Cruz: "Sono stato vicino al Napoli, ma Moratti fermò tutto. Bologna? Lì ho conosciuto un mito. Vi rivelo come nasce El Jardinero e su Maradona e Pelè..." | ESCLUSIVA

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Cruz: Sono stato vicino al Napoli, ma Moratti fermò tutto. Bologna? Lì ho conosciuto un mito. Vi rivelo come nasce El Jardinero e su Maradona e Pelè... | ESCLUSIVA

Ultime calcio Napoli Inter Julio Ricardo Cruz su racconta ai microfoni di CalcioNapoli24

Quando si parla di Julio Ricardo Cruz, il suo soprannome, El Jardinero, è sempre stato un surplus della sua persona, una ciliegina su una torta dolce e gustosa per milioni di tifosi. Inter-Napoli, a San Siro, si avvicina e la redazione di CalcioNapoli24 ha raggiunto, in esclusiva, Julio Ricardo Cruz:

Cruz si racconta

Quando eri ragazzino, passavi ore allo stadio del Banfield, poi qualcuno ti chiamò a giocare dopo averti visto palleggiare. Ci racconti cosa accadde? E' da lì che nasce il tuo soprannome...

“Non sono stato un giardiniere del campo, questo lo voglio precisare, ma giocavo. Ho fatto gli allievi e ho sempre giocato perchè mi piaceva il calcio. A 17 anni ho iniziato con il Temperley e rimasi lì fino a quando non fallì la società. Al Banfield, in serie A, ho cominciato la mia storia calcistica. Mi hanno chiamato per fare allenamento con la prima squadra, io ero nel settore giovanile. Il giorno dopo mi hanno richiamato e così è cominciata la mia carriera professionistica. Dopo 5 giorni ho fatto l'esordio nella massima serie. Un giornalista che non mi conosceva, al primo gol che segnai, contro il Boca Juniors, la gara finì 2-1 e la mia fu la rete decisiva, alla Bombonera, mi chiamò El Jardinero del campo del Banfield, lo fece perchè diceva che io giocavo col tagliaerba dello stadio”.

Oscar López ti faceva giocare in ogni ruolo tranne che in attacco, perchè?

“E' stato un allenatore molto importante nella mia vita. Mi ha sempre detto che un giocatore doveva saper fare tutto in campo. Mi mise terzino destro la prima volta che mi fece giocare. Poi centrale difensivo. E' stata una cosa importante per la mia carriera, da centravanti non sapevo cosa significasse difendere. E' quella un'altra visione del campo, mi ha aiutato tanto e fatto imparare altrettanto. Un conto vedere il campo davanti e uno è vederlo da dietro”.

Al Feyenoord raggiungi la maturità calcistica: segni la “modica” cifra di 44 gol in sole 86 partite. Poi l'arrivo in Italia e al Bologna. Beppe Signori e Pagliuca quanto sono stati importanti per te in quella stagione?

“Arrivavo da un calcio diverso, quello olandese. Volevo imparare cose del calcio europeo che in Sudamerica non avevo mai visto. In Olanda sono stato 3 anni, a Bologna, invece, ho avuto qualche difficoltà iniziale. Era un calcio veloce, fisico, tattico e ho fatto fatica. Con l'aiuto di Signori sono riuscito ad ambientarmi presto. Ci abbiamo messo poco tempo a fare bene insieme: lui giocava alle mie spalle e io facevo da sponda. Mi ricordo che il secondo anno abbiamo lottato per andare in Champions League. Fino all'ultima giornata eravamo lì e l'abbiamo mancata per poco. C'era anche Pagliuca con noi: l'ho visto nel mondiale del '90 e non mi sembrava vero di giocare con lui”.

Primo gol italiano al Napoli di Zeman. Era un Napoli in difficoltà...

“Noi argentini, abbiamo goduto tanto con il Napoli di Maradona. Anche se da lontano. Ero bambino, la mattina presto mi alzavo per vedere il Napoli di Diego. Vedere le sue vittorie in azzurro, era una gioia per tutti gli argentini. Volevamo essere tutti come lui, ha portato il Napoli nella parte più alta del calcio italiano. Quando sono arrivato a Bologna, la prima partita al San Paolo per me è stata un'emozione incredibile: avevo una voglia matta di fare bene anche se il Napoli era in difficoltà. Segnai un gol di testa che mi regalò una gioia immensa. Vedevo lo stadio in tv e poi segnarci è la realizzazione di un sogno da bambino”.

Adriano, Vieri, Ibrahimovic, Crespo, ma i tifosi dell'Inter impazzivano per te. Come te lo spieghi?

“Una bella lotta con tutti questi attaccanti. Eravamo 7 centravanti per due posti ed era difficile avere spazio. Ho sempre detto che il lavoro ripaga e a me non è andata male. Quando avevo spazio nell'Inter, facevo sempre quello che dovevo fare, cioè gol. Ho vissuto tante gioie con i tifosi interisti. Arrivai in un momento difficile per l'Inter e l'anno dopo riuscimmo a vincere. Da lì ho vinto tanto con quella maglia”.

Julio Ricardo Cruz

Un giorno dicesti, 'non ho mai amato o odiato nessun allenatore. Per me il calcio era lavoro e io ho sempre cercato di viverlo in modo professionale'. Confermi queste parole?

“La verità è che sono stato sempre un professionista. Il calcio è un momento e la partita è un esame. L'allenatore è come un maestro che dice di fare un tipo di gioco che se va bene, ok ma se va male, pazienza. Ho fatto sempre così con tutti gli allenatori. La vita di un calciatore è corta e non hai tempo per pensare. Uno deve capire che c'è un inizio e una fine e sapere bene che la vita continua in maniera differente. Noi calciatori viviamo un po' meglio rispetto alle altre persone per la situazione economica migliore ma siamo tutti uguali davanti a Dio. Ho sempre voluto fare una vita normale nonostante il mio essere riconosciuto: dopo gli allenamenti o le gare, vivevo la mia famiglia nella quotidianità”.

Il ricordo di Maradona e Pelè

Per un argentino come te cosa vuol dire la scomparsa di Maradona?

“Un dispiacere grande. Per noi argentini era l'idolo, tutti volevamo giocare come lui ma, nonostante il professionismo che abbiamo raggiunto alcuni di noi, ripetere le sue gesta in campo era impossibile. Era diverso dagli altri, è stato il più grande al mondo”.

E quella di Pelè?

“Un grande dispiacere. Maradona e Pelè sono il calcio. Alla scomparsa di Diego ho sentito una frase di Pelè: “Fra poco ti raggiungerò per giocare in cielo”. Vuol dire che si volevano bene. Ha fatto cose per il Sudamerica intero che nessuno ha mai fatto. Sono stati diversi ma immensi”.

Cruz vicino al Napoli

Sei mai stato vicino al Napoli?

“Si, sono stato vicino al Napoli. Il mio procuratore, Jorge Horacio Cysterpiller, lo stesso di Diego Armando Maradona, mi ha detto tante volte di volermi portare al Napoli ma Moratti non mi ha mai voluto lasciare andare. Un Presidente al quale che non posso dire niente. E' stato più che un Presidente. Lui ha investito tempo e soldi per tanti anni, vincendo con una grande squadra”.

Spalletti però ti voleva alla Roma...

“Anche Luciano mi voleva e più volte. Un grande allenatore. Non mi voleva solo alla Roma ma anche allo Zenit. Però Moratti, come per il Napoli, non mi lasciava andare. In quegli anni abbiamo fatto la storia all'Inter. Luciano è uno che mi ha sempre stimato tanto. L'ho sempre ritenuto un allenatore che mi piaceva per come faceva giocare le sue squadre. La Roma aveva un bel gioco, come quello del Napoli oggi”.

Osimhen, da attaccante, che impressione ti ha fatto? E Kvaratskhelia?

“Un attaccante che mi piace tantissimo. Con Spalletti tutti gli attaccanti giocano bene e se uno capisce il suo gioco, si diverte. E' in grandissima forma. Sa bene come trasformare in gol le azioni azzurre. Un giocatore ormai esploso che farà benissimo nel Napoli. Anche se altre squadre potrebbero volerlo come Kvaratskhelia, può restare a lungo nel Napoli, una squadra che gioca bene sia in Italia che in Champions”.

Il 4 gennaio riparte il campionato, sarà Inter-Napoli. Napoli in testa Inter a 11 punti, per chi sarà fondamentale come gara?

“La verità è che è una partita importante e sentita per l'Inter. Sicuramente dopo la sosta sarà dura ripartire ma l'inter deve vincere per rimettersi in gioco per lo Scudetto. Deve vincere per questo motivo, anche perchè altrimenti rischia di andare a 14 punti dalla vetta e vedere chiuso il discorso scudetto. L'Inter sa benissimo che il Napoli è forte ed è in testa con merito con un gioco importante. Staranno attenti a non lasciare spazi ad Osimhen e compagni”.

L'Argentina ha vinto il Mondiale

L'Argentina campione del Mondo, il giusto finale per un grandissimo come Leo Messi

“Credo che la storia e il mondo volevano, come noi argentini, che Messi e l'Argentina vincessero questo mondiale. Ce lo aspettavamo tutti per quello che ha fatto. Era l'unica cosa che gli mancava dopo la finale persa in Brasile, nella quale soffrì molto. Era dispiaciuto, adesso può gioire coronando il suo quinto mondiale. Ha giocato grandi partite, è il suo mondiale. Va detto, però, che se anche lui è stato il migliore, si sono messi in mostra altri calciatori come Mac Allister, Fernandez, Alvarez e Molina. Messi ha fatto vincere il mondiale alla sua Argentina dopo 36 anni. Io ho giocato 11 anni con l'Argentina, anche in un mondiale e so cosa vuol dire per il nostro paese la Nazionale. Ora potremmo assistere all'ascesa di diversi giovani molto interessanti”.

Allevare cavalli e bestiame, in distese verdi. La tua tenuta in Argentina si chiama La Lorenita. Come mai hai deciso di cambiare totalmente vita?

“Non ho cambiato vita. Quando ho lasciato il calcio, per due anni ho fatto tutto quello che non avevo mai fatto prima, stando con la mia famiglia. Poi sono andato in campagna, qui in Argentina abbiamo tanti ettari a disposizione. Mi piace starci ogni tanto, ma oggi abito a Buenos Aires, in centro. Faccio anche altro, però mi piace la campagna. Seguo calciatori, aver vissuto il calcio a grandi livelli mi consente di dare una mano a ragazzi che stanno crescendo, come mio figlio. La vita mi ha portato anche 5 anni in politica dal 2011 al 2015, una cosa che mi piace ma è un mondo totalmente diverso da quello del calcio. Faccio tante cose, nella vita bisogna imparare tutto, saper giocare a tutto campo...”.

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