È la giornalista Anna Trieste ad introdurre la cerimonia di conferimento della cittadinanza onoraria a Dries Mertens. Lo ha fatto con un lunghissimo discorso che ha ripercorso le gesta dell'attaccante belga nella città di Napoli.
Buongiorno a tutte a tutti. Lo so. Io vi vedo che vi state domandando ma perché questa si è alzata per andare a parlare e sarò onesta con voi, io vi capisco, perché pure io mi sono fatta la stessa identica domanda quando il sindaco Manfredi e il consigliere comunale Salvatore Flocco mi hanno chiesto di venire qui oggi a leggere due parole per la circostanza che ci vede tutti qui riuniti. Sì, perché non mi sono alzata per dirvi che ci sta una macchina da spostare o che nel frattempo è caduto il governo e il sindaco deve scappare mommo’ a Roma per fare il candidato premier. Sono qui per provare a spiegare perché Dries Mertens merita la cittadinanza napoletana. Vi dico la verità. Quando il sindaco e il consigliere Flocco mi hanno chiamata per comunicarmi questa loro intenzione, io là per là gli ho chiesto se per caso non avessero esagerato col rum dentro ai babbà perché mo’ senza voler fare la modesta lo sappiamo tutti che nella nostra città di santi, poeti, calciatori e letterati esistono decine e decine di persone ben più titolate di me a fare questo fatto ma loro mi ha detto che no, che dovevo essere proprio io, e allora eccomi, ho messo da parte il mio barresismo, questa sindrome che abbiamo a volte nel mio quartiere a sentirci parte di una Napoli che non merita di rappresentare Napoli nelle occasioni che contano e, forte pure del fatto che mo’ grazie a Pasquale Mazzocchi pure Barra è Campione d’Italia, ho deciso di accettare. Eccomi qua a estrinsecare, se avrete la pazienza di seguirmi, i motivi per cui Dries Mertens non solo può meritare la cittadinanza napoletana ma anzi egli deve assolutamente riceverla perché non si è mai visto nu napulitan che non è cittadino di Napoli. Ma procediamo con ordine. Innanzitutto bisogna premettere che Dries non è che si è napoletanizzato dopo la sua venuta a Napoli. Non è stata una trasformazione. Semplicemente, come dice la massima zen che il maestro arriva quando l’allievo è pronto, nel suo patrimonio genetico, per qualche ragione a noi ignota che collega Lovanio con la Pignasecca, c’è sempre stato qualcosa di napoletano in lui solo che la sua scoperta definitiva, il suo disvelamento, la sua epifania, è avvenuta quando è arrivato a Napoli. Come molti di voi ben sapranno, infatti, per un bizzarro caso del destino che a volte fa nascere i leghisti a Napoli e i napoletani all’estero, Dries Mertens è nato a Lovanio, in Belgio, 38 anni fa. Cresciuto prima nell'Anderlecht e poi nel Gent, a 18 anni viene mandato in prestito all'Eendracht Aals. E qui, giusto per far capire che per lui il pallone era solo un gioco e non era affatto un ragazzo competitivo, a fine stagione viene eletto miglior giocatore del campionato. Poi, manifestando sin da allora questa tendenza tutta napoletana a emigrare per cercare fortuna, l’anno dopo se ne va in Olanda, all’Agovv, e qui rimane fino al 2009 quando finalmente approda alla massima serie olandese, all’Utrecht. Anche qui, per non dare troppo nell’occhio e non eccedere con l’esuberanza, sale sul secondo gradino del podio tra i migliori giocatori del campionato. Tre anni dopo si trasferisce al PSV dove segna tanti di quei gol che vince una coppa d’Olanda. Poi, finalmente, nella calda estate del 2013, il suo cartellino viene acquistato a titolo definitivo dalla Società Sportiva Calcio Napoli. Ed è qui, ai piedi del Vesuvio, che come Clark Kent ma meglio perché grazie al mare, Dries scopre di avere un superpotere: essere napoletano. Esordio in Serie A il 25 agosto ma è a fine ottobre, in occasione di Fiorentina-Napoli, che Dries segna il suo primo gol. Il Napoli sta pareggiando al Franchi e lui decide che è il momento di far capire a tutti che li aspetta. Higuain gli passa il pallone al limite dell’area e lui, stretto tra due viola, punta il secondo palo e con una rasoiata infila un pallone in rete con una nonchalance che significa solo una cosa: “V’agg fatt ‘o cunt e ‘a ammasciata!” E infatti, nella stessa stagione, Dries già vince il primo trofeo con il Napoli, la Coppa Italia, poi ne vincerà pure un altro, la Supercoppa e da lì in poi si farà strada nei cuori azzurri a suon di gol ma c’è già una cosa che a iniziare a far dubitare tutti che sia veramente belga. ‘A pacienza. La pacienza di aspettare la ciorta, il suo turno, la sua possibilità. Per quasi tre anni, infatti, Dries aspetta. Come un napoletano aspetta la Circumvesuviana sulla banchina di Garibaldi. Ma senza una mala parola, senza una lamentela. Facendo sfoggio di quella capacità di attendere, di quella remota, ereditaria, intelligente e superiore pazienza che Peppino Marotta ha definito apoditticamente l’Oro di Napoli, Dries aspetta. E il suo momento arriva. Tre anni dopo, quando in panchina non c’è più Benitez ma Sarri, Milik si infortuna e tutta la città cerca un centravanti. Nei bar si discute, si cercano soluzioni, c’è chi si prepara a scendere ‘a panz per scendere in campo, c’è chi dice Callejon, c’è chi dice Gabbiadini che un poco si fa squalificare un poco nun è cosa soia, fino a quando il tecnico, fulminato sulla via di Coroglio, non pensa “Marò! Ma io tengo a Mertens!” E così basta fascia sinistra, per Dries arriva il punto più luminoso della scena, il centro dell’area di rigore. Falso nove, dicono. Ma falso ce lo dici a soreta! Dopo un poco di ambientamento comincia l’età aurea del puer, del nennillo d’oro. Doppiette, triplette, seggiate, gol di rapina, gol su azione, gol su tela. Per non parlare dei pallonetti. Era il 18 dicembre del 2016 quando Dries realizza quello che per molti è il pallonetto del secolo. Il Napoli già vinceva 4 a 2 col Torino ma quando Callejon gli passa il pallone e lui è spalle alla porta deve aver pensato ma ch m’ n’ ‘mport e si gira, come un giglio di Barra tra i vicoli della Rucella si gira, e indovina con mezzo interno collo una pennellata che lascia tutti senza parole. Prima di quel giorno nessuno pensava si potesse segnare un pallonetto da quella posizione. Ma grazie a Dries mo’ sappiamo che si può fare. E infatti ne fece uno pure al Genoa, che Juric in panchina imparò per osmosi tutte le migliori male parole napoletane perché non era possibile stoppare un pallone a seguire così, annanz ‘o purtiere, controllarlo così, sulla corsa e poi addirittura far gol. Per non parlare del tiraggiro al Cagliari quando in uno spazio in cui un calciatore normale non solo non riuscirebbe a girarsi ma manco a susciarsi ‘o nas, Mertens si gira. E tira! Senza nemmeno alzare gli occhi per guardare in porta. Ma perché? La punizione col Frosinone? Là il destro di Dries si trasformò in una specie di track che superò la barriera e si stampò in rete. E la seggiata alla Lazio, quando sembrava che stava camminando per i fatti suoi, al massimo pensando di passarla a qualche compagno meglio piazzato, e invece SBAM! E potremmo andare avanti per ore, mettendoci pure a chiagnere a un certo punto, perché Mertens fa parte di quegli eroi che con 91 punti lo scudetto non l’hanno vinto ma la storia, non ce ne voglia mister Conte, la storia l’hanno scritta eccome perché è con loro che Napoli è diventata anche una meta calcistica, la squadra più “sexy” d’Europa, con i primi turisti che quando arrivavano a Napoli prenotavano prima il biglietto per lo stadio e poi il ristorante e il bed and breakfast. E cammina cammina, Mertens inizia a scalare la storia del Napoli superando prima Careca e Altafini nella classifica marcatori di tutti i tempi e poi eguagliando Diego Armando Maradona e Hamsik e infine superandoli tutti, diventando il miglior marcatore di tutti i tempi in tutte le competizioni in maglia azzurra con 148 gol complessivi. Del dopo Napoli, quando Dries se n’è andato al Galatasaray e ha vinto lo scudetto turco, in questa sede non parleremo perché nun ce vulimm ‘ntussecà. Parleremo, invece, del perché Dries Mertens è già a tutti gli effetti napoletano e manca solo la formalizzazione della faccenda. E cominciamo dal nome. Se Sarri, infatti, lo fece falso nove, Napoli lo fece falso Dries. Mertens nato Dries assume il nome di Ciro la sera del 23 aprile del 2015. In quello che era ancora il San Paolo, si gioca la partita di ritorno col Wolfsburg, quella dove all’andata Maggio era diventato Zidane. Mertens è in panchina, la squadra è troppo rilassata e lui con la pettorina si alza e inizia a alluccare. Sì non a gridare. A alluccare proprio, come un napoletano sugli spalti. Uno di noi. Si sbraccia, si dispera, soffre, incita i compagni. Gli fa pure i cazziatoni. Per questo inizio a chiamarlo Ciro. Mi viene spontaneo. Chill’ era proprio Ciro! E doveva trattarsi di un nome molto azzeccato se piano piano tutti, ma proprio tutti, hanno iniziato a chiamarlo così. E Ciro rivela tutta la sua grazia partenopea. Innanzitutto, confutando la tesi secondo cui nessun calciatore del Napoli può andarsene tranquillamente in giro senza essere assalito dai tifosi - tesi che molto probabilmente è stata messa in giro da Michu il quale però se è stato assalito è stato per altri motivi interlocutori più o meno legittimi - Ciro nato Dries inizia a girare per Napoli come se niente fosse. Ma non solo Posillipo e Capri. Anche i Quartieri Spagnoli, dove conduce abitualmente parenti ed amici da Nennella, Mergellina, dove porta il cane in giro dopo cena e si va a mangiare la graffa dall’omonimo chalet postando selfie soddisfatti. E Ponticelli, dove aiuta un rifugio per randagi. Tra i calciatori azzurri è quello che sceglie la residenza più iconica e cittadina, palazzo Donn’Anna. Ufficialmente già Posillipo ma non ancora eremo dorato. Ancora città, ancora mare popolare, ancora scogli di birra e taralli. Facendo sfoggio di identità e senso di comunità, il 31 gennaio inizia a rispondere agli auguri per l’onomastico che pure riceve e trasforma la sua casa in residenza turistica per amici e parenti. Inizia a diventare testimonial di Napoli senza che nessuno gliel’abbia chiesto. Indimenticabile quando casa Mertens diventò il B&B di De Bruyne. A proposito, Dries ma saje coccos? Comunque. Non solo i napoletani ma anche i nuovi arrivati in squadra iniziano a considerare Mertens napoletano. Quando nelle interviste gli chiedono chi li sta aiutando a ambientarsi a Napoli il nome è sempre lo stesso: Mertens. Ciro li aiuta. Li instrada. Li supporta. Li accoglie. Ma sbaglia chi pensa che Mertens sia napoletano solo per questo. Mertens merita la cittadinanza napoletana perché di Napoli incarna tutto. Oltre alla pazienza, che gli ha permesso di aspettare il suo turno per ben tre anni, dei napoletani Mertens ha pure la resilienza. Quanti calciatori sentiamo lamentarsi davanti a taccuini e microfoni perché non giocano nella posizione che preferiscono? A Mertens, ala sinistra a piede invertito, viene chiesto di fare la prima punta. E lui si adatta, si adegua, riesce. Come un vero napoletano, si arrangia. E in più, come tutti i napoletani, Dries non riesce a voltarsi dall’altra parte quando vede qualcuno in difficoltà e si affretta e si adopra per aiutare, per non lasciare nessuno indietro, da solo. Sia che si tratti dei senzatetto al freddo della stazione Garibaldi a cui va a portare le pizze in incognito, sia che si tratti dei bambini impegnati a combattere terribili malattie in ospedale, sia che si tratti dei ragazzi di Nisida. Dries c’è. E diventa esempio. Dries ma lo sai che c’è un ragazzo che di notte in incognito va a tagliare barba e capelli ai clochard e si fa chiamare Ciro? E questo legame, questo senso di appartenenza con Napoli e la sua identità si manifesta fortissimo come se fosse naturale, non artefatto. Innato. “In Belgio e a Istanbul io mi sento napoletano” ; “I dont’ care about dollars, Napoli mi basta” dice ai giornalisti di tutto il mondo. Mertens capisce e sente che chi indossa la maglia del Napoli rappresenta, più di un politico legittimamente eletto, un popolo, una Città - Stato. Capisce che a Napoli è ancora integra la velleità tutta ellenica, oseremmo dire “pindarica”, di usare lo sport come mezzo per dare lustro e gloria alla propria gente prima ancora che gioia e divertimento agli spettatori. Mertens sa che possono esserci napoletani che non tifano Napoli ma sa che chiunque tifa Napoli difende la città. Fa suo il motto “In ogni contesa a tua difesa”. Cantano “Lavali col fuoco”? Lui posta foto del Vesuvio. Insultano i napoletani per la loro lingua? Lui si fa riprendere mentre parla napoletano e manda baci azzeccosi. In numerose interviste ha dovuto dire che Napoli non era un far west e che i napoletani non sono questa specie di tribù di primati accampata ai piedi del Vesuvio. “Napoli non mi pare diversa dalle altre città europee – dice ai giornalisti - . Anche i miei amici erano preoccupati per me prima che venissi qui ma adesso fanno la fila per essere ospitati” Ma, nonostante tutto questo, nonostante abbia dimostrato in campo e fuori l’amore assolutamente disinteressato e puro verso questa terra, nemmeno a Mertens è stato risparmiato il “fuoco amico”. Nell’anno della scadenza del contratto abbiamo dovuto leggere che ormai era lento, “un ex calciatore” , che voleva solo guadagnare di più, che aveva addirittura finto di aver chiamato il figlio Ciro per ingraziarsi il consenso dei tifosi. E invece è tutto vero ed è stato un modo, il modo, come ha raccontato lo stesso Dries, per portare sempre con sé il ricordo di questa esperienza di calcio e di vita. E, attenzione, tutto questo che vi ho raccontato non è accaduto mo’. Non è accaduto mo’ che Napoli è un brand, mo’ che la musica parla napoletano, il cinema parla napoletano, la tv parla napoletano e il turismo italiano parla napoletano. Tutto questo è accaduto anni fa, quando dirsi napulitan’ non era ancora così di moda e per un calciatore poteva essere un boomerang. A proposito, sindaco, visto che Ciro è accussì bravo mo’ dopo questa bella pensata coinvolgiamolo pure in tante iniziative per la città! Perché non ti credere, Ciro. Non è che adesso è diverso. Anche e soprattutto adesso tu devi continuare a difendere la “tua” città. Ricevere la cittadinanza napoletana non è come ricevere quella di Montecarlo dove al massimo devi difendere la città da chi la critica per i rumori del Gran Premio. Qui significa diventare erede di una cultura e di una civiltà millenaria ma anche parte di una comunità che spesso, con le spalle sott’e casce della fatica, degli stereotipi, dei luoghi comuni e del razzismo, nun sent cchiù l’addore ’e mare. Ma tu l’hai fatto Dries. Pur essendo nato lontano, tu il mare ce l’hai fatto sentire. Hai difeso e onorato questa città quando nessuno te l’ha chiesto e l’hai sempre fatto con naturalezza, ironia, magnificenza calcistica e classe. Ecco perché Napoli oggi non può che accoglierti come figlio suo e noi napoletani come fratello nostro. Del resto ammettiamolo, tu sì cchiù napulitan ‘e me!