Carnevale: "Il mio libro racconta di una storia drammatica come la mia. Mia padre ha ucciso mia mamma e ci ha reso orfani"

Le Interviste  
Carnevale: Il mio libro racconta di una storia drammatica come la mia. Mia padre ha ucciso mia mamma e ci ha reso orfani

Oggi su CRC, radio partner della SSC Napoli, nel corso della trasmissione “A Pranzo con Chiariello” è intervenuto il responsabile scouting Udinese Andrea Carnevale

Di seguito le sue parole: 

«Il mio libro non è improntato su un fatto calcistico, ma è una storia nella storia. Il racconto narra di un bambino di 14 anni che è rimasto orfano e che ripercorre la mia storia. Questo libro vuole essere un messaggio alle future generazioni che si stanno perdendo e un messaggio alle mamme di denunciare.

In questo libro è presente anche un capitolo dedicato a Diego Armando Maradona. A lui devo baciare gli scarpini perché mi ha reso famoso e vittorioso e lo ringrazio di tutto.

Mio padre commise un femminicidio ai danni di mia mamma e ci ha reso a me e ai miei fratelli orfani. Non sono fiero di essere figlio di un padre che ha ammazzato la propria madre.

Devo ringraziare mia sorella che era l’unica maggiorenne allora poiché c’erano già gli assistenti sociali che ci volevano dividere. La mia famiglia ha fatto squadra che è stata la cosa vincente. Mia sorella Giuseppina è venuta a mancare sedici anni fa e ci ha fatto un po’ da mamma a tutti noi minori. Non finirò mai di ringraziarla.

La mia storia è una storia drammatica che non si deve mai spegnere. Ringrazio tutti coloro che stanno dando voce alla mia storia poiché è un anno che la sto esternando e voglio portarla avanti soprattutto dopo gli episodi a cui abbiamo assistito. 

Mi sento di essere vicino agli orfani e alle mamme poiché conosco il dolore che vivono poiché l’ho vissuto anche io a quattordici anni. L’unica speranza della mia vita era quel pallone che mi ha salvato la vita. Io ero determinato, volevo diventare un calciatore di Serie A e mia sorella mi dava qualche scappellotto poiché a quei tempi servivano i soldi.

Io ce l’ho fatta lavorando e giocando a pallone e questo è il messaggio che voglio mandare alle nuove generazione che se io ce l’ho fatta nonostante tutte le grandi difficoltà che ho vissuto, legandomi al pallone con una famiglia orfana, numerosa e povera, tutti lo possono fare e ai tutti giovani e alle mamma dico di denunciare.

Vorrei abbracciare la famiglia di Martina, la ragazza di Afragola, poiché gli sono vicino poiché è stata uccisa brutalmente. La stessa cosa che è successa a Martina, è successo a me cinquant’anni fa con un padre che era geloso di mia mamma che aveva partorito sette figli.

 La malattia degli uomini è che sono poco dignitosi. In una partita si può vincere o perdere, a tutti è toccata una separazione ma non si può fare che ad ogni separazione corrisponde un femminicidio. Bisogna dire basta anche alle istituzioni poiché non bastano solo i braccialetti.

Cinquant’anni fa quando è stato denunciato l’omicidio di mia madre, il maresciallo mi disse: “Fin quando non vediamo il sangue, non possiamo fare nulla”, non vorrei più che un maresciallo, e non lo dico perché ho qualcosa contro l’Arma dei Carabinieri di cui ho massimo rispetto, e un uomo dello stato dica una cosa del genere ad un bambino.

Il sangue gliel’ho portato e voglio dare voce a questi eventi in modo che non accadano più, nonostante accadano ancora»

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