Liverpool doveva essere una leva, una molla per far uscire il Napoli dalla crisi, ma non poteva essere l'unica prova, anche se prestigiosa, a tirare fuori gli azzurri dal tunnel. La squadra doveva confermarsi contro il Bologna e non ci è riuscita, lasciando addirittura l'intera posta in palio. Il Napoli ha mostrato sin da subito la scarsa determinazione, l'assenza dello spirito giusto per approcciare ad una gara da vincere per svoltare. Una svolta che la squadra non ha voluto. Soltanto nella ripresa, infatti, i partenopei hanno alzato il ritmo, ma il pareggio dei felsinei ha spinto Ancelotti ad osare un 4-2-3-1 senza filtro a centrocampo che ha condannato la squadra ad una sconfitta cocente ed ingiustificabile. Lasciare soltanto Fabian e Zielinski davanti alla difesa è la conferma dei momenti di confusione tattica vissuti da Ancelotti, uniti alla paura di non fare risultato dopo il pari degli ospiti. Del resto, il tecnico aveva soltanto illuso a Liverpool schierando i calciatori nei propri ruoli ad eccezione di Di Lorenzo che, in realtà , non doveva interpretare il ruolo di ala ad Anfield. Contro il Bologna, il mister ha lanciato il 4-3-3 che in troppi si aspettavano già a Milano, ma ha scelto stramamente di rinunciare alla spinta su entrambe le corsie basse. Maksimovic a destra e Di Lorenzo a sinistra non potevano proporsi con efficacia perché il primo è un difensore puro, e il secondo ha già mostrato di non rendere al meglio sulla corsia opposta a quella del suo piede naturale. A questo va aggiunta l'insistenza a schierare Fabian sul lato destro. Lo spagnolo gioca soltanto con il sinistro, ha dimostrato lo scorso anno di incidere giocando sulla corsia mancina, ma Ancelotti non lo schiera ormai più nella sua posizione naturale, nonostante sia calato il suo rendimento rispetto alla scorsa stagione.
In realtà , il Napoli ammirato in coppa è un'altra squadra rispetto a quella del campionato, soprattutto dal punto di vista mentale. La Champions è una vetrina importante e i calciatori continuano a dimostrare di rendere al massimo soltanto dove la luce dei riflettori si allarga ben oltre i confini locali.
Tuttavia, il responsabile dell'atteggiamento mentale di una squadra è l'allenatore. Il mister è innanzitutto un motivatore, prima ancora di essere un tecnico, e deve tenere in pugno il gruppo perché ne è la guida, mentale e poi tattica. Ancelotti, affermando che la squadra ha delle responsabilità sul rendimento in campionato, non fa altro che dichiarare implicitamente le sue difficoltà e guidare mentalmente il gruppo verso la direzione che lui deve indicare perché è insito nel suo lavoro. L'allenatore deve avere il polso della situazione e Ancelotti, con le sue parole, ha praticamente dichiarato la sua difficoltà in tal senso. Del resto, non molto tempo fa il tecnico di Reggiolo ha gravemente riferito alla stampa di non essere uno psicologo in riferimento ad una domanda sull'atteggiamento mentale del gruppo. Queste parole, gravi per uno che di mestiere guida un gruppo di oltre venti persone verso un obiettivo comune, sono confermate dai fatti. La squadra ha un rendimento migliore in coppa, dove le motivazioni sono naturali perché è la vetrina più importante per i calciatori. La squadra sembra in autogestione, decide da sola quando giocare al massimo e l'allenatore non può che essere il primo responsabile di questa anarchia tecnica. Ancelotti, tra l'altro, si è definito aziendalista lo scorso anno a Dimaro, e un professionista che si definisce in tal modo, nel momento in cui si accorge di avere delle responsabilità sul rendimento non positivo del suo lavoro, dovrebbe dimettersi. In caso diverso, Ancelotti si comporterebbe da aziendalista soltanto in riferimento al mercato, per scaricare sulla società le conseguenze dei risultati lontani dalle dichiarazioni rilasciate dallo stesso tecnico... Vedremo...