Ultimissime calcio - Roberto Donadoni, allenatore attualmente allo Shenzhen FC ed ex Napoli, ha parlato all'edizione odierna di Repubblica. Nella giornata di sabato sui campi del centro d'allenamenti Guangzhou Evergrande Base, centro della squadra campione di Cina allenata da Fabio Cannavaro, si è giocata più di una amichevole come messaggio di speranza per il calcio mondiale 'ostaggio' del Coronavirus.
Queste le dichiarazioni di Donadoni a Repubblica:
Donadoni, un po’ di Italia sta lanciando il segnale dalla Cina: si può ricominciare.
«Un sabato molto bello, ben più di una rimpatriata. Non sappiamo ancora la data esatta in cui ripartirà la Super League, speriamo a giugno. Ma ormai ci alleniamo con continuità da un mese e mezzo. E certamente quest’amichevole è stata la più importante. La settimana prossima l’Evergrande ci restituirà la visita: tra Guangzhou e Shenzhen c’è un’ora e quaranta di auto».
Le competizioni cinesi sono ferme da dicembre: non è aspettare Godot?
«No, i ragazzi sono pronti, la preparazione è adeguata. Semmai può incidere l’aspetto mentale: un’amichevole non è campionato».
La Serie A ha ancora meno certezze: consigli?
«È difficile darne: è una situazione inedita. Penso che l’essenziale sia adeguarsi alle circostanze, fare in modo che non si accumuli troppa pressione sui giocatori. Ce n’è già abbastanza».
La Fifpro, il sindacato mondiale, parla di rischio ansia, stress e depressione.
«Tutto dipende dalla maturità di ciascuno. C’è differenza tra individuo e individuo. Bisogna essere coscienti del fatto che ci si sta comunque preparando per ritornare alla propria passione. Giocare a calcio è innanzitutto un piacere. Non enfatizzerei troppo il tema stress: con quello che sta succedendo nel mondo, mi sembra un fattore marginale».
La ripartenza cinese è il modello da seguire?
«A Shenzhen, a parte misurazione della temperatura, mascherine e tamponi, tutto sta tornando normale. La Cina ha dovuto affrontare per prima la pandemia ed è riuscita a venirne fuori: inevitabile che se ne tragga insegnamento».
Le partite a porte chiuse?
«Un’incognita, ma più o meno a tutti noi è capitato di giocare in stadi vuoti, magari per qualche squalifica. Ci sono più contro che pro, si deve fare di necessità virtù e chi ci riesce si avvantaggia».
Che cosa vi siete detti, lei e Cannavaro?
«Con Fabio ci siamo scambiati chiacchere tra italiani lontani da casa, poi abbiamo parlato di calcio. La partita è finita 4-4: mica male per noi, vista la loro forza. In questi giorni, a proposito di Italia, ho vissuto anche un’altra emozione».
Il sessantesimo compleanno di Baresi.
«Ho mandato a Franco un messaggio video. Il numero 6 lo identifica come giocatore unico per il calcio mondiale e il suo insegnamento più grande è la capacità di privilegiare i fatti, rispetto alle parole. Oggi, più che mai, c’è bisogno di questo».
Il calcio che riparte sarebbe un fatto contro le parole?
«Lo sport, non solo il calcio. La priorità deve essere la salute, devono esserci tutte le condizioni. Se però ci saranno, sarà un segnale importante per tutti. Lo sport è praticato da tantissimi giovani, è parte essenziale della vita di ognuno di noi. La parola normalità, oggi, va messa tra virgolette. Ma il ritorno allo sport sarebbe un messaggio fondamentale».