La partita di ieri a Milano certifica definitivamente che una squadra bellissima risulta in oggi pressoché distrutta. Pur avendo la rosa più forte della sua storia dopo quella dellâera benedetta da Dio, del Napoli non si vede identità , e soprattutto non vâè più traccia della sua anima. Volti disorientati, mai sorridenti, anzi tristi, inanimati, sempre senza gioia, pure dopo aver segnato. Di chi è la colpa? Non sembra inappropriato richiamare un antico detto napoletano, che spiega bene donde derivi lâolezzo delle specie ittiche.
Due ore prima a Bergamo sâera avuta unâaltra importante conferma: quella della netta sensazione di un disegno volto ad indirizzare il campionato verso un duello Juve-Inter. Lâarbitraggio del sig. Rocchi, troppo a sproposito osannato (persino da Ancelotti), desta scandalo: rigore indiscutibile negato allâAtalanta, pur avendolo rivisto alla VAR, e secondo gol della Juve irregolare senza dubbio alcuno, con mancato uso palesemente illegittimo della VAR. Subito a seguire, per non farsi mancare niente, la solita, disgustosa, âcoperturaâ da parte di pennivendoli ed opinionisti (in modo occulto, ma evidentemente, al soldo del potere), che giustificano gli errori di artitro e VAR con goffe interpretazioni delle regole ad usum regni. Ormai è veramente una farsa. Invece di denunciare gli errori (ma può più credersi che siano tali?), si sperticano in difese dâufficio insopportabili. E stavolta nessuno può dire â ormai, ahimé, la questione non ci riguarda â che si tratti di «piagnisteo napoletano». A giudicare dalle tempestive dichiarazioni proprio di Vittorio Feltri, nonché dallâesposto/denuncia per ipotesi di reato di frode sportiva che, secondo notizie provenienti dal web (peraltro non verificate), sarebbe stato presentato alla Procura della Repubblica di Bergamo, si tratterebbe, tuttalpiù, di «piagnisteo bergamasco»!
Ciò posto, proviamo a fare il punto sulle vicende del Napoli. Nellâultima settimana si sono verificati due fatti: la interlocuzione di Ancelotti con il designatore degli arbitri Rizzoli e la presa di posizione sui giocatori assunta dal vice-Presidente Edoardo De Laurentiis. Entrambi gli accadimenti hanno ricadute sulle quali è opportuno riflettere, in ragione dei profili giuridici coinvolti.
1) Gran parte della stampa ha esaltato la vis polemica di Ancelotti, il quale, almeno per una volta, ha dismesso la sua proverbiale bonomia per assumere il ruolo del pugnace difensore della causa contro gli arbìtri degli à rbitri. Niente di più distogliente dalla verità . Al di là dellâapparenza, quella vivace e, a prima vista, dura reazione a freddo avverso quanto illegittimamente subìto dal Napoli in Napoli-Atalanta, ha generato due effetti obiettivamente (ma â è evidente â non palesemente) negativi. Lâaccadimento, infatti, ha dato ai più â soprattutto nei media codini â lâillusione che tutto si sia risolto, che finalmente Ancelotti si sia fatto sentire con autorevolezza e, facendo la voce grossa, abbia così generato il riconoscimento dellâerrore da parte di Rizzoli.
Ma prestiamo attenzione. Primo: Rizzoli ha dichiarato che Giacomelli ha sbagliato nel decidere di non ricorrere alla VAR, ma non nel merito del giudizio sul fallo di Kijaer; lâarbitro, cioè, avrebbe soltanto erroneamente applicato la regola del âvantaggioâ in favore dellâAtalanta, ma non giudicato scorrettamente lâazione, perché, rivista alla VAR, il fallo era di Llorente. Ancora una volta, dunque, si conferma una lettura impropria del Protocollo VAR, paradossalmente alimentata dalla stessa veemente dichiarazione di Ancelotti, il quale, affermando giustamente che la partita deve essere arbitrata dallâarbitro e non dal VAR (che non può decidere in luogo dellâaltro), suo malgrado, ha finito per legittimare la sminuizione dellâuso della tecnologia. Questa, invece, deve essere chiamata in causa tutte le volte in cui il VAR rinvenga, nelle sole fattispecie codificate, un episodio dubbio, sul quale toccherà poi allâarbitro decidere se sia incorso in un errore «chiaro ed evidente». Secondo: lâabnorme (tanto è raro che succeda!) attenzione sulla parzialissima ammissione di responsabilità da parte del designatore ha consentito di far passare in cavalleria la verità âgrandeâ, e cioè che, per effetto di decisioni arbitrali illegittime, il Napoli ha sin qui ben 11 punti in meno: nellâordine, con il Cagliari (3), il Torino (2), la Spal (2) lâAtalanta (2), il Genoa (2).
Ho già avuto modo di chiarire che lâanalisi delle illegittime decisioni arbitrali non costituisce alibi per lâandamento del Napoli (sebbene sia innegabile che i risultati condizionino molto la capacità delle squadre). La responsabilità della situazione in cui versa oggi è in gran parte del Presidente e della società .
2) E qui veniamo al secondo fatto (che conferma lâultimo assunto), il quale pure presenta aspetti di rilievo giuridico. Le dichiarazioni rese dal vice-Presidente EDL riportate dai giornali, che hanno preceduto la âlinea duraâ che sembra stia assumendo il padre Presidente, invocata come necessaria e opportuna da molti esponenti dei media locali e nazionali. A quanto si è letto, interrompendo il silenzio-stampa, avrebbe dichiarato che «I calciatori sono dipendenti e pur guadagnando tanti soldi devono avere più rispetto per la città e la maglia». Rivolgendosi con inopinata disinvoltura agli ex calciatori Montervino e Calaiò (presenti allâevento cui partecipava), avrebbe affermato che «Ce ne vorrebbero in tante squadre di capitani come Montervino», che «con il buon senso si ottiene tutto, bisogna rispettare il posto di lavoro», e ancora che «lo stipendio mensile va rispettato» e «Il tifoso viene allo stadio per il giocatore quindi ci vuole rispetto, rispetto e rispetto».
Orbene â a parte la goffa inopportunità di dichiarazioni siffatte (verrebbe proprio di domandare come mai la società , nel cui nome il vice-Presidente pare essersi espresso, si ricorda della città e della maglia solo adesso, e perché invoca il buon senso soltanto per gli altri âattoriâ della vicenda, sovente, in molteplici circostanze, avendo rinunciato a farvi ricorso, con lâesprimere giudizi offensivi su vari calciatori e allenatori in qualche modo âsimboliciâ) â, bisogna tornare sulla questione giuridica sottostante. à giuridicamente possibile imporre un ritiro âpunitivoâ? Nessuno può dire che lo sia. Allora si tratta di qualificare quello imposto dal Presidente: era âpunitivoâ o no?
Al riguardo, è certo che la sua qualificazione non possa essere soggettivamente definita da chi lo impone. Averlo unilateralmente denominato âcostruttivoâ non sembra giuridicamente decisivo, anzi. Forse mi sbaglio, ma mi pare che, secondo il contratto collettivo, il ritiro possa essere indetto soltanto per la preparazione pre-campionato, oppure per preparare una singola partita. Non imposto per otto giorni, durante i quali, fra lâaltro, sono calendarizzate due partite, una di Champions e una di campionato.
Fatto così sarebbe âillegaleâ. A meno che la sua âcostruttività â non venga condivisa con i calciatori. Del resto, se fosse stato veramente costruttivo, lo avrebbe concertato con lâallenatore, che invece â per quel che si è saputo â nemmeno ne era stato informato, e comunque ha poi dichiarato di essere contrario; pur rispettando la decisione della società , ma pare â così si dice â che nel suo contratto sia contemplata una soggezione âspecialeâ. Non credo lo sia in quello dei giocatori. Dunque, è difficile ritenere che il ritiro imposto dal diktat del Presidente dopo la Roma possa considerarsi altro che âpunitivoâ, e perciò non consentito. Il datore di lavoro non può dare ordini contrari alle regole, e se sono tali il lavoratore subordinato non è tenuto ad obbedirvi. Ragionare diversamente significa assumere una prospettiva giuridica arcaica, secondo cui il padrone disponeva di libertà assoluta. La civiltà contemporanea, per fortuna, contempla il diritto del lavoro, non lâarbitrio del padrone.
Per concludere, ho il dubbio che la strategia del non âfar scontiâ ai calciatori, lasciando âpartire le raccomandateâ, o addirittura â non ne parliamo â dellâesperire unâazione per danni dâimmagine, non solo sia improvvida, perché multe e azioni legali non contribuiscono affatto a distendere gli animi, ma presenti anche esiti giuridici assai incerti. Non è fantasioso prevedere che un collegio arbitrale qualifichi il ritiro imposto come âpunitivoâ e dunque contra jus, e che un giudice darebbe torto alla società considerando dannose per la sua immagine le decisioni che essa stessa ha assunto.
E poi, sia chiaro, il parametro dellâamore per la maglia e per la città non si può adoperare per giudicare il comportamento soltanto dei calciatori. A guadagnare sulla nostra passione cifre astronomiche (per molti eticamente discutibili) non sono solo i calciatori, ma pure il Presidente e la sua famiglia. Anche nel loro interesse, quindi, invece di scatenare la peggiore canèa contro i giocatori, pensino a condurre in maniera armoniosa lâazienda che per ragione sociale ha lo straripante amore del popolo azzurro.