“La Georgia di Kvara”, è il libro di Giorgi Kekelidze, che racconta origini e ascesa del giocatore, e che verrà presentato venerdì 15 dicembre alle 18 all’università Federico II di Napoli, in corso Umberto.
L'edizione oggi in edicola de Il Mattino ne pubblica un estratto, ecco alcuni passaggi salienti per introdurvi alla lettura del libro:
«Uno a zero! Henry, Giggs, Ronaldo, Guti!» si è sentito l’urlo dell’amico di Khvicha che quasi sembrava quello di Daniele Bellini. Lo stadio altro non era che una piccola fascia di terra scolorita all’interno delle ex piantagioni di tè. Ebbene in questo stadio, il piccolo Khvicha, ha segnato un gol ed è corso in difesa. La difficoltà era aggravata dal fatto che in attacco, così come a centrocampo, non era rimasto nessuno. A dire la verità, la porta stessa era vuota, perché Khvicha giocava uno contro uno col suo amico, che rappresentava la squadra del Brasile. Khvicha invece il Tsalenjikha. A quell’epoca, anche per carenza di giocatori, si giocava a “ stopiat”, in cui Khvicha era il migliore con i suoi tiri fortissimi.
Khvicha è nato e cresciuto a Tbilisi, in un accogliente e tranquillo quartiere, “Digmis Masivi”, noto anche come quartiere calcistico, con tanti stadi e ragazzi che giocano in ogni cortile. Adorava la palla sin da bambino. Appena entrava in un negozio dove vendevano palloni, puntava subito il dito e diceva “ buti, buti!” anziché “ burti” che vuol dire pallone.
“Kusha”, così come lo chiamavano nell’infanzia, correva dietro ad una palla già a tre anni. Correva e rompeva tutto. Tutto poteva diventare un bersaglio: il vaso, la lampada o i piatti. Raramente chiedeva un altro giocattolo. Per gli altri era facilissimo scegliere il regalo per lui. Nel giorno del suo compleanno regalavano un pallone, una maglietta o un paio di scarpe da calcio. Khvicha ed il pallone erano come due gemelli. Anche di notte dormivano insieme ed è probabile che Khvicha sognasse la palla e viceversa. Se, ospiti di qualcuno, aveva lasciato a casa il suo gemello, nel corridoio di casa si muoveva come se stesse andando verso la porta avversaria, facendosi strada tra i difensori. Anche oggi ha questa abitudine; spesso immerso nei sui pensieri, si muove come se stesse giocando a calcio.
Diventato più grande, si spostò in cortile che diventò quindi lo stadio. Radunava i ragazzi del vicinato e fino a sera giocavano a pallone. O meglio, lui correva con il pallone e tutti gli altri dietro di lui. Spesso giocava uno contro cinque. Ricordate il gol all’Atalanta? Era già previsto dagli dèi del calcio. Leggendo le storie degli antichi georgiani quando vincevano le battaglie uno contro dieci, pensavo che fosse esagerato, ma dopo aver visto la scena con l’Atalanta, mi sono ricreduto e un po’ vergognato dei miei dubbi. Quando Khvicha radunava i ragazzi nel suo cortile e giocava da solo contro tutti, Maradona era già un dio ed il suo sguardo arrivava fino alla periferia di Tbilisi. Ha visto il ragazzo ed ha tracciato il suo destino. Sembra un miracolo? Ma vi stupite ancora dei miracoli dopo quel gol?
[...] Khvicha ha iniziato a giocare proprio in questi villaggi. Adesso quando c’è una partita e Khvicha gioca, a Nakifu e dintorni sembra sia festa. Gli abitanti si preparano per l’evento; gli uomini si radono la barba, le donne incominciano a preparare il piatto preferito, il “ gomi”, gli anziani si puliscono gli occhiali per vedere meglio la partita e i ragazzi indossano le magliette del Napoli.