercando di usare il gabinetto di fortuna. Forse si è svegliato per bere, oppure non ha mai preso sonno. Forse, più probabilmente, la sua agonia è già iniziata. Poi, Gisela Madrid registra che fino alle 11 non arrivano altri segnali da quella camera di fortuna. Lei non ha mai visto un paziente assistito a domicilio in questo modo. Assistito, poi, perché? Lo hanno messo in un magazzino come una merce, lo hanno chiuso in camera come un vecchio armadio, come un tavolo che nessuno usa più. Quell’assenza di qualunque rumore allarma l’infermiera, che manifesta la sua preoccupazione alle altre tre persone presenti in casa: Johnny Esposito, nipote del campione; Max Pomargo, segretario; e la cuoca Monona, la quale risponde all’allarme in modo perentorio ma per lei protettivo: «Il signore starà dormendo, e non si sveglia il leone che dorme».

Gisela Madrid non è convinta e chiama la dottoressa Cosachov, che raggiunge rapidamente la villetta. A quel punto, decidono di entrare nella camera. L’infermiera annoterà sul diario che Diego Maradona è a letto e non risponde. Il suo braccio è freddo, il polso appare debole ma ancora presente. Si tratta di un paziente privo di coscienza, probabilmente in coma. Quello che scrive Gisela Madrid è inquietante. Dice che la psichiatra "è pietrificata". Incredibile, per un medico che deve gestire un’emergenza. Nella casa nessuno sa cosa fare. "Vanno tutti di qua e di là". Allora Gisela decide di tentare di rianimare Maradona, gli pratica il massaggio cardiaco e la respirazione bocca a bocca. Tutto inutile.

La dottoressa Cosuchov telefona al collega Luque: sarà lui, non presente, a chiamare l’ambulanza. Sono le 12.16. La registrazione della telefonata è messa agli atti dai magistrati. Il dottor Luque appare molto tranquillo, lui di solito così emotivo. In collegamento con il centralino del pronto soccorso, parla di probabile arresto cardiocircolatorio in un paziente di 60 anni. Non fa mai il nome di Maradona, si limita a dare l’indirizzo. Quella del dottor Luque è la voce di un uomo che sta chiedendo assistenza per un morto. Mentre si svolge la telefonata, Gisela Madrid si ricorda che un vicino di casa è medico. Corre a chiamarlo. L’uomo, di nome Collin Rigoyen Cambell, accorre e tenta le stesse manovre provate dall’infermiera: massaggio cardiaco e respirazione bocca a bocca. Ma Diego non respira più. Alle 12.23 arriva l’ambulanza, e di nuovo viene tentata una rianimazione, inutilmente.

Morte Maradona

Il più grande calciatore di tutti i tempi, Diego Armando Maradona, l’uomo più solo al mondo, viene dichiarato morto alle 13.16 del 25 novembre 2020. Non c’è nessuno in quel momento a piangerlo. Nessuno gli ha tenuto la mano. Non un figlio, una figlia, non una delle sue numerose donne, non un fratello né una sorella. Dentro la stanza ancora semichiusa da pannelli di legno - non ci sono le imposte, e neppure le tende - entra dai vetri un po’ di sole che illumina appena i muri, il materasso, le mensole spoglie, un corpo umano immobile. Davanti alla finestra c’è un vaso di fiori finti.

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