di Fabio Cannavo (Twitter: @CannavoFabio)
Pisano doc, ma la sua carriera calcistica inizia proprio ad Empoli dove conobbe quel Luciano Spalletti che gli fece un po' da guida a inizio percorso. Alessandro Birindelli deve tutto al suo ex mister, fu proprio lui a consigliarlo alla Juve di Marcello Lippi, dove restò per undici lunghissime stagioni. La redazione di CalcioNapoli24, ha raggiunto l'ex bianconero, in esclusiva, toccando vari temi: dalle sue esperienze lavorative in Zambia e Romania, passando per una 'clamorosa' squalifica della Figc:
Quanto è stato importante per te mister Spalletti? Fu proprio lui a consigliarti alla Juve di Lippi, vero? "Sì. Devo davvero tanto al mister. E' stato fondamentale sia per la mia crescita calcistica che per quella umana. E' stato un tecnico che teneva a lavorare sulla crescita del singolo, mi ha dato degl input che non dimenticherò mai".
Undici stagioni alla Juventus. Il campione più forte che abbia potuto ammirare. "Uno dei più grandi, per me, è stato Zinedine Zidane, col quale ho avuto la fortuna di giocare e di allenarmi. E' una gran bella persona soprattutto a livello umano, l'ha dimostrato negli anni d'altronde, con tutti i trofei vinti sia alla Juve che al Real Madrid".
Pochi goal nella tua carriera, ma quello contro il Feyenoord in Champions League resterà nella storia. "Vero, ma non fu quello il mio goal più bello. Ne feci uno in Champions, contro il Deportivo La Coruna, da venti metri. La palla s'insaccò sotto l'incrocio. Noi perdevamo 2 a 0, rimontammo tre goal e andammo avanti nella competizione. I miei compagni, quel goal se l'aspettavano da Del Piero, non da Birindelli".
Che rapporto avevi con Giovanni Trapattoni? Fu lui a portarti in nazionale la prima volta. "Un uomo molto schietto, come non ce ne sono in giro. Ricordo un aneddoto in particolare che m'è rimasto impresso. Era la mia prima convocazione, ero in camera con Mauro Camoranesi. Entrò nella nostra stanza al'improvviso, mi guardò e mi disse 'nella mia carriera ho avuto terzini destri come Claudio Gentile e li ho fatti diventare degli eccellenti terzini sinistri'. Iniziò a muovere le nostre borse per spiegarmi i meccanismi del terzino sinistro. Allucinante. Da una persona che ha vinto tutto non te l'aspetti. Poi il suo modo di parlare e di spiegare è coinvolgente e fa divertire molto".
Il ricordo che hai delle sfide al San Paolo tra Napoli e Juve. "E' uno stadio che mi ha sempre affascinato, sia per la gente che per la struttura. Con la Juve, poi...è sempre un match dal sapore particolare e noi sentivamo tutta la frenesia nelle ore precedenti alla partita. E' una fortuna averci giocato seppur da avversario".
Raccontaci la tua esperienza da allenatore della nazionale dello Zambia. "Fu Dario Bonetti a chiamarmi per chiedermi di seguirlo in Africa, in Zambia, come collaboratore tecnico. Sono onesto, lì per lì non ero convintissimo di lasciare la mia famiglia per andare a lavorare in Africa, ma poi mi convinsi e partì. Decisi di accettare non solo per l'aspetto lavorativo, ma volevo mettermi alla prova, volevo confrontarmi con una realtà completamente diversa. Volevo toccare con mano la realtà difficile che c'è in Africa. Passavamo spesso in Uganda o in Tanzania, posti dove c'è la vera fame e dove bisognava stare attenti a non prendere la malaria. Era difficile anche spostarsi, vi lascio immaginare com'erano i mezzi di trasporto. Il nostro compito, tra l'altro, non era per nulla semplice. Dovevamo girare per strada e reclutare bravi calciatori che però non potevano che giocare con quattro pali e un campo senza linee. In quel biennio io e Bonetti visionammo circa centoventi giocatori. Permettimi un minimo di presunzione, sento di dire che abbiamo permesso noi allo Zambia di vincere, poi in futuro, una Coppa D'Africa. Noi avevamo un contratto governativo e quando 'cadde' il presidente cambiarono anche allenatore. Arrivò un francese che trovò il lavoro già bello e fatto e vinse una Coppa D'Africa che sento anche un po' nostra. Ecco, questo è l'unico rammarico. Non aver alzato quella coppa".
Giocatori interessanti visionati in Africa? "C'è Kalaba, trequartista che quell'anno vinse la Coppa D'Africa, che è richiesto da molte società in Europa, ma per gli africani non è facile lasciare il loro paese. In Zambia solo Kalusha è riuscito a farsi conoscere in Europa per il suo talento. Ho conosciuto ragazzi eccezionali, molto più educati dei nostri. Potrebbero insegnarci l'educazione. Poi l'atmosfera era sempre gioviale, entravano in pullman cantando. Sapevano la fortuna che avevano, per i calciatori zambiani giocare a calcio non fa altro che aiutarli a mangiare e a farli arrivare a fine mese. Non percepiscono stipendi alti".
Seguisti Bonetti anche in Romania, alla Dinamo Bucarest. Dando un occhio alla tua carriera vien da pensare che hai voglia di lasciare l'Italia. "Sono una persona che ama il calcio, ovunque. Volevo scoprire come si fa calcio nelle restanti parti del mondo e sono fiero di aver fatto certe scelte di vita".
E Chiriches? Avrete sicuramente disputato il derby di Bucarest tra lo Steaua e la Dinamo. Ti piaceva? "L'anno che Chiriches era allo Steaua mi chiamò Luciano Spalletti chiedendomi delle informazioni sul ragazzo. Voleva portarlo allo Zenit, in Russia. Gli mancava un centrale. Gli dissi che se fosse andato da lui sarebbe sicuramente migliorato, ma se cercava un titolare per fargli disputare la Champions allora avrebbe dovuto cercare altrove, sono sincero. Anche la Roma era sulle sue tracce ricordo, ma era solo un buon giovane di prospettiva, doveva ancora migliorare tanto. Non era ancora pronto per certi palcoscenici".
Allenavi gli Esordienti del Pisa quando decidesti di lasciare il campo, insieme alla tua squadra, durante una partita. Che successe quel giorno? "Ricordo che ad inizio anno mi confrontai coi genitori dei ragazzini, dicendo loro di voler condividere un progetto basato sull'educazione. Sarei stato il loro responsabile quando i ragazzi erano in campo, ma fuori avrebbero dovuto pensarci loro. Quel giorno accadde che un mio difensore scivolò causando il goal degli avversari. Un altro genitore cominciò ad urlare dagli spalti: "Toglilo, non sa giocare!". Il nonno del ragazzo coinvolto nell'errore rispose alle accuse rivolte a me ed al nipote e cominciarono a battibeccare sugli spalti. Nel frattempo girai lo sguardo e quel ragazzino, complice di aver favorito un goal avversario, stava piangendo. Andai subito dall'arbitro e gli dissi che avremmo abbandonato la gara, mi diressi verso gli spalti e urlai 'vergogna!'".
Sì, poi la Figc decise di multarti e di punirti. Allucinante. "Sì, pensa un po'. Il regolamento non permette di poter lasciare il campo. Quando feci quel gesto non pensavo a nulla di tutto ciò. Pensa che il campionato che facevamo si chiamava 'Esordienti Fair Play', ho detto tutto. La Figc si preoccupa di creare slogan per i giovani e poi che fa? Mi punisce per un gesto che invece doveva essere premiato. In Italia ci allarmiamo se un ragazzo si fa il selfie o porta l'orecchino, poi altre cose le lasciamo correre..."
L'attaccante più forte che hai dovuto marcare in carriera. "Quello che mi ha sempre creato dei problemi era Ryan Giggs dello United. Un giocatore affascinante, fortissimo"
Empoli-Napoli, che match prevedi? Possiamo definirla la gara della paura? "Sì, c'è il timore per entrambe di non fare risultato, ma i due allenatori fanno un calcio sempre molto propositivo e sono due persone che non hanno paura. Conosco Sarri da anni, poi l'ho seguito da vicino quando è stato ad Empoli. E' un professionista come pochi, un grande conoscitore di calcio, ma ha bisogno di tempo. E' un allenatore che basa tutto sul lavoro, una cultura che evidentemente la squadra non aveva con Rafa Benitez. Mi auguro che De Laurentiis non lo mandi via dopo sole tre giornate di campionato".
E Giampaolo? "Per lui mi sa che è l'ultima chance. Deve vincere per forza contro il Napoli".
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