VIDEO - Cannavaro contro la Rai: "Danneggiato da un falso scoop, non era doping"

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VIDEO - Cannavaro contro la Rai: Danneggiato da un falso scoop, non era doping

La sera prima della finale di coppa Uefa, la vigilia in un albergo di Mosca, un video amatoriale in cui scherza con i compagni di squadra, era il Parma del 1999. Poi, qualche tempo dopo, la diffusione di quel video e una serie di contraccolpi: un fascicolo aperto dalla Procura federale, poi l’archiviazione, ma anche l’associazione del suo nome al doping. Una storia raccontata ieri pomeriggio dall’ex campione del mondo Fabio Cannavaro, ascoltato ieri in aula nel corso di un processo che vede imputati due giornalisti Rai - Giovanni Masotti e Massimiliano Parisi - gli autori dello scoop sulla notte prima della finale di coppa, quella del Grand hotel Marriott a Mosca, 11 maggio 1999, prima della finale di coppa Uefa vinta dal Parma per 3-0 contro il Marsiglia. Tredici anni dopo, il caso torna attuale. Aula 220, parla Fabio Cannavaro. È parte lesa in un processo per diffamazione e violazione della privacy, sostiene di essere stato danneggiato dalla pubblicazione di quel servizio. Che storia è questa? Cosa ha spinto Cannavaro a sporgere querela e a presentarsi in un’aula di tribunale? Dinanzi al giudice monocratico Sassone, lo spiega l’ex campione del mondo: «Eravamo in ritiro, in un albergo di Mosca, era la notte prima della finale Uefa, era un video amatoriale nel quale comparivo anch’io, oltre ad alcuni miei compagni di squadra». È così che Cannavaro si mette a recitare la parte del finto «tossico» napoletano, nella scena in cui gli viene applicata una flebo mentre è disteso su un lettino. Non erano sostanze dopanti - come venne dimostrato dinanzi agli organi disciplinari - eppure, a sentire il racconto reso ieri da Cannavaro, quel servizio televisivo lo avrebbe danneggiato anche negli anni successivi. Difeso dal penalista napoletano Roberto Guida, Cannavaro ha ricostruito la sua versione: «Ancora oggi c’è un giornalista di Roma che insiste a definirmi dopato o ad associarmi a storie di doping. Quel video mi ha creato problemi anche nei rapporti con gli sponsor». Difesi dal penalista Carmine Ippolito, i due giornalisti Rai sostengono invece di aver agito in modo corretto, dal momento che nel servizio non era stato mai associato il nome di Fabio Cannavaro al doping o all’uso di sostanze vietate.

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