L'illusione del cantiere aperto

Editoriale  
L'illusione del cantiere aperto

Doveva essere un potenziale vantaggio, invece è stato quasi un suicidio. Eppure il concetto era chiaro: meglio affrontare la Juventus alla seconda giornata, quando è verosimilmente un cantiere aperto, piuttosto che successivamente, quando magari diventerà una macchina quasi inarrestabile. Un vantaggio minimo, assolutamente teorico, ma pur sempre possibile e a cui valeva la pena aggrapparsi. Senza escludere chiaramente l'ipotesi dell'autogestione bianconera, cosa poi effettivamente avvenuta, perché con certi valori tecnici e carismatici, nulla è da escludere. Così il Napoli, piuttosto che un cantiere, ci trova una voragine. Buia e profonda. 

Ma non è la sconfitta il vero problema. Anche perché, per come alla fine è arrivata, può paradossalmente diventare un importante trampolino di lancio per il futuro. Ciò che più lascia perplessi, invece, è che all'Allianz Stadium, a gran sorpresa, si scopre che il cantiere aperto è in realtà quello di Carlo Ancelotti. Perché dopo un'estate lunga e un anno già alle spalle, sono ancora diverse le cose da sistemare. Alcune più prevedibili, come l'intesa tra Kostas Manolas e Kalidou Koulibaly, e altre meno, come un Fabian Ruiz in affanno sulla trequarti e un sistema tattico ancora da collaudare. 

E' quindi innegabile: Ancelotti ha grosse responsabilità sulla debacle di ieri. Perché il Napoli, lì dove doveva provare a giganteggiare forte delle sue certezze e della sua continuità, crolla invece clamorosamente. Spaesato, intimorito e vulnerabile. E' un Napoli disastroso per un'ora abbondante, col primo vero tiro che arriva soltanto 50esimo. L'instantanea del primo goal, ripartenza fulminea e tre contro uno, è poi la sintesi perfetta di quanto visto ieri prima che entrassero in scena le variabili impazzite. 

Poi è chiaro, anche la Juventus si fonda su un blocco storico. E considerandone i successi degli ultimi anni, anche molto più importante di quello campano. Ma dal momento che la metamorfosi dall'allegrismo al sarrismo è appena iniziato e non è proprio immediata, l'ancelottismo doveva colpire. Provarci almeno. Invece la creatura vulnerabile e disorientata, alla fine, si rivela il Napoli. I lavori in corso, quasi quasi, sono più all'ombra del Vesuvio che nel capoluogo piemontese

Senza il doppio intervento di Alex Meret, inoltre, i bianconeri avrebbero dilagato e l'umiliazione sarebbe stata ancor più grande. Quindi diciamoci la verità: lo straordinario 3-2, quello che ha fatto sognare un'intera città, è stato più che altro frutto di fortunosi episodi ravvicinati, che sono coincisi col calo fisico e psicologico di una Juventus già certa della vittoria. Ma prima di quel forcing finale, quando la squadra bianconera era ormai alle corde, c'è stato il vuoto. Vuoto inammissibile per una squadra che ha l'obiettivo di vincere. E' anche una questione di attributi, probabilmente. Che poi bisogna apprezzarne la reazione finale, non vi è dubbio. Ma non basta per ambire a qualcosa di importante. 

La verità è che il Napoli, nella vera partita, è stato sovrastato in ogni zona del campo. Almeno finché non si è passati alle certezze tattiche. Perché quando c'è stato il 4-4-2, con i cambi esatti e gli interpreti giusti, qualcosa già è cambiato. Ancelotti, nella sua straordinaria umiltà, dovrà quindi fare mea culpa e un primo bilancio dopo Firenze e Torino. Perché da un vicente come lui, un Prometeo approdato sul Golfo per riportare il fuoco della speranza, ieri ci si aspettava qualcosa di diverso. Magari sempre perdendo, ma con la certezza averci provato davvero. Giocando a calcio, quanto meno.

di Pasquale Edivaldo Cacciola 

©RIPRODUZIONE RISERVATA 

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