Agostini: "Via da Napoli per i fischi dei tifosi, chiesi a Boskov di non giocare! Le barzellette di Berlusconi, il faccia a faccia Guerini-Rincon e i racconti mitologici di Liedholm. In azzurro grazie a Moxedano" [ESCLUSIVA]

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Agostini: Via da Napoli per i fischi dei tifosi, chiesi a Boskov di non giocare! Le barzellette di Berlusconi, il faccia a faccia Guerini-Rincon e i racconti mitologici di Liedholm. In azzurro grazie a Moxedano [ESCLUSIVA]

Agostini intervistato a CalcioNapoli24. L'ex calciatore del Napoli rivela alcuni aneddoti interessanti su Liedholm, Guerini e tanto altro a Calcio Napoli 24

Notizie calcio Napoli - Per noi tutti era ed è ancora il Condor. “Fu Patrizio Sala a darmi quel soprannome a Cesena, un po' per il mio naso aquilino ed un po' perchè segnavo tanto”. Massimo Agostini si confessa, in esclusiva, ai microfoni di CalcioNapoli24.it. Dai racconti di Liedholm in allenamento al confronto con Guerini nel prepartita di Boavista-Napoli. Di goal ne ha segnati tanti, così come gli aneddoti che hanno riempito la sua lunga carriera da calciatore.

Intervista Massimo Agostini

Perchè il Condor? “Fu Patrizio Sala a mettermi quel soprannome quando ero a Cesena, io ero molto magro ed avevo il naso un po' aquilino, ma poi lui diceva che quando dovevo far goal mi lanciavo sul pallone come il condor fa con la preda”. 

Le 13 reti in Serie B, col Cesena, nell’’85/’86 attirarono le attenzioni della grande Roma con Sven Gran Eriksson in panchina. Che allenatore ricordi? “Era l'allenatore straniero più giovane che ci fosse in Italia.  Aveva idee molto molto importanti e rivoluzionarie. Voleva attuare e faceva attuare il calcio totale. Per lui non esistevano difensori ed attaccanti, per lui tutti dovevano far tutto. Con lui mi son trovato benissimo, mi ha insegnato un sacco di cose e mi diede molta fiducia. L'anno dopo andò alla Fiorentina e fece il mio nome alla dirigenza, ma Dino Viola non mi vendette”. 

Agostini

Fu una stagione positiva per te, forse un po’ meno per la squadra. Ottavi in campionato, ma Agostini fu il miglior marcatore della stagione con cinque goal, insieme a Berggreen e Desideri. L’impatto non fu proprio così male con la massima serie. “Vero, però fino alla prima gara del girone di ritorno eravamo secondi e dopo la trasferta di Udine ci fu il crollo. Mi infortunai, Pruzzo prese cinque giornate di squalifica per un fallo di reazione ed avevamo solo un attaccante che era Baldieri. Di lì, in otto partite, facemmo solo tre punti”.  

Ancelotti, Conti, Pruzzo, Tancredi. Chi dei ‘grandi’ ti colpì di più e perché? “Non solo, c'erano anche Manfredonia e Collovati. A ventuno anni ebbi la fortuna di approdare nella squadra della capitale in una rosa che l'anno prima perse lo scudetto per un soffio e due anni prima fece la finale della Coppa Campioni. Mi sono sposato giovanissimo e questa fu la mia fortuna perchè mi ha aiutato tanto in quegli anni in cui era difficile spostarsi”. 

L’anno successivo arrivò Liedholm in panca. L’insegnamento più grande che ti abbia dato il mister? “Era un maestro nella gestione dei giocatori, ma nonostante fosse nel finale della carriera aveva ancora le idee molto chiare. Voleva che la squadra avesse sempre il pallino del gioco in mano. Poi durante gli allenamenti ci faceva divertire quando raccontava i suoi aneddoti”.

Tipo? “Ci stavamo allenando e la palla finì in fallo laterale, nei pressi della bandierina. Per cui iniziò uno dei suoi racconti: 'Quando giocavo io ed avevamo un fallo laterale in questa posizione io facevo arrivare la palla con le mani fino al secondo palo e una volta un mio compagno segnò su un mio assist di mano'. Non solo, c'è anche quella del rigore. 'Una volta tirai un rigore talmente forte che la palla rimbalzò sulla traversa ed arrivò fino a centrocampo, poi subimmo il goal e i tifosi di casa mi applaudirono per cinque minuti'. Poi ogni tanto raccontava che, visto che non sbagliava mai, al primo errore i tifosi di Milan ed Inter si alzavano per applaudirlo. Era un grande Liedholm, ci faceva divertire un sacco. Quell'anno non fu fortunato per me perchè andò via Graziani, ma arrivò il tedesco Voeller. Col lui giocai tutto il precampionato, poi il tecnico volle affidarsi alla coppia Pruzzo-Voeller ed io scivolai nelle gerarchie”.

Voeller, Policano e Boniek fuori dal campo. “Partiamo dal presupposto che non ho mai avuto problemi con nessuno di loro. A Roma si creò un gran bel rapporto tra i giovani della rosa e i più esperti. Molti li frequentavo anche fuori dal campo come Bruno Conti, Pruzzo, Tancredi ed Oddi. Voeller mi fece una grande impressione quando arrivò a Roma, era un calciatore di un'umiltà incredibile, ma i tedeschi sono tutti così. Mi piaceva stare anche con quelli più giovani come Policano, Desideri e Giannini”. 

Tornasti a Cesena nell’affare che portò Rizzitelli alla Roma. Prima Bigon e poi Lippi sulla panchina bianconera. Un ricordo di Marcello alle prime armi. “Era reduce dalla Serie C, allenava la Carrarese, ma si vedeva che le sue idee erano già molto chiare. Puntò sin da subito ad un calcio a zona con molte verticalizzazioni, ma in Serie A le piccole agivano in contropiede. Il Cesena giocava per la salvezza e fare quel tipo di gioco per noi fu molto complicato. Alla prima apparizione stagionale, in Coppa Italia col Messina (che era in C), ne prendemmo quattro. Il giorno dopo ci fu un confronto tra noi esperti ed il mister in cui gli spiegammo che giocando in quella maniera avremmo trovate grosse difficoltà. La settimana dopo incontrammo il Milan e pure perdemmo 3 a 0 fino a quando anche Lippi capì che bisognava cambiare e passare al 4-5-1. Io facevo l'unica punta. Lippi è stato un allenatore di spessore e per il Cesena fu molto importante. Non a caso ci salvammo. Poi arrivò Bigon in panchina, uno che aveva giocato nel Milan, non uno qualsiasi. Ci salvammo di nuovo, anche con Bigon”. 

Il Milan spese ben 6 miliardi per portarti in rossonero. Nella tu unica stagione alzasti due trofei, Supercoppa UEFA e Coppa Intercontinentale. “All'epoca esistevano i 'parametri' ed il mio era di 7.5 miliardi di lire. Andò così, col Cesena avevo un biennale ed io, ad inizio del secondo anno, chiesi altri due anni di contratto al Cesena che voleva allungarmelo. Loro dissero di no ai due anni e rimandarono tutto a fine stagione perchè, forse, non erano convinti che potessi confermarmi a suon di goal. Io intanto mi organizzai col Milan a dicembre per l'anno successivo. Durante l'estate successiva anche l'Inter mi contattò, il mio agente mi mise davanti ad una scelta, Milan o Inter. I nerazzurri mi avrebbero fatto un quadriennale e Pellegrini e Trapattoni mi volevano fortemente per farmi fare coppia con Klinsmann. Il contratto sarebbe stato anche più ricco rispetto a quello che mi offrì il Milan, ma una parola è una parola ed io l'avevo data ai rossoneri”. 

Entrasti nel mondo di Arrigo Sacchi. Che allenatore è stato per te? Che ricordo nutri di lui? “Già lo conoscevo sin dai tempi della Primavera del Cesena. Con lui vincemmo lo scudetto e fummo la Primavera più forte d'Italia. Battemmo l'Avellino in finale, l'Avellino di Cervone, Maiellaro e Pecoraro. Conoscevo già i suoi metodi d'allenamento, sapevo cosa mi avrebbe chiesto in campo. Quando arrivai al Milan non feci le vacanze estive proprio perchè Sacchi mi volle al preritiro. In pratica stavo a Milanello dal martedì al venerdì, poi nel week end tornavo a casa. Poi andammo in ritiro tutti, ma io chiesi una settimana di vacanza e me la concessero. Sacchi è stato già raccontato troppe volte, lui è la dimostrazione che anche chi non ha giocato a calcio ad alti livelli può studiarlo e diventare un grande esperto della materia. Durante la settimana era un vero martello pneumatico, esigeva un comportamento sempre educato da parte nostra. Poi in campo metteva coloro che si mostravano interessati alle sue idee e le mettevano in atto. Aveva tanta credibilità, perciò anche i campioni di quel Milan si misero a sua disposizione e si vinse di tutto”. 

Era il Milan degli olandesi Gullit, Rijkaard e Van Basten. “E mica solo loro, l'ossatura del Milan era composta da Baresi, Tassotti, Donadoni, Ancelotti, Costacurta, Filippo Galli e un giovane Maldini. Erano tutti calciatori di livello internazionale perciò gli olandesi trovarono terreno fertile e diedero quel tocco di classe in più alla squadra. Parliamo di tre calciatori di livello stratosferico, da loro c'era tanto da imparare. Io, però, guardavo soprattutto Marco Van Basten perchè sarei dovuto essere la sua riserva. Ricordo che guardavo tutto di luo. Di centravanti così, negli ultimi trent'anni, ne ho visti pochissimi”. 

Goal all’esordio col Milan, alla prima di campionato. Rete al 72’ minuto di Massimo Agostini. Che pensasti al termine di quella partita? “Sacchi mi fece entrare al posto di Ruud Gullit, segnai uno dei goal più veloci della storia dall'ingresso in campo. Segnai dopo soli dodici secondi, palla di Donadoni a centro area, feci finta di attaccare il primo palo, ma stoppai la corsa e di sinistro incrociai in porta. Fu il primo pallone che toccai in quella partita, all'esordio. In quell'anno feci circa 15 presenze e non tutte da titolare”. Guarda in basso per vedere il video.

Che rapporto c'era tra il presidente Berlusconi e la squadra? “Era una festa continua quando c'era lui a Milanello e lui veniva tutti i giorni. Restava con la squadra fino al pranzo. Nel periodo natalizio organizzava la classica cena di Natale con tutta la squadra e le rispettive mogli o fidanzate”.

Barzellette ne raccontava? “Erano all'ordine del giorno ed erano anche abbastanza spinte e parlava sempre di 'certe' cose (sorride ndr.). Non vedevo l'ora che arrivasse quel momento della giornata, ci faceva tanto ridere con storie varie e barzellette”. 

Solo 4 reti al Parma però Scala ti vedeva abbastanza. No? “A primo impatto ti sembra di vedere una persona burbera e poi non so se lo sai, ma aveva delle mani enormi. Fisico massiccissimo e mani che se ti dava uno schiaffo ti dava due metri (ride ndr.). Col suo staff creò un ambiente molto positivo a Parma, non a caso poi quella squadra arrivò a traguardi incredibili. Quell'anno vincemmo la Coppa Italia e ci qualificammo per la Coppa UEFA. C'erano calciatori importanti anche se molti arrivavano dalla B come Melli, Brolin ed Osio. Scala si fidava molto del gruppo storico di quel Parma ed io non ebbi lo spazio che speravo di trovare così iniziai a non prendermi bene col mister, non c'era feeling. A fine stagione preferì cambiare aria e mi cercò fortemente l'Atalanta. Feci tutto con gli orobici, partì con l'auto ed ero circa a Piacenza per dirigermi a Bergamo quando mi squillò il telefono. Era il mio procuratore che mi disse di fermarmi perchè il Parma, per cedermi, chiese 1 miliardo in più e l'Atalanta si tirò indietro. Era il penultimo giorno di mercato, ero inguaiato in pratica. In quell'ultima giornata mi volle l'Ancona e pur di non restare in gialloblù accettai”.

Due anni all’Ancona. Tanti reti in maglia rossa per poi approdare al Napoli. Era un Napoli reduce dall’epoca maradoniana. Le aspettative erano tante su di te? “Sì, due stagioni ad Ancona che mi acquistò in comproprietà e pagò subito la prima rata. Retrocedemmo subito in B e ci bloccarono il mercato per uno scandalo così la società non potette rinforzare la squadra. Accadde che l'Ancona non aveva i soldi per pagare l'altra mia rata al Parma e tornai in Emilia. Poco prima di ripartire mi chiamarono da Parma dicendomi che avrebbero fatto un regalo all'Ancona e mi cedettero in prestito, sempre a loro, ma in B. Ma io in B non volevo assolutamente starci, pensa che al ritiro mi presentai con una settimana di ritardo. Feci tutta la stagione con l'Ancona e l'anno successivo si ripropose lo stesso fatto. Non ebbero i soldi per pagare la seconda rata del mio acquisto ed il Parma mi rinnovò il contratto di due anni, ma mi dissero che stavano per prendere un attaccante. Se questo attaccante avesse detto sì al Parma io avrei potuto scegliere tra la permanenza in Emilia Romagna oppure andare al Napoli. Nell'ultimo giorno di mercato il Parma ufficializzò Branca dalla Roma, il Napoli chiamò Pastorello dicendo che mi volevano. Mi fecero firmare un biennale con opzione per il terzo anno, il presidente era Moxedano. Arrivai a Napoli di corsa anche se i miei agenti mi sconsigliarono di firmare visto che cambiò la società e la squadra non era più quella di un tempo. Altre persone mi dicevano fosse difficile vivere a Napoli, ma io sono uno che deve provare le cose per dare un giudizio, per cui dissi subito di sì”. 

Arrivasti con Guerini che fu il tuo allenatore ad Ancona, fu lui che ti consigliò al Napoli? “Non credo fossi nella lista di Guerini, mi volle la società. Mi ha preso Moxedano. Ci andai anche perchè la Serie A è sempre una vetrina importante”. 

Ci fu un’indimenticabile cavalcata che vi portò a sfiorare la qualificazione in UEFA. Quel goal di Del Vecchio a Padova cosa vi fece provare? Io ero allo stadio, al San Paolo c’era Napoli-Parma. Ci racconti quegli attimi di illusione? “Che ricordi! Era l'ultima di campionato e ci giocavamo la qualificazione in UEFA. Napoli-Parma, fu una partita molto difficile, dovevamo vincere per forza e sperare che il Padova, intanto, fermasse l'Inter. Non riuscivamo a fare goal, poi ad otto minuti dal termine ci fu la 'parata' di Brolin che di mano in area toccò la palla. Io, senza guardare nessuno, presi il pallone ed andai sul dischetto e nessuno disse nulla. Tutti mi diedero fiducia perchè mi videro convinto. Io sapevo di far goal e non avevo paura di sbagliare. Segnai, che esultanza che ci fu al San Paolo. L'Inter, a San Siro, stava ancora 0 a 0 col Padova, in quel momento eravamo in Coppa UEFA. Al triplice fischio finale eravamo ancora in UEFA, a Milano sarebbe finita due minuti più tardi di noi e i tifosi del Napoli restarono allo stadio aspettando il verdetto positivo. Ricordo che il San Paolo si ammutolì, aveva segnato Del Vecchio dell'Inter. Sugli sviluppi di un corner fece goal di testa, lui che in stagione fece solo tre goal e tutti di piede (scherza ndr.). Credo sia stata la sensazione più brutta passata in due anni di Napoli. L'Inter andò in UEFA e noi no”. Guarda il video in basso. 

Fredy Rincon, che calciatore e che ragazzo hai conosciuto? “Abitavamo nello stesso palazzo a Via Nevio, lui al quarto piano ed io al sesto. Era il classico brasiliano in allenamento, sembrava svogliato, col passo sempre compassato, però era di una bellezza disarmante quando toccava il pallone. 1.90 cm d'altezza, fisico scultoreo, tocco di palla stupendo, corsa felpata. Mi sembrava una pantera, velocissimo. Non ebbe tanta fortuna all'inizio, c'era Guerini in panchina e lui non riusciva a trovare una posizione in campo. Metteva lui in attacco e lasciava me in panchina. Arrivammo alla gara di Coppa UEFA col Boavista, in Portogallo, Guerini fece la formazione e schierò di nuovo Rincon in attacco e me in panchina. Fredy mi diceva che voleva fare il centrocampista e che non gli piaceva prender botte senza nemmeno toccare la palla. Arrivammo alla riunione tecnica e sentimmo Guerini: '...con Rincon e Carbone di punta'. Al che Freddy gli disse, davanti a tutti: 'Ma perchè devi mettere me in attacco quando hai Agostini?'. Guerini rispose: 'L'allenatore sono io e decido io'. Entrai in campo a gara in corso a venti minuti dalla fine. Successivamente Guerini fu esonerato e al ritorno, col Boavista, segnai due goal da titolare con Boskov in panchina. Da lì Rincon cominciò a fare la mezz'ala ed io e Carbone giocavamo in attacco. Fredy era un po' permaloso in allenamento, dovevi stare attento a fare battute altrimenti ti veniva proprio addosso. Però nei momenti in cui stava al gioco era di una simpatia esagerata. Poi aveva una risata contagiosissima”. 

Ma se ti dico Napoli-Lazio 3 a 2? “Eh, quella rimonta al San Paolo con goal di Buso e doppietta di Fredy. Ma ricordo pure quella con la Fiorentina quando vincevamo 2 a 1 e poi perdemmo 4 a 2. Oppure Napoli-Milan 1 a 0 con goal mio, era di giovedì”. 

Errore di Gianluca Sordo e goal di Agostini. “Sì, che bei ricordi. Mi dispiacque un po' per il secondo anno, io ebbi uno strappo sotto la pianta del piede e da quel momento feci fatica a riprendermi. Boskov voleva che giocassi a tutti i costi e ripresi con una protezione che però, dopo quaranta minuti di partita, cominciava a dare fastidio. Da lì iniziarono i contrasti tra me e i tifosi, vedevano che non rendevo più come prima e mi criticavano. Mi fischiavano perchè giocavo male, ma non volevo mai tirarmi indietro. La cosa prese una brutta piega ed io comunicai a Boskov che non avrei voluto più giocare sia perchè avevo dolore, ma anche perchè la gente mi criticava. Ci fu un momento del mio secondo anno a Napoli in cui i titolari erano Imbriani e Di Napoli. Giocai le ultime due di campionato perchè guarii. Così decidemmo tranquillamente da ambo le parti di non rinnovare l'opzione per il rinnovo proprio per il malumore che c'era coi tifosi. Però a Napoli penso di aver trascorso due anni eccezionali, ci sarei rimasto per altri due volentieri, ma il Cesena mi richiamò e mi offrì un triennale. Perciò ho deciso di tornare a chiudere la carriera a casa mia”.

Quindi tua figlia è napoletana? “No, ma ha fatto i primi due anni di elementari a Napoli. Ad un certo punto cominciò a parlare in dialetto napoletano (ride ndr.). Quando eravamo a Cesena le dissi 'ora sei qui, se parli in dialetto napoletano non ti capiscono' (scherza ndr.)”. 

Che ricordi di Boskov? “Per come si mise il primo anno...fu la nostra salvezza. Ci proteggeva sempre e poi ci diede una mentalità diversa e vincente. Se non fosse arrivato lui saremmo andati in Serie B. Era uno che non ti faceva lavorare molto in allenamento, ma quando andavi in campo ti dava le giuste indicazioni. Gli piaceva lavorare molto col pallone, anche gli esercizi fisici li facevamo col pallone”. 

Andrè Cruz invece? “Forte. Un mancino così l'ho visto solo a Branco. Era un giocatore forte fisicamente, in alcune situazioni era anche molto cattivo. Aveva un sinistro eccezionale, poi capiva bene le situazioni di gioco, faceva sempre interventi puliti. Fuori dal campo era uno molto chiuso, lo vedevamo poco”. 

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Che zona frequentavi? “Ero spesso tra Posillipo, Marechiaro e Mergellina. Il lunedì si andava a fare un giro in costiera amalfitana tra Positano e Praiano.  Mi vedevo molto con Bordin, Pari, Policano e Buso”. 

Tanti calciatori dicono che Roberto Fabian Ayala è stato tra i più duri difensori. Anche in allenamento lo era? “Era il suo modo di giocare, arrivò a Napoli che aveva ventidue anni. S'è affacciato in quegli anni in nazionale A, fece talmente bene a Napoli che l'allenatore della nazionale lo chiamò. Era deciso, arcigno, bravo nell'anticipo. Da fermo saltava quasi un metro e mezzo. Però non aveva paura di niente, mi sembrava di vedere Montero”. 

I difensori più forti che abbia mai incontrato? “Ho avuto la fortuna di giocare tra gli anni '80 ed i '90. C'era Brio della Juventus che faceva paura solo a vederlo, Di Somma e Cattaneo dell'Avellino erano 'uno che ti alzava e uno ti rinviava', come si suol dire. Poi Pasquale Bruno al Torino, m'ha marcato anche Collovati che era fortissimo. I due Baresi con cui ho anche giocato...”. 

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