Ultime notizie coronavirus. Oggi Il Mattino di Napoli pubblica un'intervista a Nicola Maturo, primario del pronto soccorso del Cotugno, che lancia un appello alla vaccinazione: «Vedo morire anche i giovani: l'unica via di uscita, da quest'incubo che dura da un anno, è vaccinarsi. Qui tratteniamo solo i casi più gravi, gli altri li dimettiamo o trasferiamo in altri ospedali. Le cure? sono sempre le stesse ma non tutte hanno effetto».
Oggi la maggioranza dei circa 300 ricoverati del Cotugno ha dai 40 ai 60 anni: «Dopo una settimana di febbre, dopo essere stati seguiti a casa, sviluppano gravi polmoniti che nell'arco di 24 o 48 ore precipitano e finiscono in rianimazione. Situazioni estreme che non sempre riusciamo a tirare fuori».
Quanti pazienti ricoverate ogni giorno? «Una decina, a volte 15 al netto dei trasferimenti in altri ospedali. Arrivano ogni giorno. Il flusso è continuo. Una quota li rimandiamo a casa se non hanno segni di polmonite».
Quali le differenze tra prima, seconda e terza ondata? «Sono soprattutto nella durata e ora anche nella virulenza: la malattia è diventata più intensa e veloce. A marzo e aprile di un anno fa eravamo tutti chiusi in casa da giorni e c'è stato comunque un impatto per una malattia sconosciuta e molto impegnativa. In due mesi la pressione sull'ospedale è stata molto forte, tutti i reparti a un certo punto si sono riempiti. La durata però è stata breve e da maggio in poi abbiamo iniziato a respirare pensando, erroneamente, che fosse finita».
E le differenze cliniche? «Quelle sono riferite soprattutto all'età media degli ammalati che è scesa parecchio. La malattia ha in parte esaurito il serbatoio degli anziani tra chi lo ha già preso, è deceduto o si protegge molto. E quindi il virus trova terreno fertile in età più giovanili a maggiore intensità sociale. Arrivano qui in situazioni non facili spesso affetti dalla variante inglese a più elevata capacità di contagio e più aggressiva nel decorso clinico».
Nel senso che è più contagiosa e anche più letale? «Intanto producendo più casi determina anche più decessi. E poi in base a due studi pubblicati sul British Medical Journal e su Nature quella inglese è non solo più infettiva ma anche più letale con una mortalità maggiore di circa il 60 per cento rispetto alle altre».