Afolabi: "Zeman non mi parlava, il calcio non faceva più parte di me: ero un fantasma! Napoli la amo dopo vent'anni, Matuzalem ed io arrivammo alle mani. L'episodio col parcheggiatore..." [ESCLUSIVA]

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Afolabi: Zeman non mi parlava, il calcio non faceva più parte di me: ero un fantasma! Napoli la amo dopo vent'anni, Matuzalem ed io arrivammo alle mani. L'episodio col parcheggiatore... [ESCLUSIVA]

Serie A - Afolabi, ex calciatore del Napoli, rompe il silenzio e parla a CalcioNapoli24 dell'esperienza passata con Zeman

“Zeman si sbagliò su di me. Se riguardo la mia carriera, alla fine solo nel Napoli non ho mai giocato. La mia carriera ha dimostrato che giocatore fossi”

Napoli può rappresentare un passo falso nella carriera di un calciatore? Nelle condizioni peggiori, sì. Nell’estate del 2000 il club si riaffaccia in Serie A, rivoluziona totalmente la squadra e tra i tanti acquisti, dallo Standard Liegi, arriva Rabiu Afolabi che, per la prima volta in vent’anni, rompe il silenzio sulla sua avventura a Napoli. Dietro le zero presenze in gare ufficiali, come racconta a CalcioNapoli24, c’è molto di più.

“Prima di arrivare al Napoli giocavo allo Standard Liegi già da tre anni, il trasferimento fu opera del presidente Luciano D’Onofrio, che peraltro aveva origini italiane. Mi ero già messo in mostra negli anni precedenti, ne avevo 18 o 19 quando mi cercarono alcuni club della Bundesliga: mi voleva il Borussia Dortmund, il Bayer Leverkusen e pure lo Schalke 04. Mi stavo mettendo in mostra, ma D’Onofrio decise di tenermi qualche altro anno prima di cedermi definitivamente”

Il Napoli ti acquista, ma le cose non vanno per il meglio.

“Napoli è stata un’avventura difficile, ma devo fare una premessa: in Italia il calcio vent’anni fa non era lo stesso di ora. Non c’era molto spazio per i giovani, la situazione era monopolizzata da chi aveva più esperienza. Era il mio primo anno all’estero, non conoscevo nessuno e soprattutto non conoscevo la lingua. Se poi aggiungiamo il fatto che il Napoli era stato appena promosso, che le aspettative erano alte da parte di tutti... Su Zeman c’era molta pressione: aveva bisogno di risultati, e per quel motivo scelse di affidarsi a chi aveva più esperienza. Fu difficile quel periodo per me: volevo giocare, allo Standard Liegi ero un titolare fisso. Arrivare al Napoli e fare panchina, insomma, non era la miglior situazione”

Tante belle speranze all’arrivo: dicesti di seguire Maradona e Careca, di volerti affermare e rimanere a lungo. Buone intenzioni non suffragate dai fatti successivi.

“In Serie A era molto difficile imporsi per un giovane, non erano tanti quelli che giocavano regolarmente. L’eccezione poteva essere Zidane alla Juventus, ma lui era già un big. Era difficile convincere un allenatore a darti fiducia totale: non dimentichiamo che in quel Napoli c’erano tanti giocatori d’esperienza. Pensa solo al mio ruolo: c’era un bravissimo ragazzo come Francesco Baldini, senza dimenticare l’argentino Quiroga oppure Emanuele Troise, Caruso e Nilsen. E sulla fascia Saber. Tanti giocatori che poi hanno avuto una loro carriera dopo Napoli”

Ricordi il ritiro di Brusson? I giornali raccontarono che non ti immergevi nei torrenti perchè l’acqua era troppo fredda…

“Ricordo bene, anche se è passato davvero tanto tempo (ride, ndr). Quel ritiro fu davvero durissimo: ti dico la verità, mai fatto uno più duro in vita mia. Zeman era un allenatore dai metodi molto duri, a partire dai gradoni. Li fa ancora? (Ride). Ricordo la partita contro la Valle d’Aosta, ma in mente mi sono rimaste altre cose: eravamo in questa piccola cittadina in mezzo alle montagne, ma alla fine di quel periodo eravamo tutti in forma. Motivo? Il cibo: pastasciutta liscia, senza nemmeno la salsa di pomodoro per intenderci, poi pesce o carne fatti alla griglia. E da bere solo acqua: mamma mia come fu duro”

In ritiro si fa amicizia con i compagni di squadra.

“C’era talento, tanti compagni bravi: Bellucci, Amauri, Jankulovski per dirne alcuni. Ero amico bene o male di tutti, caratterialmente sono sempre stato molto sciolto. Non c’era un migliore amico, per intenderci, ma avevo un bel rapporto anche con chi aveva più anni di me: per dirtene tre, Baldini e Fresi oppure Moriero, anche lui era forte. Durante la stagione mi capitava di andare a cena con Vidigal, si formò un bel gruppo. A distanza di anni mi capitò di affrontare Amauri, giocavamo nella Juventus e nel Salisburgo: ci rivedemmo dopo tanto tempo, ci salutammo e ricordammo assieme l’avventura di Napoli”

E Matuzalem?

“Un grande amico, condividevo con lui la stanza d’albergo in occasione delle trasferte. Francelino era uno che durante gli allenamenti voleva sempre battersi al massimo: dribblava in continuazione, e per un difensore la cosa dopo un po’ finisce per dare fastidio. Alla fine entrai in scivolata, la prese male e finimmo per picchiarci. Ci divisero gli altri compagni, ma era un segnale semplice: eravamo giovani, vogliosi di fare bene e di metterci in mostra. Alla fine diventammo molto amici”

Pur non giocando, avesti modo di apprezzare la città

“Una città fantastica, la amo. Ne amo il cibo, e amo i napoletani perchè sono molto cool”

Andò tutto bene in quei mesi?

“Il primo mese, dopo il mio arrivo, mi sistemarono all’hotel Continental vista mare. Poi mi diedero un appartamento a Posillipo, anche lì che panorama”

Stranezze?

“Un paio. A Liegi uno degli sponsor era la Opel, ci forniva delle auto anche abbastanza grosse. Al Napoli c'era la Nissan: mi diedero una utilitaria, una Micra. Curioso no?”

Effettivamente sì, ma a Napoli è molto più comoda l’auto piccola, visto il traffico. C’è un altro aspetto a riguardo, suppongo.

“Non ricordo i nomi delle strade ma spesso e volentieri andavo in centro storico a mangiare in tanti ristoranti. Una volta però mi capitò di parcheggiare: mentre facevo manovra, alcune persone mi si avvicinarono e mi aiutarono ad accostare per bene la vettura. Prima di andare a cena, mi dissero che al ritorno avrebbero voluto dei soldi. Ecco, questo mi sembrò davvero strano: di norma non doveva esserci un parchimetro dove pagare la sosta?”

Afolabi

A distanza di vent’anni, Rabiu Afolabi non è mai tornato a Napoli (“Mi piacerebbe molto, chi se la scorda la pizza margherita?”). Però l’italiano lo mastica (“Mi basta un mese in Italia per capire al meglio la vostra lingua”), ed il ricordo della città è sempre vivo nella sua mente.

“Una città fantastica, bellissima. Il San Paolo come posso dimenticarlo? I tifosi del Napoli sono i migliori d’Italia, punto. Considera che, sebbene non abbia mai giocato, quando giravo per Napoli ed entravo nei negozi mi riconoscevano e, alla fine, non mi facevano pagare le cose che volevo acquistare (ride, ndr). I napoletani sono ricchi d’amore per la squadra, in fondo non mi sorprende che un altro africano come Koulibaly sia rimasto tutti questi anni in azzurro”

Koulibaly ed Afolabi, due esperienze totalmente agli antipodi. Con Zeman non andò benissimo.

“Non parlava molto, sicuramente fumava assai (ride, ndr). Era un tipo molto quieto e calmo, ma gli riusciva difficile relazionarmi con me: io parlavo inglese e francese, lui solo l’italiano. Escludendo gli allenamenti, faccia a faccia non abbiamo parlato. È stata una delle cause maggiori della mia frustrazione, soffrivo il fatto che non ci fosse nessuno che potesse supportarmi all’interno dello staff”

Neppure a Zeman andò bene, dopo sei partite venne esonerato.

“Volevo andare via ancora prima ancora che arrivasse Mondonico, mentalmente ero un fantasma. Quando arrivò, in quel momento il calcio non faceva più parte della mia mente. Non ero depresso, sia chiaro, ma mi mancava la possibilità di giocare le partite. Non ero uno di quelli che erano abituati a stare in panchina: in Belgio giocavo sempre, e quando giochi con continuità non è facile affrontare una situazione opposta”

La Gazzetta dello Sport riportò anni fa una sua dichiarazione passata (“Penso che un pensionato abbia più capacità atletiche di Afolabi”). Tra Zeman e te non scoppiò la scintilla.

“Purtroppo no. Prima di arrivare a Napoli già avevo diverse presenze nelle nazionali giovanili della Nigeria, avevo esperienza anche con la Nazionale maggiore ed avevo giocato per tre anni a buoni livello per lo Standard Liegi. Mi volevano tanti club, e mi ritrovai a Napoli. Mi sembrò tutto così strano: conoscevo il mio valore e lo avevo dimostrato, ma di fronte a me avevo un allenatore che non mi parlava e che non dimostrava alcun interesse nei miei confronti”

Le uniche partite in cui Afolabi scese in campo furono sei amichevoli estive (Inter, un gol segnato contro l’Evancon, Sarre, Valle d’Aosta, Borgosesia, Biellese). Poi solo panchine, sparse qua e là.

“Ero sempre pronto ad entrare in campo, mi capitò anche di andare in panchina a Torino contro la Juventus. Avevo l’ansia di giocare, non avevo pazienza. Ricordavo l’esperienza belga, perciò non mi capacitavo di ciò che stavo vivendo. Non potevo accettarlo, per questo andai via prima ancora che finisse la stagione”

Mettiamola così, allora: Napoli è stato un inciampo nella tua carriera, che poi ti ha visto vincere in Francia ed in Austria, con tanto di convocazione per il Mondiale del 2002. Ed un soprannome, Robocop.

“Quello me lo sono portato dietro per via dei miei movimenti: me lo diede un allenatore delle giovanili, i miei compagni di allora dicevano che giocassi troppo duro”

Un salto di vent’anni: cosa è stato e chi è adesso Rabiu Afolabi?

“Adesso sono in Belgio, chiuso in casa per il lockdown dovuto al Coronavirus. Abito a Bruxelles, ma lavoro con l’Anversa: aiuto la prima squadra dal punto di vista logistico, ma seguo un corso d’allenatore. Non ho il patentino, ma magari in futuro potrei collaborare con il settore giovanile. Sono tornato da poco in Europa, fino al marzo 2019 ero in India”

Durò pochissimo - ceduto durante la sessione invernale - e lasciò poche tracce. Il nome di Rabiu Afolabi forse ai tifosi dirà poco. Ma la maglia del Napoli, in fin dei conti, la vestì anche lui.

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