"Napoli-Roma, ai miei tempi era sfottò e fratellanza. Ecco la vittoria più bella e il ricordo di un Totti bambino"

Rassegna Stampa fonte : di Pino Taormina per 'Il Mattino'
Napoli-Roma, ai miei tempi era sfottò e fratellanza. Ecco la vittoria più bella e il ricordo di un Totti bambino

Ottavio Bianchi, il tecnico del primo scudetto del Napoli, ha allenato per due stagioni anche la Roma agli inizi degli anni Novanta. «È una sfida sempre molto speciale. Ma io più di ogni cosa ricordo le gare da calciatore, quando da Napoli partivano in migliaia in torpedone portandosi dietro ciucci, pizze, fuochi pirotecnici. Che fratellanza sugli spalti, quanti sfottò. E lo stesso succedeva ai romanisti che venivano al San Paolo».

E di tutti quei derby, quali sono quelli più cari? «Di sicuro un 2-0 all’Olimpico con reti di Sivori e Braca. Il presidente Fiore ci regalò una medaglia con un ciuccio che calciava due palloni nella porta dell’Olimpico. Solo che lo fece il giorno prima: una veggenza incredibile. Ma se penso alla Roma rivedo anche l’uscita killer del portiere giallorosso che mi frantumò un ginocchio».

Garcia contro Benitez: chi le sta più a cuore? «Il miglior tecnico è quello che combina meno danni. Personalmente, però, diffido dagli innovatori: c’è poco da inventare nel calcio».

Tra Rudi e Rafa chi ha meglio compreso le realtà di Roma e Napoli? «Napoli è una città speciale: io da bresciano ci ho messo 10 anni per capirla un pochino. Benitez deve comprendere che ci vuole più pragmatismo. Cosa che non ho visto con l’Atalanta: questo Napoli o gioca bene e fa sfracelli oppure va in difficoltà. Invece è bello vincere per 1-0».

E Garcia? «Era il signor nessuno quando è arrivato in Italia. Si è invece calato in fretta nella realtà giallorossa: teatrale e pungente, come piace al popolo della Roma».

E quei compromessi che, secondo molti critici, Benitez dovrebbe imparare ad accettare? «I compromessi si fanno, io li facevo. Persino con i giocatori. Anche perché non bisogna dimenticare che l’obiettivo primo di una società e di un allenatore è vincere. E io a un fuoriclasse avrei portato anche il caffè a letto, se serve per vincere».

Non dirà che ha portato il caffè a letto a Maradona? «Io non glielo ho mai portato, ma l’avrei fatto senza problemi».

Andò a Roma per Dino Viola? «Un grande dirigente, il migliore di quell’epoca. Era 50 anni avanti a tutti. Parlava di stadi di proprietà, di diritti televisivi, nel 1990».

Ai tempi della Roma, ha conosciuto Totti? «C’era Ranucci, il dirigente che lo aveva portato alla Roma, che mi faceva una testa così e il sabato mi diceva tutto quello che aveva fatto. Ma era ancora molto piccolo, non potevo neppure farlo allenare con noi»

Vincere uno scudetto al Sud è sempre complicato, vero? «Napoli e Roma sono state sempre malate di un campanilismo esasperato, molto provinciale. Si viveva per arrivare davanti all’altro, a prescindere dalla posizione in classifica. Con l’arrivo deglia mericani, la Roma è cresciuta moltissimo. Ma anche De Laurentiis ha portato la stessa ventata che c’era negli anni ’80 e che portammo io e Allodi: l’obiettivo finale è assai più importante di battere Juve o Inter».

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