La ricostruzione di De Santis: "Ho sparato per difendermi. Non sono un mostro, la pistola non era mia. Ma che so’ Rambo io, che me metto a assalì n’autobus da solo?"

Rassegna Stampa fonte : Il Tempo
La ricostruzione di De Santis: Ho sparato per difendermi. Non sono un mostro, la pistola non era mia. Ma che so’ Rambo io, che me metto a assalì n’autobus da solo?

«Non avevo la pistola, non avevo la pistola, non avevo la pistola». Questa la frase che Danielino De Santis ha masticato come un mantra durante la sua lunga deposizione durante il processo per la morte di Ciro Esposito, il giovane operaio di Scampia morto a causa dei due proiettili che lo hanno colpito il 3 maggio del 2014, a poche ore dalla partita tra la sua squadra, il Napoli, e la Fiorentina.
Ed è proprio la pistola uno dei punti su cui ha battuto l’imputato che, sollecitato dalle domande del pm aveva raccontato la sua verità: «Hanno iniziato a picchiarmi, non so per quanto tempo. Ho provato a muovermi ma sono ricaduto e in quell’attimo ho visto uno di loro, il loro capo, una persona alta e grossa più di me, che si avvicinava a me con una pistola in mano girata dalla parte del calcio. Gli ultras non usano le pistole. Mi ha colpito alla testa con l’arma e io, con la forza della disperazione, gli ho agganciato il braccio e sono riuscito a disarmarlo. Non so come ho fatto, probabilmente mi ha aiutato il fatto che faccio karate da quando sono piccolo. A quel punto, quando ho sentito di avere la pistola in mano, ho sparato».
Per De Santis, quindi, gli spari erano solo legittima difesa, ultima soluzione alla reazione avuta dai tifosi del Napoli che si erano avventati su di lui picchiandolo e colpendolo con coltelli e mazze fino a quasi provocargli l’amputazione della gamba destra. Anche sulla dinamica degli spari poi la versione di De Santis è molto distante da quella della procura: «Non so quanti colpi, per me in quel momento poteva essere un colpo come ottocento, non mi rendevo conto. L’avvocato mi ha detto che erano 4 ma io non me lo ricordo. Non ho visto dove sparavo, a causa delle botte ero una maschera di sangue e non vedevo niente e la gente continuava a picchiarmi. Mi hanno quasi ammazzato e ho molta rabbia dentro perché per due anni tutti mi hanno dipinto come un mostro e io non sono un mostro. Non sapevo di avere colpito qualcuno. Poi mi hanno picchiato di nuovo e sono svenuto. Solo dopo ho saputo di Ciro Esposito; penso sempre a quello che è successo e mi dispiace per la morte di Esposito».


E se la pistola è l’elemento cardine su cui fa perno la ricostruzione dell’ex ultras giallorosso (già protagonista di numerosi altri fatti violenti legati al calcio), anche la sua visione su come siano andati i fatti che precedono gli spari è lontana anni luce dalle ricostruzioni degli inquirenti: «Quel giorno mi sono svegliato verso le 12. A casa mia c’erano due ragazze che avevano passato la notte con me e continuavano a dormire. Sono uscito fuori a giocare con i cani e poi sono andato al bar a mangiare qualcosa. Poi sono tornato a casa e solo qualche ora dopo sono uscito di nuovo per andare a comprare dei panini alle ragazze. Quando sono uscito la seconda volta – racconta ancora De Santis – mi sono accorto subito che a Tor di Quinto era scoppiato il casino. Da casa mia si vedevano i fumoni e si sentiva un gran chiasso. Io di stadi ne mastico, e ho capito subito di cosa si trattasse. Allora sono andato verso il cancello dal lato del Ciak Village per chiuderlo. A terra era pieno di fumogeni, pietre e altro e io ho raccolto un paio di fumoni e li ho ritirati indietro».
Nessuna aggressione agli autobus quindi, secondo quanto dichiarato da De Santis, solo l’intervento del guardiano del circolo privato, uscito per chiudere un cancello e finito in una rissa con morti e feriti. «Non mi sono mai mosso dal cancello – aveva risposto l’imputato – la strada stava a trenta metri e da dove stavo io ho iniziato a fare gesti ai pullman per farli spostare da quella zona perché erano pieni di tifosi e nel circolo sportivo dove faccio il guardiano c’erano le partite dei più piccoli ed era pieno di bambini. Ma che so’ Rambo io, che me metto a assalì n’autobus da solo? Io ero solo quel giorno – diceva con tono di sfida De Santis rispondendo alle contestazioni del pm – e quando ho capito che le cose stavano peggiorando ho provato a richiudere il cancello, ma mi avevano già accerchiato e, quando mi sono voltato, ho preso una bastonata e due coltellate e sono caduto. Io non avevo capito chi fossero: per me potevano essere fiorentini o cinesi, solo dopo ho saputo che erano napoletani. Hanno iniziato a picchiarmi, non so per quanto tempo».
Versioni contrastanti e contrastate quelle venute fuori in un processo sempre sull’orlo di una crisi di nervi, con i giudici che hanno ritenute buone le (tante) prove portate in aula dalla Procura, rigettando la tesi della semplice legittima difesa invocata dall’imputato, condannato a 26 anni di reclusione per un omicidio terribile, come non se ne erano mai visti nel mondo ultras.

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