Serie A - Keita Baldé Diao, attaccante del Monaco, ex di Lazio e Inter, ha procurato e pagato per un mese alloggio, vitto e vestiario per 150 lavoratori stagionali senegalesi a Llerida in Catalogna, la regione dovâè nato e cresciuto. Almeno una dozzina di hotel e strutture della cittadina si erano rifiutati di ospitare i braccianti agricoli prima dellâintervento del calciatore e solo di recente il comune catalano si è fatto carico della situazione.
Come è nata lâiniziativa?
«Ho visto il video del portavoce dei lavoratori: mi sono commosso per la vicenda, lâho contattato e abbiamo iniziato pensare a come risolvere il problema».
Allâinizio si era mosso in forma anonima?
«Sì, ma câerano questioni burocratiche che stavano complicando le cose e sono dovuto uscire alla luce. à andata bene così: se non mi fossi esposto credo che i lavoratori avrebbero continuato a dormire in strada».
Si è confrontato con una realtà nuova?
«No, la conosco bene, perché vengo da genitori africani che hanno dato tutto per arrivare in Europa e dare un futuro migliore ai loro figli: per questo quando vedo situazioni del genere provo sempre ad aiutare. Lâho fatto con tutto il cuore, perché mi ritengo un ragazzo di cuore: non era una cosa pensata per finire su Instagram, ma per risolvere un problema. Così è stato».
Ha visitato la «porta» degli schiavi, sullâisola di Gorée in Senegal, dove venivano scelti i lavoratori da condurre in America?
«Sì e ogni volta che vado mi viene la pelle dâoca, per tutto ciò che significa quel luogo. Lì ti spiegano bene cosa accadeva in quegli anni, una realtà durissima: la storia è sempre meglio conoscerla».
Da Rashford a Hamilton, da Kaepernick a Thuram junior: cresce il movimento degli atleti che si espongono con gesti concreti e simbolici. Ma nel calcio si fa abbastanza per contrastare il razzismo?
«Gli episodi si ripetono puntualmente purtroppo. E io darei tutti i soldi che ho guadagnato in questi anni, se servissero a far sparire il razzismo. Ma dipende dallâeducazione e dai valori delle persone. Non è semplice».
Lâesultanza in ginocchio non lâhanno utilizzata molti giocatori bianchi: che ne pensa?
«Deve essere un gesto spontaneo e non sempre nella foga del momento uno ci pensa. Ma se accade, ben venga».
Negli stadi italiani câè più razzismo che altrove?
«In Italia il problema si ripresenta spesso e bisogna fare in modo che accada meno. A volte sono pochi scemi a comportarsi male. Però câè gente cattiva, che cerca di attirare lâattenzione e non va sottovaluta».
Alcuni suoi colleghi dallâestero dicono «non andate a giocare in serie A» a causa del razzismo. Che ne pensa?
«Chi non vive in Italia e non conosce tutte le belle persone che ci sono da voi, può essere spaventato quando succedono certi episodi. Io mi sono trovato benissimo e non giudico un Paese per cento che sbagliano: però â tutti insieme â dobbiamo cercare di abbassare quel numero».
Lei e Mané del Liverpool come siete visti in Senegal?
«Siamo dei modelli, molto amati. Abbiamo gli stessi progetti, nei nostri villaggi dâorigine: aiutiamo a costruire scuole, moschee, ospedali, strade. Il presidente ci ha convocato, è un onore. E il nostro sogno è che escano altri dieci Mané e dieci Keita».
Cosa le rimane della Masia, il mitico settore giovanile del Barcellona dove è cresciuto?
«Disciplina, rispetto e valori: sicuramente non è un caso che da lì escano sempre buoni giocatori».
Lei è arrivato giovanissimo in Italia, cosa è rimasto nel suo bagaglio dellâesperienza in serie A?
«Con la Lazio sono cresciuto, ho imparato tanto e sono diventato grande. Con lâInter è stata unâesperienza breve ma molto intensa. Calcisticamente, mi è rimasta la componente tattica italiana, soprattutto nel posizionamento senza palla».
Come vive lâanomalia del calcio francese che si è fermato definitivamente il 30 aprile a causa della pandemia?
«Volevamo finire il campionato e i club ci hanno provato. Almeno siamo felici di aver ripreso gli allenamenti per la prossima stagione».
Che sogni ha per il futuro?
«Per adesso sto bene qua a Monaco, ho altri due anni di contratto. Cerco di migliorarmi tutti i giorni. E non solo dentro a un campo di calcio».