Il Napoli di Antonio Conte gira la palla per 59 secondi e con 23 tocchi di fila per mettere Kvaratskhelia in porta e siglare il gol del 2-0 che 'ammazza' praticamente la partita con il Cagliari. Un qualcosa che si rivede dopo il Napoli di Spalletti, ma cosa hanno in comune? Arriva l'analisi de Il Mattino:
Opposti che si attraggono. Impossibile pensare diversamente quando si guarda il Napoli di oggi e quello dello scudetto. Bello e concreto quello targato Luciano Spalletti, cinico e spietato quello di Antonio Conte. Eppure nella diversità si intravedono delle affinità. E no, non si tratta solo del dna e della mentalità vincente.
Luciano e Antonio hanno un punto di contatto che non si potrà mai mettere in discussione: «il leader sono io». Spalletti era a capo della spedizione, Conte sta facendo lo stesso con il suo Napoli. Non ci sono dubbi, non servono numeri 10, né bomber: in casa Napoli comandano loro. Un vero dogma nello spogliatoio dopo che lo scorso anno per tre volte l'allenatore non era riuscito a tenere saldo il timone della nave. E invece Luciano e Antonio hanno capito in fretta che questa squadra ha bisogno di un punto di riferimento. Meglio ancora se questo è presente fuori dal campo. Allenatori e condottieri, eccoli lì Spalletti e Conte, così diversi (per comunicazione e idee tattiche), ma così simili nella gestione del gruppo. Antonio ha subito fatto da scudo per i suoi ragazzi, proprio come faceva Luciano, creando un muro impenetrabile per chiunque avesse voluto provare a sgretolare la certezze della squadra.
Da un punto di vista del gioco e dell'approccio alle partite, poi, la principale qualità del Napoli di Spalletti era quella di sbranare gli avversari. Li andava a cacciare fin fuori i confini della tana dell'area di rigore, mettendo una pressione altissima che per forza di cose metteva in difficoltà la ripartenza. E Antonio Conte chiede principi di gioco non del tutto differenti, anzi. Cambia il modulo (dal 4-3-3 al 3-4-2-1) ma non cambia quella mentalità. Il primo punto di contatto evidente con il Napoli di Spalletti, una squadra che lottava su ogni pallone e fino all'ultimo respiro di ogni singola partita, senza mai darsi per vinta con la voglia matta di sbarazzarsi dell'avversario senza mai dare spazio per una possibile rimonta.
E poi c'è il gruppo, che finalmente è tornato a essere uno e solo. Antonio Conte ha rimesso il gruppo al centro di tutto e attorno ha costruito la squadra. Prima gli uomini e poi i giocatori. Il messaggio è chiarissimo e non serve troppa fantasia per trovare tracce di famiglia nello spogliatoio azzurro. Ogni gol diventa l'occasione giusta per abbracciarsi, tutti insieme, ritrovarsi in un unico magma azzurro nei pressi della panchina. Sorride chi gioca e segna, applaude chi è in panchina e supporta a voce. Tutti per uno, uno per tutti. Il messaggio del comandante Conte è chiaro e non ammette repliche. Si lavora tutti insieme e tutti insieme si può vincere.
Fin dal primo istante l'allenatore ha fatto capire che si deve lavorare, lavorare, lavorare. E infatti è questo il mantra di Antonio, così come lo era di Luciano, che addirittura decise di trasferirsi a vivere a Castel Volturno per non perdersi nemmeno un secondo da dedicare alla squadra.
Osimhen è il passato, Lukaku è il presente. Due presenze ingombranti sia dentro che fuori dal campo. Per caratteristiche fisiche e modo di interpretare il ruolo di centravanti rappresentano il punto fermo del gioco del Napoli di Spalletti e del Napoli di Conte. Entrambe le squadre poggiano tutto sull'attaccante centrale.
Luciano Spalletti ha saputo blindare la difesa con l'arrivo di Kim e l'organizzazione di gioco complessiva, Antonio Conte ha aggiunto Buongiorno al pacchetto arretrato trovato in eredità dal passato, ha cambiato modulo - passando da 2 a 3 centrali - e ha spostato Di Lorenzo rendendolo braccetto alla destra di Rrahmani.