Il Venezia, sulla carta, è l’arca di Noè della Serie A. Pardon, melting pot come più si addice alla proprietà americana in laguna.
Per ogni nazionalità, c’è un calciatore: un argentino, un finlandese, un gallese, due austriaci, un surinamese, due nigeriani, un israeliano, due americani, un marocchino, due francesi, due islandesi, un portoghese, un norvegese, un camerunese. E gli italiani, ovviamente. In qualunque punto del mappamondo in cui si poggia il dito, c’è una bandierina del Venezia. Meglio se la maglia, splendida e tra le più iconiche del campionato di Serie A.
La squadra di Paolo Zanetti, tuttavia, non è soltanto un’accozzaglia di bandierine, anzi: strano a dirsi, ma nella squadra a +1 sulla zona retrocessione c’è qualità nei piedi (Aramu, gli ultimi arrivati ex Manchester United Luis Nani ed ex Bayern Monaco Michael Cuisance), ma anche una certa dose di freschezza - la proprietà americana ha pescato nella MLS il 19enne italo-americano Gianluca Busio ed il 20enne Tanner Tessmann -, e di esperienza europea (Ampadu dal Chelsea, Okereke dal Bruges, Ebuehi dal Benfica, Haps dal Feyenoord e l’ultimo acquisto Nsame dallo Young Boys). Tanti elementi che vanno mescolati insieme nel modo giusto all’ombra del campanile di piazza San Marco, tra le mani di quello Zanetti che, lo scorso anno, si è imposto con Dionisi tra gli allenatori più interessanti della Serie B.
Davanti a questo agglomerato che parla più lingue, il Napoli deve pensare a fare risultato senza snobbare una squadra che, al Penzo - dove le squadre arrivano a bordo dei tipici battelli -, è riuscita a conquistare punti con Torino, Fiorentina, Roma e Juventus. Non le ultime quattro arrivate, insomma. Volendosi affidare alle statistiche, l’ultima vittoria in trasferta del Napoli a Venezia (11 trasferte totali) risale ad uno 0-1 del 1947 firmato da Ferruccio Santamaria. Ed il Venezia non vince da nove partite di campionato: fare doppia cifra è un obiettivo ampiamente alla portata di un ex lagunare come Spalletti.