Ultime calcio - Arsene Wenger ha un approccio diverso dopo ventidue anni trascorsi a Londra da allenatore dell’Arsenal: più evoluzionista, quasi darwiniano. Perché, secondo chi lo governa, se il calcio non cambia rischia di restare indietro nel mercato dell’intrattenimento. Queste le sue dichiarazioni al Corriere della Sera:
Qual è il suo obiettivo?
«Rendere migliore il calcio internazionale: più chiaro, più semplice e più significativo, con una riduzione delle qualificazioni e una maggiore attenzione alle grandi competizioni finali. Allo stesso tempo, voglio mantenere l’equilibrio attuale: circa l’80% della stagione per le competizioni per club e il 20% per le competizioni delle Nazionali. Non c’è davvero nulla di rivoluzionario in questo: è semplicemente un modo più moderno di organizzare il calcio».
Cerchi di convincere un suo collega di Premier o di A della bontà del progetto che porta al Mondiale biennale.
«La mia proposta è di raggruppare le qualificazioni in una o due finestre internazionali, invece delle cinque attuali. In questo modo ci sarebbero meno interruzioni e i giocatori rimarrebbero al loro club per quasi tutta la stagione. Come manager di club avrei firmato immediatamente per questa proposta».
Come si può preservare l’importanza della storia della Coppa del Mondo?
«La tradizione non dovrebbe significare rimanere immobili, ma piuttosto concentrarsi sull’essenza del gioco. L’attuale sistema, con il Mondiale quadriennale è stato stabilito quasi cento anni fa. Aveva senso allora, soprattutto a causa dei viaggi, ma i tempi sono cambiati. Il Mondiale 2026 sarà a 48 squadre. Con più Nazionali nella fase finale non ha più senso avere lunghe qualificazioni distribuite nell’arco di due anni».
La Coppa del mondo biennale avrebbe lo stesso peso?
«Sì, sarà ancora la Coppa del Mondo: le migliori squadre nazionali che si sfidano in una competizione a eliminazione diretta. Sarà sempre l’apice della carriera di un giocatore e la più grande fonte di passione per i tifosi. Questa tradizione ci sarebbe ancora. E in realtà voglio darle più spazio».
Sono concetti cari anche alla Superlega, non trova?
«C’è una differenza fondamentale: il mio obiettivo non è quello di creare un negozio chiuso ed esclusivo, ma di rendere il calcio più inclusivo, dando più opportunità a tutti i Paesi di tutte le regioni di competere ai massimi livelli. Delle 211 associazioni della Fifa, 133 non hanno mai partecipato a un Mondiale. Se l’organizzassimo in modo più regolare, avrebbero più possibilità di partecipare. Ho letto proposte di riforma per la serie A: alcune idee assomigliano alle mie — meno partite, ma più significative — . Quindi non sono l’unico che sta riflettendo sull’argomento».