Cucci a La Nazione: "De Laurentiis è il presidente più dannoso e autolesionista, Sarri consolato dai suoi giocatori"

Rassegna Stampa fonte : La Nazione
Cucci a La Nazione: De Laurentiis è il presidente più dannoso e autolesionista, Sarri consolato dai suoi giocatori

Il mister non è mai esente da colpe, soprattutto da quando il suo stipendio ha raggiunto vette milionarie. Grazie a Helenio Herrera, che fu - generoso Angelo Moratti - il primo nababbo delle panchine. Fece storia, il Mago, tanto che anche il più diverso da lui, Oronzo Pugliese, detto il Mago di Turi, pur non amandolo dovette dire «grazie a lui oggi guadagniamo tutti di più». De Laurentiis - cui devo questo rapido excursus alla ricerca dei Padri Padroni - rappresenta certo il presidente più dannoso, ovvero autolesionista. De Laurentiis è quello che a caldo, dopo la sconfitta del Bernabeu, ha demolito, a parole, Maurizio Sarri, miracolosa ricchezza del Napoli immiserito tecnicamente da Benitez; ottenendo che la maggior parte dei critici si schierasse con la sua vittima peraltro consolata dalla solidarietà dei calciatori, forse compreso il Rog che Adl aveva venduto agli amici come gran campione, forse addirittura arma segreta per battere il Real. Già, gli amici: niente di peggio che portarsi appresso, in aereo, insieme alla squadra, nobili, tycoon, artisti, nani e ballerine per assistere alla Grande Bellezza del Napoli al Gran Teatro Bernabeu e poi finire con tre gnocchi sul muso. Altri tempi, altri aerei, altra Spagna, Berlusconi alla prima finale di Coppa dei Campioni contro lo Steaua: bravo Sacchi a vincere il trofeo dalle grandi orecchie «ma - diciamolo fra amici - quante cose ho dovuto spiegargli, prima». Eppure, pubblicamente sempre corretto, con l’Arrigo, che addirittura gli tenne testa davanti a qualche scelta fino a quando - si narra - ponendogli il quesito «o me o Van Basten», il Cavaliere rispose: «Van Basten».

USCITO di scena Sacchi, comunque stimatissimo, sempre, ancorché si professasse comunista, il nuovo Berlusca ne ebbe per tutti, da Tabarez, definito «nome da Festival di Sanremo», all’onesto Zac («lo scudetto non l’ha vinto Zaccheroni, l’ho vinto io», per arrivare a Dino Zoff, colpevole di non aver fatto marcare Zidane in una partita dell’Italia con la Francia; Superdino non incassò, si dimise, lasciando una incancellabile sentenza: «Non è giusto denigrare il lavoro degli altri pubblicamente, non è giusto che non si rispetti un uomo che fa il suo lavoro con dedizione e umiltà». Credo che Sarri sarebbe pronto a imitarlo, ma ama troppo il suo Napoli che gli ha dato l’opportunità di cantar messa nella cattedrale mondiale del calcio dopo aver frequentato tante chiesette di campagna. Potrei elencare tanti presidenti sopraffattori, tutti quelli che amano dire «e io pago!», in genere incompetenti epperciò più verbosi: l’elenco sarebbe lungo, ancorché assai diversi i toni, tutti dipendenti da una sola virtù, l’educazione. Io ho conosciuto, mezzo secolo fa, anzi di più, uno dei pochi presidenti che poteva dar lezioni ai tecnici, burbero ma corretto: Paolo Mazza della Spal, detto il Mago di Campagna, e tuttavia componente della Commissione Tecnica della Nazionale al Mundial cileno del ’62 e leader totale - anche tecnico dunque - della squadra di Ferrara, condividendo la panchina - con tanto di patente - con G.B. Fabbri, Francesco Petagna, Paolo Tabanelli, Giacomo Biasio, Tito Corsi, Umberto Pinardi, Cesare Meucci e Mario Caciagli, l’unico che seppe tenergli testa. 

Vorrei aggiungere anche Edy Reja e Fabio Capello, ma in realtà furono solo allievi di «Pavlon». Gli altri, tutti, padroni del vapore saccenti, anche arroganti, spesso incompetenti, oppure onestamente ambiziosi o semplicemente paternalisti come il più tecnico dei presidenti, Angelo Massimino, che ebbi amico e un giorno interpellai per quella storia di Amalgama: «Non dare retta ai tuoi colleghi, io non ho mai detto quel nome, conosco tutti i calciatori italiani dalla D alla A e Amalgama, te lo giuro, non esiste». E tuttavia rappresentò il potere indiscutibile dei presidenti quando, come parlasse a nome di tutti, disse: «C’è chi può e chi non può. Io può». 
De Laurentiis lo fa capire.

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