La voce del padrone

Editoriale  
La voce del padrone

“Mi rompe le scatole leggere che sono un tuttologo troppo presente”. C’è chi si mette degli occhiali da sole per avere più carisma e sintomatico mistero. Oppure si siede per 100 minuti in conferenza stampa. La giornata di Aurelio De Laurentiis è stata questa, attorniato ai lati, rimasti silenti, da Mauro Meluso e Maurizio Micheli. Se al Festival di Sanremo non erano previsti particolari monologhi, per gran parte oggi a Castel Volturno si è recuperato.

di Claudio Russo (@claudioruss)

Cambiano le prospettive al mondo, voli imprevedibili ed ascese velocissime. Con quattro-cinque destinatari ben precisi, come a volerci mettere una pietra sopra, come se ci fosse qualcosa di irrisolto a distanza di mesi. Luciano Spalletti, Cristiano Giuntoli, Rudi Garcia, Paolo Rongoni, Bartolomej Bolek. Una mitraglietta di parole, per fornire la propria versione dei fatti, per riabilitare la propria posizione o quantomeno mettersi in pace: così è come dico io, con i miei toni peraltro, di più cosa fare?

Si passa da uno Spalletti a cui viene freddamente segnalata l’opzione di rinnovo (“Non esiste la carineria, esiste la pura esecuzione giuridica”), ad una serie di giocatori ceduti al termine della sua prima stagione (“gli ho fatto un cleaning di personaggi che non remavano a favore della società”), ad uno Giuntoli che gli sussurrava, come Robert Redford in un film del 1998, di voler andare alla Juventus da mesi (“È stato otto anni nascondendomi che era juventino. Se l'avessi saputo, non l'avrei preso con tutto il bene che voglio a lui e alla sua signora con figlio”).

Il tempo cambia molte cose nella vita. Il senso, le amicizie, le opinioni. Uno Zielinski preso di mira (“Ce l'ho a morte con il suo agente, non vuole farlo rimanere e ti vende perchè ci deve guadagnare. A quel punto ho una diversa considerazione di te non come calciatore”), un Rongoni idealmente impalato e snaturato (“Gli ho fatto una testa tanta dicendogli che avevamo Sinatti, perchè non si concertava con lui? Doveva fare le stesse cose fatte da Spalletti”)

Il mondo è grigio, il mondo è blu. Rudi Garcia, chissà, messo da parte (“Se l'avessi subito mandato a casa, cosa avreste detto? Sarebbe stata la rivoluzione. Avreste detto che sarei impazzito. Ero sempre qui, mi allontanavo e faceva cose discutibili e perdevamo. Nello spogliatoio o lo mandavo affanculo o stavo zitto. Gli dissi 'che cazzo vuoi fare? farti cacciare?’”).

Ma è la rottura con Luciano Spalletti che ha aperto un solco notevole, di quelli che fanno male e che bruciano costantemente: “Se mi viene a dire 'presidente voglio tornare a curare le mie cose, è stato faticosissimo e mi sono impegnato in maniera estrema, mi lasci andare' poi però va in Nazionale, c'è una contraddizione oppure no?”. Il dubbio insinuato sugli eventuali rapporti già avviati con la FIGC, la punzecchiatura sul suo carattere (”è umano per uno che non ha mai vinto nulla, che a Roma e a Milano ha avuto problemi negli spogliatoi, qui a Napoli fila tutto liscio e vincendo lasci da grande vincitore”), l’idea di far valere l’opzione contrattuale come cura all’eliminazione in Champions League (“Non mi sono fatto 'fare', mi sono voluto far 'fare'. […] questa cosa mi ha indisposto ancora di più successivamente”), sminuendo poi il cammino fatto (“l’altr'anno è stato più semplice di questo”) ed affondando il colpo sull’annuncio dell’addio (“mai avrei creduto che ci comunicasse l'intenzione di prendersi un anno sabbatico per tornare a fare il contadino in Toscana”).

Dai 100 e più minuti di conferenza stampa di Aurelio De Laurentiis traspare l’immagine di un uomo che ha voluto dare la sua versione dei fatti, e non si citano gli innumerevoli discorsi fatti su centro sportivo e stadio (sono più gli anni che se ne parla che le opere realizzate). Che prova a districarsi all’interno di una stagione difficile, con un passato recente pesantissimo, con alcuni elefanti nella stanza di Castel Volturno ben visibili. Un uomo solo al comando, chissà quanto solo nel suo essere presidente, imprenditore, non prenditore, quasi sovversivo nelle sue proposte in una Lega che non lo ascolta e che non degna della presenza nelle proprietà degli altri club.

“Sono io il problema? No, mi sarei fatto da parte […] Vero che dico sempre di farmi consigliare, ma poi faccio come cazzo dico io”. Nel settembre del 1981, precisamente il 21, la EMI italiana pubblicava un vinile di Franco Battiato: la Voce del Padrone. Come faceva? Cerco un centro di gravità permanente, che non mi faccia mai cambiare idea sulle cose e sulla gente…

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