di luca cirillo
Fischiare l'inno nazionale non è elegante in nessun caso. Se si fischia quello altrui, però, il discorso cambia. Dalla non eleganza si passa al cafone andante, inoltrato, ci si sporge ai limiti di un dichiarazione di guerra. Fischiare la storia di un altro Paese è come mettere il becco in casa d'altri pretendendo pure il diritto di sparlare. Inaccettabile! L'inno nazionale è un concentrato musicale di storia, note appassionate e rievocative delle origini di un corpo unico pregno di orgoglio. Almeno quando c'è corrispondenza storica. Nessuno, dunque, può permettersi di fischiare un inno che non è il proprio. Fischiare il proprio inno, invece, ribadendo la poca eleganza di cui nei passaggi iniziali di questo scritto, può essere invece una forma di protesta legittima da parte di chi non si riconosce in una storia bugiarda che nasconde quella vera e insanguinata a proprio danno. Se un napoletano, un meridionale in generale, decide di fischiare l'inno dopo aver avuto modo di prendere coscienza di ciò che è realmente accaduto dal 1860 in poi e quale prezzo ha dovuto pagare il sud per sentirsi dare ancora oggi del 'terrone, coleroso, terremotato, benvenuto in Italia, campioni del Nord Africa' da quel nord (infarcito di meridionali) che ha costruito le sue fortune economiche spremendo le vite e la dignità di gente costretta a lasciare le proprie terre, non va biasimato. Resta la poca eleganza del fischio, ma la natura della protesta è del tutto legittima. Se la politica non deve entrare nel calcio, allora è inutile far eseguire lo spartito dell'appassionato Goffredo Mameli che mai immaginava, e nemmeno sognava, il genocidio (circa un milione di vittime) che è servito per costruire questa Italia spaccata. Un inno è politica, tanto è vero che in occasione dei 150 anni dell'Unità nazionale, tutti i politici, nessuno escluso, fecero leva sul volano pallonaro per fare vuota propaganda unitaria cui si sono inchinati anche molte personalità del mondo dello spettacolo.
Al di là della discutibilità del contesto calcistico per esternare le proprie idee e dando per scontato che una manifestazione di dissenso non è un accodarsi per moda mettendonsi le dita in bocca per sibilare, fischiare l'inno è una forma di protesta che, come tale, va accettata perchè di incivile ha poco. Sarà poco elegante, e lo è, lo ripetiamo ancora una volta, ma che nessuno osi usare questo eventuale gesto dei napoletani in occasione della finale di Coppa Italia per giustificare poi le vergogne italiote anti-Napoli che in tutti gli stadi del nord e non solo, si perpetuano ogni settimana in questo paese per niente unito se non durante la parentesi dei mondiali. La scelta giusta sarebbe l'indifferenza, ma a questo punto la domanda è: meglio un'appassionata protesta o un totale distacco? Una protesta può essere il segnale di una volontà, l'indiffirenza non lascia spazio ad interpretazioni, è snobismo totale, è freddezza, distacco. I figli dei figli dei figli di coloro che, meridionali, uomini, donne, vecchi e bambini, sono stati barabaramente trucidati sull'altare della Patria, meritano di veder riscritta la vera storia d'Italia, senza bugie e senza sensazionalismi risorgimentali. La parola risorgimento è retorica, è il vestito bello su un corpo morto e sporco di sangue innocente. Riscriviamo la vera storia, quella che i bambini di oggi potrebbero usare per costruire poi la nuova Italia, quella sincera e autentica, quella che perdona ma non dimentica. Solo così si può scrivere il nuovo inno da cantare tutti insieme. E a quel punto, coglione chi fischia! E, per concludere, che nessun italiano si azzardi a fare crociate in caso di fischi: l'inno argentino, ovvero quello di altri, gli italiani l'hanno fischiato in occasione della finale dei mondiali del 1990 (Germania-Argentina) proprio all'Olimpico di Roma. Per concedersi l'eventuale lusso di sparlare del prossimo è doveroso avere l'anima immacolata o almeno fare un preventivo mea culpa con annesso esame di coscienza.
A proposito di Diego Maradona e di Argentina, godetevi questo breve video...
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