Taglialatela racconta: "Quando Maradona insultò Moggi e mi fece triplicare lo stipendio..."

Le Interviste  
Taglialatela racconta: Quando Maradona insultò Moggi e mi fece triplicare lo stipendio...

Lunga intervista di Pino Taglialatela a La Repubblica oggi in edicola

Pino Taglialatela, ex portiere del Napoli, ha rilasciato un'intervista a La Repubblica oggi in edicola ripercorrendo anche il suo percorso in azzurro. Ecco alcuni passaggi

Qual è il ricordo più bello.

«L’anno del primo scudetto. Mi allenavo con la prima squadra, feci il ritiro con Maradona e Careca. Mi bastava aiutare il magazziniere: quando andavano via tutti, mi capitava anche di parare qualche punizione di Diego».

E ci è riuscito eccome.

«Essere la bandiera del Napoli è stato entusiasmante. Mio padre era di Giugliano: venne a Ischia negli anni ’50, faceva il pittore. Conobbe mia madre e decise di restare qui. Da sempre tifosissimo del Napoli. E la prima volta che uscii dagli spogliatoi del San Paolo mi accorsi che avevo coronato due sogni: il mio e il suo».

Di lì a poco sarebbe diventato Batman.

«A Milano, era il 1995, parai tutto contro il Milan degli invincibili di Capello. Posticipo serale, c’era Telepiù. Noi, con Boskov in panchina, una squadra senza fronzoli, obiettivo salvezza. Parai un rigore a Baggio e feci un miracolo su Savicevic. In radiocronaca Auriemma mi paragonò al supereroe: nacque un mito, l’anno dopo con la Lotto spuntò l’idea di disegnare una maglia ad hoc. Ora i collezionisti la cercano a peso d’oro».

A Napoli non hanno smesso di amarla.

«Vero, oggi quando passeggio per la città – ho casa al Vomero - torno indietro di trent’anni. Mi offrono il caffè, mi dimostrano affetto incondizionato».

Le è riuscito essere profeta in patria.

«Questione di cuore, più che di talento. E mi aiutava avere un rifugio come l’isola a 40 minuti di mare. Ecco, sono stato un calciatore atipico: alle Maldive ho sempre preferito la mia barchetta e Ischia. Un anno, addirittura, ho attraversato il golfo tutti i giorni per andare ad allenarmi. Da solo, in barca. Al ritorno, ogni tanto mi portavo qualche compagno di squadra. Clima disteso, forse aiutava il fatto che non c’erano i social».

Come vivrebbe Maradona nel calcio di oggi?

«Forse sarebbe più tutelato, chissà. Diego è stato un campione non semplice da gestire. Poteva anche sbagliare nella vita privata, ma in campo non lesinava mai uno sforzo. Mai. A Napoli lo abbiamo visto solo al 50 per cento delle sue potenzialità. Ed è sempre stato un grande altruista. Gli devo un congruo adeguamento di contratto, sapete?».

Sarebbe a dire?

«Vigilia di Napoli-Parma, nel ritiro di Soccavo. Con Diego c’eravamo io, Crippa, De Napoli, Ferrara e Galli. Addentando il suo trancio di pizza con cipolla e tonno dello chef Maresca, mi chiese quanto guadagnassi. Gli dissi: 60 milioni all’anno. Iniziò a inalberarsi urlando “Luciano!”. Arrivò Moggi e lui gliene disse quattro. Io mi nascosi, temendo il peggio. Non dormii, l’indomani vincemmo 4-2. Il martedì Carmando mi annunciò che Moggi voleva parlarmi. Rimasi sotto la doccia due ore, rinviando un momento che temevo risolutivo. Mi disse: siediti e firma. Mi triplicò lo stipendio, rinnovando il contratto per 5 anni. Non vedo Diego dal 2017: quando prese la cittadinanza onoraria, lo portai a Ischia per una sera. Non lo seppe nessuno».
 

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