Napoli - «Potrei dire cose non scontate?». Lacrime e solo lacrime accompagnano i ricordi di Fernando Signorini, uno degli amici più umili e silenziosi, un compagno di vita vero, uno dei pochi fedelissimi. Nel vero senso della parola. Ha parlato a Il Mattino:
Signorini
«Ho pianto, come sta piangendo un Paese intero. Diego non meritava di andarsene così, in sofferenza, quasi in solitudine, lui che ha regalato gioie immense e trascinato le masse».
L'estate è alle porte dall'altra parte del mondo, pare che nessuno se ne accorga. È una sofferenza pazzesca ricordare un amico con un amico.
«Diego è stato il calcio, ha cambiato la storia dell'Argentina e di Napoli, un personaggio che non è stato mai banale perché non è mai stato un uomo comune».
Bisognava aspettarselo?
«Non oggi, non domani ma all'improvviso sì. Tutta la vita di Diego è stata un continuo saliscendi, quando corri sempre a mille all'ora, ci sta una fine così brusca. Io mi ero rassegnato da anni, non mi sarei meravigliato se Diego fosse finito da un momento all'altro».
L'amicizia tra Fernando e Diego risale ai tempi del Barcellona. Esattamente quando il campione si stava rimettendo in piedi dopo la frattura della caviglia. «Iniziammo a parlare in maniera casuale e quando ci rivedemmo dopo un mese, il discorso scivolò su alcune metodologie di allenamento. Cominciammo quasi per gioco ma il nostro feeling da quel momento non si sarebbe più interrotto».
Fu proprio a Napoli che quel legame diventò poco alla volta amicizia.
«I primi anni ci allenavamo forte: erano sessioni di lavoro extra, di ritorno dal centro Paradiso di Soccavo. Nei parchi, per strada, nel suo garage, di notte. Pochi sanno davvero di cosa era capace Diego quando si metteva in testa una cosa: le sue prime tre stagioni in azzurro le ha vissute con un chiodo fisso nella testa. Vincere il Mondiale con l'Argentina e lo scudetto in Italia: ci riuscì alla grande».
Signorini comprese il disagio attraversato dall'amico nei suoi ultimi anni napoletani.
«Lo feci presente all'allenatore Bianchi e a Ferlaino. Soprattutto al presidente, gli dissi che il limone era stato spremuto fino all'ultima goccia e che non aveva più alcun senso trattenerlo a Napoli con la forza. Doveva andare via prima e non dopo il caso dell'antidoping, di notte e quasi di nascosto».