Colpo di spugna al passato sarrista: la promessa non mantenuta da Ancelotti

Editoriale  
Colpo di spugna al passato sarrista: la promessa non mantenuta da Ancelotti

Carlo Ancelotti ha pian piano cancellato il passato sarriano di questo Napoli venendo meno ad una sua promessa fatta ad inizio avventura in azzurro

“Il primo aspetto sul quale ho voluto lavorare qui a Napoli è stato appunto questo: non depauperare tutto quello che questa squadra ha di buono. Stiamo cercando di aggiungere qualche accorgimento, come giocare più in verticale, più aperto e non so quanto tempo servirà”. Aveva parlato così Carlo Ancelotti il 29 luglio dell’anno scorso, ribadendo qualcosa di già espresso nella sua conferenza stampa di presentazione a Dimaro 2018: “E’ un vantaggio prendere in mano una squadra ben definita, mi piacciono molto filosofia e spirito”. Parole significative quelle dell’ex Real Madrid e Bayern Monaco che, però, a distanza di circa un anno e mezzo non possono non far storcere il naso. 

Perché, al di là del passaggio dal 4-3-3 al 4-4-2, si ha la netta impressione che gli azzurri abbiano smarrito, strada facendo, quel patrimonio creato in tre anni e lasciato da Sarri come dote all’allenatore nato a Reggiolo. Dopo un girone d’andata sulla stessa falsa riga della vecchia gestione nell’annata 2018/2019, questa squadra si è pian piano distaccata dal gioco che aveva fatto faville nel triennio precedente. 4-4-2, come detto, l’assetto di base. Niente più vertice basso di centrocampo, meno fraseggio e più verticalizzazioni, con due punte centrali a scambiarsi palla e posizioni. Tutto ciò ha degli inevitabili riflessi sulle statistiche: il Napoli chiuse il terzo anno di Sarri con una media pari al 64% di possesso palla a partita mentre adesso la banda di Ancelotti si è assestata intorno al 56%

C'è però la diffusa sensazione che diversi azzurri stiano faticando a sentirsi a proprio agio con questa nuova veste addosso e che più passa il tempo più stia loro stretta. Sembrano troppo ampie le porzioni di campo da coprire per questo Allan, che da gennaio scorso, dopo cinque mesi sensazionali e senza precedenti, si è trasformato nel fantasma di sé stesso. Discorso pressappoco identico anche per Insigne e Callejon. L’ex Pescara, si sa, predilige il 4-3-3, e dopo aver ripudiato (è statao soprattutto una sua scelta) la posizione di seconda punta dove pure aveva inizialmente incantato, quest’anno sta faticando ad imporsi come esterno di centrocampo sul versante mancino. Considerando le sue caratteristiche, però, non è difficile immaginare le ragioni che si celano dietro questo calo: brevilineo, si esalta nello stretto ed inevitabilmente soffre se c’è da attaccare la profondità o da strappare. E' lui quello che ha patito maggiormente il cambio in panchina. Sempre elevato il rendimento dello spagnolo, che però in zona gol, complici i compiti difensivi e di equilibratore che deve rispettare, arriva con troppa poca costanza per quelle che sono le sue doti di fine realizzatore. Discorso a parte per la fase difensiva, troppo oscillante tra periodi in cui sembra impenetrabile ed altri in cui è un colabrodo (quest'anno incide inevitabilmente il fatto che il quartetto arretrato vede ben due novità, Manolas e Di Lorenzo, nella formazione ideale).

Ancelotti Napoli Insigne

Ovviamente non mancano note positive. Se da un lato questa è una squadra che ha leggermente meno il pallino del gioco in mano rispetto a quella sarriana, in mezzo al campo, soprattutto quando c’è uno tra Zielinski e Fabian largo a sinistra, c’è una maggiore copertura del campo in ampiezza. Con questa nuova identità di gioco, inoltre, si ha la possibilità di cercare di offendere con due punte centrali e l’abbondanza in avanti permette ad Ancelotti di mischiare le carte e di sapere di avere tante soluzioni, tutte diverse, nel proprio mazzo: c’è la velocità e l’imprevedibilità di Mertens e Lozano e la fisicità di Llorente e Milik, che per di più può essere un’arma anche per la sua capacità di calciare da fuori e di saper agire all’occorrenza girando attorno all'ex Tottenham, come in occasione di Lecce-Napoli. Le possibili formule sono tantissime ed anche in questo si manifesta la differenza tra i due tecnici: l'integralismo sarriano contro il turnover non meno esasperato ancelottiano.

Insomma, questo Napoli pare aver reciso, complici anche addii di calciatori come Reina, Albiol ed Hamsik, definitivamente il cordone ombelicale della gestione Sarri. Restano piccoli frammenti: l'asse Insigne-Callejon (meno frequente perché i due sono ora più distanti, agendo da centrocampisti), qualche uscita palla al piede dalle retrovie e l'idea di imporre sempre il proprio gioco. Ancelotti ha apportato i suoi accorgimenti (la squadra effettivamente, come annunciato, verticalizza di più e gioca più in ampiezza) ma nel farlo non pare esser riuscito a mantenere la promessa di preservare il patrimonio lasciato in eredità da Sarri che però, spettacolo, divertimento e qualche record a parte, non ha portato alcun risultato tangibile (trofeo in bacheca). Non necessariamente questa, dunque, è una brutta notizia ed in tal senso bisogna aspettare il verdetto del campo prima di emettere giudizi e sentenze definitivi. Ora si sta cercando di percorrere un’altra via. Magari con meno paesaggi mozzafiato da ammirare ma, si spera, con miglior sorte. Un sacrificio estetico per qualcosa di superiore, forse.

RIPRODUZIONE RISERVATA (C)

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