Serie A - Da oltre tre anni Amauri ha appeso gli scarpini al chiodo. Ultima esperienza i New York Cosmos di Rocco Commisso ed è negli States che ha scelto di vivere. Ai mcirofoni di Tuttomercatoweb si racconta, dal presente tornando indietro al passato e alla sua lunga esperienza in Italia dove si è consacrato come calciatore dopo esservi arrivato da sconosciuto.
Amauri, oggi vivi negli Stati Uniti. Cosa ti ha portato a questa scelta?
"Finito il contratto col Toro sono venuto in vacanza negli Stati Uniti e ho trovato quasi senza volere un contratto. Ho giocato a Fort Lauderdale, infine a New York nei Cosmos di Rocco Commisso. Avevo ancora qualche proposta ma non ero più stimolato per cui ho deciso di smettere. Mia figlia più piccola ha cominciato a studiare qui e abbiamo deciso di rimanere finché i miei figli finiscono gli studi. Vivo a Miami da cinque anni e sto molto bene".
Di cosa ti occupi?
"Una volta che ho smesso ho deciso di prendermi un periodo di pausa. Seguivo molto mio figlio che anche lui ha la passione per il calcio. E adesso si è trasferito in Francia proprio perché vuole fare il calciatore e qui negli Stati Uniti non è il massimo se vuoi fare carriera. Certo, a 14 anni un po' di preoccupazione c'è e infatti ho impiegato 6 mesi a dire sì. Ma lui si è ambientato subito ed è una cosa molto positiva. Qui negli USA faceva quel che voleva col pallone, in Europa è diverso: più contrasti, tattica, più tutto".
Papà a tempo pieno, quindi
"In realtà avevo e ho un progetto in testa, a cui pensavo già quando ero in attività. Ossia cercare dei talenti, dare opportunità ai ragazzi meno fortunati. L'anno scorso volevo iniziare questo percorso, poi è arrivata questa pandemia e tutto è rinviato. Spero che il mondo torni alla normalità e aspetto il momento giusto per realizzare i miei piani".
Brasiliano di nascita, italiano d'adozione e ora statunitense. Cittadino del mondo, in pratica. Non ti è mai venuta la voglia di chiudere la carriera nel tuo Paese d'origine?
"Ho avuto proposte, tipo il Corinthians nel 2012 però essendo l'Italia il Paese che mi ha accolto come calciatore e mi ha dato la possibilità di farmi un nome sono felicissimo di aver finito il mio ciclo in Italia. Sono un brasiliano atipico e infatti mi sento più europeo".
La tua storia è curiosa: rimani chiuso due settimane in un albergo in Belgio, poi l'incontro con l'agente Mariano Grimaldi che ti cambia la vita
"Ricordo che mi avevano portato in Belgio per fare un provino ed ero andato anche piuttosto bene. Pensavo le cose si mettessero a posto, poi invece no. Sono rimasto io e un altro italiano dentro la stanza e finché non pagavamo non potevamo uscire. Chi mi ha portato lì se n'è andato. Per fortuna ho ricevuto la chiamata di Vittorio Grimaldi e suo figlio Mariano. Sei mesi prima mi avevano notato al torneo di Viareggio. Mi hanno pagato l'albergo e poi mi hanno portato a Napoli. Ricordo le 10 ore di treno da Torino, incredibile a ripensarci".
Da lì il primo contatto con l'Italia, addirittura con la Serie A
"Di quei primi tempi ricordo che ho cominciato ad allenarmi per strada a Napoli. Correvo per la città, di fatto ho imparato a memoria tutte le vie. Mi avevano messo a disposizione un preparatore, di nome Gennaro, che mi trattava come un figlio. Inizialmente sono stato aggregato alla Primavera del Napoli ma non potevo giocare in quanto extracomunitaio. Così per 6 mesi mi potevo solo allenare. Quando si libera il posto da extracomunitario grazie alla cessione di Damir Stojak finalmente ho il mio contratto. Da lì l'esordio con Mondonico e il primo gol".
La tua carriera è stata un continuo crescendo. Quale è stata la svolta?
"Ogni fase vissuta è stata importante. Io sono arrivato in Italia da sconosciuto, non avevo mai fatto parte della nazionale né da selezioni giovanili. Ho avuto i miei 2-3 anni di ambientamento per capire come funziona il calcio italiano. Certo, ci sono stati momenti chiave: direi che è stato decisivo il periodo dal 2005 in poi: se non facevo bene al Chievo rischiavo di non fare il salto di qualità. Lì è stata la prima svolta, che mi ha portato a Palermo. I due anni in Sicilia sono stati decisivi per il salto alla Juve, il sogno di tutti i calciatori".
A Palermo eri all'apice della carriera e la tua riserva era un certo Edinson Cavani. Che effetto ti fa ripensandoci?
"Nessuno, perché ero all'epoca più forte di lui. Però posso dire che gli ho predetto una grande carriera: mentre stavo andando alla Juve gli ho detto che avrebbe preso lui le redini dell'attacco e che avrebbe fatto grandi cose. Di lui ho un aneddoto".
Prego
"L'ho conosciuto nel 2005 quando si presentò al Chievo, dove io giocavo, con altri due uruguayani per un provino. Dei tre lui era quello con più qualità ma alla fine fu scartato ed è rientrato in Uruguay. Un anno ero a Palermo e quando mi sono infortunato al ginocchio c'era bisogno di qualcuno che mi rimpiazzasse. Rino Foschi venne a trovarmi e mi disse: voglio prendere un tuo sostituto e ho due nomi che sono Matusiak ed Cavani. Non ci ho pensato due volte a suggerirgli Edinson. Foschi per sicurezza prese entrambi (ride, ndr). Alla sua prima uscita Cavani fa un gran gol da fuori alla Fiorentina, Foschi mi guarda e mi fa: 'Tu devi fare il direttore sportivo'".