Coronavirus, beffa mascherine: chi le produce in Italia non ha il via libera per distribuirle

Rassegna Stampa  
Coronavirus, beffa mascherine: chi le produce in Italia non ha il via libera per distribuirle

News coronavirus, spunta un problema relativo alle mascherine prodotte

Ultimissime - La data è del 1 aprile, il mittente è il presidente dell’Ordine dei medici, i destinatari sono i presidenti degli Ordini dei medici nei capoluoghi di Regione, e il testo è questo: «Vi comunico che il Commissario straordinario per l’emergenza Covid-19, Domenico Arcuri, mi ha appena informato che le mascherine che riportavano la dizione ffp2 equivalenti, inviate dalla Protezione civile in data odierna agli Ordini dei medici capoluoghi di Regione, non sono dispositivi autorizzati per l’uso sanitario dalla Protezione civile. Vi chiedo quindi di sospendere immediatamente la distribuzione e l’utilizzo di quanto ricevuto, informando nel contempo eventuali medici o strutture che ne fossero già in possesso». In pratica era robaccia cinese.

Secondo quanto riporta il Corriere della Sera:

"Sappiamo che ogni giorno vengono sdoganate 20 milioni di mascherine in arrivo da Cina, India, Sri Lanka, che il decreto del 17 marzo autorizza l’importazione in deroga alle norme vigenti, quindi può entrare materiale senza certificazione Ce, e che l’Agenzia delle dogane può bloccarlo quando non è chiaro il destinatario, ma non può più fare le analisi di conformità. È richiesta solo l’autocertificazione del produttore, e se poi quella partita non è «sicura», valla a ripescare. Qualche importatore ha chiesto una valutazione del prodotto finito acquistato in Cina al Politecnico di Milano. L’esito: la maggior parte è porcheria. A testarle ci pensa la Centrale acquisti lombarda (Aria spa). Al Politecnico si sono presentati in 1.700, sottoposti ai test 600 prototipi: solo 10 avevano requisiti di sicurezza, il resto era cotone senza nessuna capacità filtrante. Molti hanno abbandonato. Ma intanto quelle aziende che hanno fatto investimenti, ottenuto la certificazione dei test, inviato l’autocertificazione all’Istituto superiore di sanità, sono ancora in attesa di conoscere se il protocollo seguito è corretto o meno. Alcune hanno buttato il cuore oltre l’ostacolo e cominciato a produrre, a loro rischio e pericolo. Dalla Sapi di Reggio Emilia, ad altre 7 aziende accompagnate alla riconversione dal Tecnopolo di Mirandola; dalla Fater che fa pannolini e ha avviato una linea di produzione su richiesta della Protezione civile, alla Fippi, su pressione di Assolombarda. La Fippi è stata guidata dal Politecnico nella scelta del materiale giusto, ha superato i test di laboratorio, avviato la produzione di 900.000 mascherine chirurgiche al giorno due settimane fa. Oggi ne ha in stock 4 milioni. Ebbene queste aziende non possono ancora commercializzarle perché l’Istituto superiore di sanità, che per decreto deve rispondere entro 3 giorni, non lo ha ancora fatto. La procedura semplificata alla fine si arena ancora una volta nella confusione romana".

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